La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini
Litografia di Honoré Daumier - Mr. Le juge de paix a rendu sa décision, les parties sont censées conciliées (1846)

Nuovo modo di pagare i debiti, ovvero la moglie terribile

Ritorniamo al filone della “Giustizia che diverte” ed entriamo nell’aula della Pretura Urbana di Torino dove si svolge il dibattimento che il cronista giudiziario Curzioncino (M.) definisce «un nuovo metodo di pagare i debiti; cioè dirò meglio, di non pagarli, aggiungendo anzi al debito antico verso il primo creditore, un altro nuovo verso la giustizia penale», nella sua Rivista dei Tribunali apparsa nella Appendice della “Gazzetta Piemontese” del 30 ottobre 1875.

I coniugi Rivolta (in tutto il suo racconto, Curzioncino evita accuratamente di chiamarli “signori” e noi ci adeguiamo!) abitano in una stamberga al quinto piano del n. 34 di via della Provvidenza, il tratto dell’attuale via XX Settembre che va da via Santa Teresa al corso Vittorio Emanuele II, ed hanno ottenuto in gentile prestito la somma di trenta lire da una donna, indicata come “X”, con la promessa di una sollecita restituzione.

Ma non viene mai il felice momento di rispettare la loro promessa: passano dieci, quindici, venti giorni, un mese. La creditrice scrive una lettera ai suoi debitori per pregarli di restituirle quelle benedette trenta lire, «ma nemmen per sogno viene la risposta a una lettera così importuna».

Allora la “X” decide di salire fino al quinto piano per chiedere di persona la restituzione. Sale cento e trenta scalini e arriva alla misera abitazione dei Rivolta, bussa alla porta e questi le aprono: appena la vedono, la salutano con malgarbo, la lasciano entrare e poi chiudono la porta.

All’interno della stanzetta, fra i tre avviene uno scontro, in apparenza senza testimoni.

Poche ore dopo, la “X” corre alla Pretura urbana per sporgere querela per gli insulti e i maltrattamenti subiti dai coniugi Rivolta: la querelante racconta che i Rivolta l’hanno picchiata sonoramente, sbattendola da una all’altra parete della cameretta, e le hanno provocato varie leggere contusioni alle braccia.

La responsabilità maggiore è della moglie («La parte principale in questa musica sarebbesi eseguita dalla moglie»), il marito ha fatto da «comprimario» perché teneva ferma la creditrice stringendole le braccia mentre la moglie «a vece di tante lire, la pagava con altrettanti pugni».

All’udienza della Pretura Urbana, gli imputati negano con forza ogni accusa.

Vi è un solo testimone, un ragazzo, che per la sua tenera età viene interrogato senza giuramento.

Il ragazzo era sul pianerottolo e, da una finestra, ha potuto osservare dentro la camera dei Rivolta: ha visto sbattere da un muro a un altro una donna, che riconosce come la querelante, e che poi ha osservato mentre usciva tutta malconcia e in disordine. Ha anche sentito la moglie Rivolta che gridava: “Sono pentita di non averla conciata peggio!”.

Il ragazzo racconta tutto questo con evidente sincerità: è una prova delle accuse rivolte agli imputati. Ma, per dimostrare la loro colpevolezza, è più che sufficiente «il solo contegno della moglie Rivolta, la sua parlantina piena d’ira e d’odio verso la “X”».

Toglie poi ogni dubbio la testimonianza sotto giuramento della querelante che conferma le sue accuse.

Il Pubblico Ministero, rappresentato dall’avvocato Mirone, chiede la condanna dei coniugi Rivolta a quindici lire di ammenda ciascuno, al pagamento dei danni alla “X” e alle spese.

Il Vice-Pretore, invece, che è l’avvocato Matteo Bertone, si rivela più mite nei confronti del marito: infligge l’ammenda di quindici lire alla moglie e soltanto di dieci lire al marito, condannandoli entrambi al pagamento dei danni e delle spese.

Dopo la lettura della sentenza, il Vice-Pretore fa un’ammonizione al marito perché tenga a freno sua moglie.

«Ah! Signor Pretore, se sapesse ciò che so io» esclama il marito Rivolta.

«Che mai?» gli chiede il Pretore.

«Che è meglio avere da custodire non so quale animale, che certe donne» e intanto accenna alla sua metà che arrossisce e… finalmente se ne sta zitta.

Personaggio centrale di questa vicenda è quello della moglie terribile, incontenibile e irrefrenabile, e le valenze ironiche della situazione, che muove ad un sorriso un po’ amaro, nascono dal fatto cha all’epoca della nostra storia la mentalità diffusa e condivisa vuole (o almeno vorrebbe) la moglie sottomessa all’autorità del marito.

A commento di questa vicenda, molti lettori maschi avranno pensato con una certa soddisfazione, “A casa nostra certe cose non succedono…”, alcune lettrici si saranno dette “A casa nostra riesco a comandare senza arrivare a certi eccessi…”.

Curzioncino introduce una considerazione di ordine pratico, che vale per accusati maschi e femmine, e che certo nasce dal suo vissuto di avvocato: «Quanti imputati sarebbero in stato di assolutoria se colla loro lingua, con la loro imprudenza, col contegno che tengono al dibattimento non si tirassero inevitabilmente addosso la loro condanna!»

Concludiamo osservando che quel giorno, nella Pretura Urbana, si sono confrontati due uomini di legge, l’avvocato Carlo Mirone, in veste di Pubblico Ministero, e l’avvocato Matteo Bertone, Vice-Pretore, ma anche due cronisti giudiziari: l’avvocato Carlo Mirone, infatti, scrive le cronache giudiziarie della “Gazzetta Piemontese” da sabato 8 maggio 1875, firmandosi con lo pseudonimo di Curzioncino, che ha adottato in onore di Curzio, il precedente cronista, che è l’avvocato Matteo Bertone!

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Articolo pubblicato il 16/11/2017