Parigi, gli «anni folli» e la musa androgina

Andrea Biscŕro presenta l’intramontabile Suzy Solidor

Suzanne Louise Marie Marion nasce il 18 dicembre del 1900 a Saint-Servan-sur-Mer (comune di Saint-Malo), un villaggio della Bretagna. È figlia illegittima del Barone Surcouf (discendente dell’omonimo corsaro del XVIII secolo) e di Louise Marie Adeline Marion, la sua domestica. Nel 1907 Louise sposa Eugène Rocher, che dà il nome alla piccola. Vivono a Saint-Servan, dove la torre Solidor (un maschio costituito da tre torri unite da piccole cortine di fortificazione) svetta allo sbocco del fiume Rance. In bretone Solidor significa porta del fiume.

Suzanne riceve un’educazione discontinua. A 15 anni lavora in un’azienda di dolciumi. Si rivela portata per la meccanica e a 17 anni prende la patente, fatto non comune per una ragazza di inizio Novecento. La Grande Guerra è al culmine: Suzanne serve la Patria come autista, conducendo ambulanze. Nell’immediato dopoguerra è commessa in un negozio di scarpe a Saint-Malo, ma non fa per lei. Alcuni amici le suggeriscono di tentare la fortuna a Parigi, che sta vivendo una nuova stagione, successiva alla Belle Époque e al limbo del periodo bellico. Sono gli anni folli. La Parigi di Modì, Picasso e Dalì:

«Anni che furono definiti “folli”, in una capitale in pieno fermento, dal clima cosmopolita, dove teatri, i caffè, il jazz, le gallerie attraevano da ogni parte del mondo musicisti, scrittori, coreografi, cineasti e artisti in cerca di fortuna e celebrità. Nella Ville lumière, novella mecca dell’arte, si respirava l’aria di una nuova era, contrassegnata da un senso di libertà e da un clima di rinascita che fa di Parigi il laboratorio internazionale della creatività, prima che l’ascesa del Terzo Reich in Germania cambiasse in maniera irreversibile il clima europeo.

Sollecitati dal fermento di quel crocevia internazionale, i più grandi artisti del tempo rimettono in gioco le loro ricerche, con una straordinaria energia creativa. Ne deriva uno stupefacente caleidoscopio di stili nel quale, in sintonia con i sentimenti del dopoguerra oscillanti tra incertezza ed euforia, convivevano la necessità di conquistare una nuova armonia per allontanare il ricordo del conflitto e la volontà di rompere con il passato per ripartire da zero e dar vita a un’arte completamente inedita».

Suzanne si trasferisce in quella Parigi e lì fa la conoscenza di Yvonne de Bremond d’Ars (1894-1976), antiquaria, specializzata in mobili del XVIII secolo. Il suo negozio, al civico 20 di rue du Faubourg-Saint-Honoré, è meta della Parigi che conta. La ventenne Suzanne diventa la sua amante. Un rapporto che le consentirà una rapida ascesa sociale, divenendo lei stessa un’antiquaria. Yvonne le disegna un costume da bagno in rete da pescatore. Nella spiaggia di Deauville, in Normandia, non si parla d’altro: foto, articoli, copertine, gossip.

Dal 1929 Suzanne è Suzy Solidor, in onore della torre Solidor e del sangue corsaro che le scorre nelle vene. Lo scatto che la immortala, giovanissima, assieme a Yvonne, ci restituisce l’immagine di una coppia degna dei racconti di Fitzgerald. La foto veicola quell’avidità di indipendenza che rende folli quegli anni. Yvonne appare come una figura maschile; Suzy guarda l’obiettivo col capo appoggiato sul petto della compagna, le spalle spoglie, impreziosite da un girocollo, le labbra finemente disegnate da un impeccabile tocco di rossetto, i capelli alla maschietta e lo sguardo tra il languido e il volitivo. In lei c’è tutto, dal coraggio alla provocazione passando per la mestizia.

Un aspetto, il suo, figlio degli anni folli, dove nulla è lasciato al caso, in un tripudio di studiata spontaneità. Suzy è l’espressione sublime dell’essere androgino, colei che racchiude le caratteristiche del sesso maschile e femminile. Le fotografie che la ritraggono nella sua nudità testimoniano una bellezza scultorea fuori dal coro. Ci si chiede se Suzy sia la materializzazione di una pittura o il punto di raccordo tra l’arte pittorica del tempo e un personalissimo stile che fa di lei un fenomeno culturale e di costume.

L’inconfondibile presenza e il suo essere bisessuale; la voce, che Jean Cocteau riassume con la forza dell’istinto («ha una voce che parte dal sesso»); l’amore per l’antiquariato, la poesia e la moda: tutto ciò le consente di conquistare Parigi e i suoi artisti. Furoreggia ovunque, indossando abiti e accessori che fanno tendenza. Colpisce per le fotografie senza veli, dove un sapiente gioco di luci e ombre ne esaltano i lineamenti e la muscolatura. Anche la sua voce, calda e sensuale, non passa inosservata. Inizialmente si esibisce per gli amici, poi in pubblico.

Un’esistenza vissuta in un crescendo di vivacità, esuberanza e innato snobismo, che tenteremo di scandire in alcuni passaggi salienti...

Nei primissimi anni Trenta si conclude il rapporto con Yvonne. Si lega a Maurice Barbezat, proprietario di un’azienda che produce auto di lusso. Le affitta, al 29 di Quai Voltaire, un negozio d’antiquariato, che diventa un elegante ritrovo per i suoi vecchi amici. Fra gli amori maschili, l’aviatore Jean Mermoz (1901-1936) e Spadò, al secolo Alberto Spadolini (1907-1972), danzatore, attore e pittore italiano. Altro amore, datato 1932, è quello con la pittrice Tamara de Lempicka.

Suzy Solidor si prende sul serio come cantante: frequenta la scuola di canto di Yvette Guilbert (1865-1944), nota durante la Belle Époque, e prende lezioni da Marguerite Carré (1880-1947), soprano della compagnia parigina Opéra-Comique.

Nel 1932 apre, al 12 di rue Sainte-Anne, La Vie Parisienne, cabaret di immediato successo, aperto a un pubblico lesbico. Qui, scrive lo scrittore Albert t’Serstevens (1885-1874), Suzy canta «quelle canzoni marinaresche che hanno in sé la nostalgia di luoghi lontani, che hanno l’odore dello iodio, del salmastro e del catrame. Ella mi fa pensare, non a una donna, ma a un giovane marinaio di Saint-Malo che conserva negli occhi il blu del mare e su tutto il suo viso lungo e magro il lirismo dei grandi viaggi». Per il suo pubblico canta anche delle canzoni esplicite (Obsession e Ouvre) e recita le poesie di Verlaine, Rilke, Cocteau, Carco…

Dal 1935 al 1941 recita in quattro pellicole. Ricordiamo quella del 1936, La Garçonne, di Jean de Limur, con Edith Piaf. Nel 1937 debutta a teatro in L’Opéra de quat’sous di Bertolt Brecht. Pubblica quattro romanzi: Térésine (1939), Fil d’or (1940) e Le Fortuné de “L’Amphitrite” (1941) e La vie commence au large (1944).

L’occupazione tedesca non costituisce un problema per il suo locale. Anzi. Gli ufficiali tedeschi apprezzano quel cabaret davvero “in”, frequentato, si dice, anche da agenti dell’intelligence britannica, pertanto luogo di scambio d’informazioni. Nel 1941 incide la versione francese della celebre canzone tedesca Lili Marlene: un’interpretazione indimenticabile!

Liberata Parigi, i francesi non le perdonano – non subito almeno – la lieta coesistenza con l’occupante. Paga il fio con qualche anno di epurazione, trasferendosi negli Stati Uniti. Riemerge dalla pausa forzata, apre un nuovo cabaret, la sorte le arride, torna a cantare, a recitare a teatro (L’École des hommes di Jean-Pierre Giraudoux, 1951) e la televisione s’interessa a lei. Negli anni Sessanta va a vivere nell’affascinante Cagnes-sur-Mer, tra Antibes e Nizza, dove apre un cabaret (Chez Susy) e un rinomato negozio di antiquariato.

Chiude la partita il 30 marzo del 1983.

Di lei vogliamo ricordare l’apporto dato alla pittura, aggiudicandosi l’appellativo di «donna più ritratta nel mondo». Andreu, Brayer, Braque, Dufy, De Lempicka, Laurencin, Picabia, Van Dongen, Malta, tanto per fare alcuni nomi dei pittori che l’hanno ritratta. Le pareti de La Via Parisienne si trasformano, con l’andare del tempo, in una preziosa galleria d’arte.

Suzy Solidor pubblica una sorta di catalogo (tiratura limitata) dal titolo Suzy Solidor et ses portraitistes. Quarante peintres. Un modèle, in vendita nel suo locale. È lei stessa a scrivere la Prefazione, raccontandosi. I testi sono curati da penne del calibro di Maurice Magre, Joseph Kessel e Francis Carco. Joseph Kessel così la descrive:

«Ritta sulle assi che le fanno da pedana ella si trasfigura a seconda delle melodie che la sua voce così profonda e densa sviluppa. Si trasfigura perché crede nei dèmoni che la abitano. Dai muri la guardano i quaranta ritratti che ha ispirato a quaranta pittori di tutte le scuole, di tutte le razze, di tutti i paesi. Quaranta volti, sempre il suo, si confrontano col vero, col vivente che al tempo stesso somiglia a quelle immagini e le sfida».

Lasciamo a Suzy Solidor il compito di concludere il ricordo del suo esuberante passaggio

«Ho aperto gli occhi sul mare e tutta la mia infanzia è stata cullata dalla bella canzone delle onde che battono le coste del mio paese in Bretagna, paese aspro e tormentato, selvaggio e segreto, che conserva ancora tutte le sue leggende e che io adoro. Discendente di un corsaro di Saint-Malo, da bambina sentivo già di avere un carattere indomabile e la voglia di andare all’arrembaggio, e a quindici anni, abbronzata come un vecchio lupo di mare, correvo sulla spiaggia con le mie lunghe gambe, calpestando la sabbia umida e col vento d’oltremare tra i capelli. Oh, quei venti compagni della mia giovinezza! Mi portavano notizie da tutto il mondo, quel mondo al quale quasi non mi interessavo. Non è che a vent’anni che ho scoperto Parigi – che ho trovato così piccola! – e che sono diventata antiquario. In quel negozio dove ho preso ad amare il XVIII secolo, ho anche cominciato a conoscere e amare Parigi. La donna presso la quale vivevo ha fatto della piccola bretone ignorante che ero una parigina che avrebbe conservato tutti difetti e le qualità della sua gente… e poi un giorno l’ho lasciata: niente è eterno, soprattutto l’amore. Ho aperto il mio cabaret La Vie Parisienne dove mi sono messa a cantare, con la mia voce grave, potente e calda, le cupe canzoni dei marinai che si cantano sui trealberi, e circondata dai ritratti che mi hanno fatto, nei quali mi vedo ogni volta un’anima diversa».


Andrea Biscàro

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Articolo pubblicato il 25/10/2017