In Canavese la brina distrugge tutti i frutti, anche quelli autunnali e danneggia le granaglie: quindi molta paglia e poco grano
Questa notizia compare nel libro “Le ore povere e ricche del Piemonte”, edito nel 1982 a Torino dal Lions Club Torino Castello, dove Angelo Tibone scrive:
«Tempeste, raccolti anticipati (anche perché i magri raccolti erano rubati per la fame). Venti violenti devastarono i castagneti, ridussero alla fame il Canavese (…) ».
A tanti mali si unisce la guerra, detta della successione di Polonia.
La popolazione è ridotta a vivere di radici e di un'erba molto dura, che non muore ne periodo inverno, che deve essere consumata senza condimento perché mancano olio e sale.
Gli affamati lasciano il paese nella speranza di trovare altrove sorte migliore; ma purtroppo devono presto tornare in patria, perché ammalati: al tempo infierisce il tifo, aggravato da una estrema scarsità di acqua, dovuta ad una siccità ostinata che dura ben nove anni.
Quando, a metà del 3 ottobre, cessa di nevicare, tutta la campagna appare coperta da uno strato di circa un metro di neve.
Le uve non ancora raccolte gelano dal freddo e marciscono, perché in buona parte immerse nella neve.
I campi, appena preparati per la semina del grano, non possono più essere lavorati ed il grano è seminato nella successiva primavera. Il patrimonio boschivo subisce gravi danni per la caduta della neve sui rami ancora ricchi di foglie, e sono molto numerose le cadute di rami ed alberi.
Le castagne, allora un valido alimento per la popolazione, dovevano essere raccolte di lì a poco ma cadono nella neve ed vanno in buona parte distrutte.
Ma più grave ancora è la permanenza del manto nevoso sui prati, dove l'erba autunnale doveva servire per almeno due mesi ancora al nutrimento delle bestie bovine. Si deve ricorrere in anticipo al fieno e così, alla fine dell'inverno, la carenza di foraggio impone l’abbattimento di molto bestiame.
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Articolo pubblicato il 03/10/2017