Cléo de Mérode, maestra di Virginale Sensualità

Andrea Biscàro ricorda una protagonista indiscussa della Belle Époque

Cléo de Mérode è un nome che emana fascino.


Vien quasi da sussurrarlo, nel vano tentativo di prolungare una sorta di piacere immaginario, assaporando l’effluvio d’un sogno, associando ad esso un volto elegante, aristocratico, d’altri tempi seppur fuori dal tempo e per questo attuale.


Quei tempi erano chiamati Belle Époque. Bei tempi per davvero, tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. In quella forbice temporale, i progressi in campo tecnologico e scientifico sono stati senza pari. É l’epoca dell’ottimismo. É tempo di cabaret e can-can, leggerezza a profusione, ma anche cinematografo, Impressionismo, Simbolismo, Art Nouveau. I nobili regnano, la borghesia domina, le classi inferiori gradatamente prendono coscienza di sé.

 

Cléopâtre-Diane de Mérode, figlia della Belle Époque, viene al mondo a Parigi il 27 settembre 1875. È figlia della baronessa austriaca Vincentia de Mérode, dama di Corte dell’Imperatrice Elisabetta d’Austria. Sissi, per intenderci. Il padre è un nobile viennese che preferisce mantenere l’anonimato, non riconoscendo la piccola. Vincentia non si perde d’animo. Abbandonata la rigida corte viennese, trova casa a Parigi. Cléo diventerà la sua rivincita sociale.


È una bambina bellissima e possiede un’incredibile naturalezza di fronte all’obiettivo della macchina fotografica, obiettivo che incontra già a tre anni d’età.


Fascino acerbo, occhi magnetici, sguardo incantatore e polso materno ben si sposano con la predisposizione per la danza e la disciplina, consentendole di entrare, giovanissima, alla scuola di danza dell’Opéra di Parigi e di debuttare in scena a undici anni.



La platea è in visibilio quando c’è Cléo, questa creatura spontanea, al contempo virginale e seducente, malgrado la giovanissima età. Più che la leggiadria nel volteggiare sulle punte, di lei attira la seduzione che sprigiona quello stesso volteggiare. Cléo ha successo, da subito. Sarà contesa – in Patria e all’estero – sia dagli impresari teatrali che dai fotografi di grido.


La sua pettinatura, poi… sensuale quanto casta, da subito imperante. La scriminatura nel mezzo e quelle sue voluminose bande piatte a coprir le orecchie, a carezzar le guance, fin giù, all’altezza del seno. È moda, fa tendenza, diremmo oggi. Le donne francesi, e non solo, si rifanno a lei per l’acconciatura. Gli uomini farebbero follie… e ne fanno, per una simile Icona.


È del 1896 la scultura (oggi esposta al Musée d’Orsay) dal titolo La Ballerina, di Alexandre Falguière. La modella è lei, eletta quello stesso anno “Regina di bellezza” dalla rivista «L’Illustration».


Cléo ha posato per numerosi artisti, tra i quali Toulouse-Lautrec, Edgar Degas, Jules Victor Clairin, Eugène Denis Arrondelle, Giovanni Boldini.


Le sue foto si possono ammirare visitando il magnifico sito internet della Biblioteca Nazionale di Francia, Gallica, così come ne troverete su Gettyimages.


Alcuni scatti sono eccezionalmente nitidi, d’un fascino incorruttibile. Cléo finirà persino sulle cartoline, arrivando così in ogni angolo della Terra.


Discussa la relazione “segreta” col Re Leopoldo II del Belgio, ribattezzato, nei salotti europei, Cleopoldo. Quando si innamora di lei (avendola vista esibirsi a teatro), il regnante ha circa 55 anni e Cléo 15. Le caricature dei giornali satirici si sprecano.


Nel 1909 il sovrano muore. La fama di Cléo no, giungendo intatta alla conclusione del suo mondo, del mondo di molti. Scoppia la Prima Guerra Mondiale. La Belle Époque termina. Cléo, nel dramma del conflitto, prende parte agli spettacoli della Croce Rossa in favore dei feriti dei Paesi alleati della Francia.


Si ritirerà dalle scene e dalle luci della ribalta pochi anni dopo la fine del conflitto.


Alcuni legami sentimentali scalderanno il cammino della sua vita, ma non la condurranno mai all’altare.


Intense le parole della giornalista Luciana Baldrighi de «Il Giornale»:


«Al grande Cecil Beaton, che la fotografò quando era quasi novantenne, Cléo de Mérode disse nel salutarlo: “Ricordatevi, sono molto civetta. Mi promettete di distruggere le foto venute male?” Nell’appartamento parigino di rue de Téhéran, quella che era stata la donna più fotografata del primo Novecento si era messa davanti all’obbiettivo come se il tempo non fosse mai passato: di profilo, occhi bassi, labbra chiuse, le dita strette a sostenere il mento.


Il viso conservava le proporzioni della giovinezza, tutto nei suoi movimenti rimandava a un incanto adolescenziale. Scrisse Beaton che non avrebbe scambiato quell’ultima immagine “di una romantica stella” con “nessuna delle nuove star del firmamento contemporaneo” e la dichiarazione, fatta in un’epoca, gli anni Sessanta, in cui il divismo cinematografico era ai suoi massimi […] ha un suo significato. Perché Cléo de Mérode non fu solo la prima icona moderna, […] ma mise nella costruzione del proprio personaggio e nello sfruttamento della propria immagine un’intelligenza e una sensibilità impareggiabili, tali da incarnare un’epoca e cristallizzarsi in un ideale femminile».



Cléo è venuta a mancare il 17 ottobre del 1966, in una Francia lontana anni luce da quella in cui aveva dominato. Riposa al cimitero Père-Lachaise.


La stampa non si è mai dimenticata del tutto di lei, neppure quella italiana, persino quando la Francia e l’Italia erano nemiche. Infatti, il 25 gennaio 1941, «Stampa Sera» (consultabile online) le ha dedicato un ampio articolo in terza pagina: Le Dive dei nostri papà – Cléo, più che regina.


Nell’edizione del 25-26 aprile 1947, sempre su «Stampa Sera», Cléo ricorda che «quando fu organizzato il concorso per la più bella artista parigina, io ottenni tremila voti, Carolina ne ebbe appena 700». Carolina è la Bella Otero. Un articolo velatamente malinconico.


Delicato l’adieu de «La Stampa» – datato 18 ottobre 1966 – a firma del giornalista Sandro Volta:


«Una decina di anni fa pubblicò la propria autobiografia sotto il titolo: Il balletto della mia vita.


Da allora, aveva sempre vissuto in un grande appartamento nel quartiere più elegante della città, che era andata ad abitare al principio del secolo: una fila di lussuosi saloni ammobiliati con lo sfarzo decadente dei romanzi di Proust. Non se ne era voluta separare neppure negli ultimi tempi, quando era venuta a trovarsi in gravi difficoltà finanziarie: piuttosto che ritirarsi in un alloggio più modesto, di tipo piccolo-borghese, aveva preferito dare in affitto qualche camera agli studenti.


La sua fine è dovuta alla arteriosclerosi che, data l’età, ha avuto un decorso rapidissimo.


Fino a pochi mesi fa, infatti, le donnette che, nelle giornate di sole, vanno a passeggiare il pomeriggio sulle panchine del parco Monceau erano abituate a vedere quella vecchina ancora ben portante, coi capelli bianchi divisi in mezzo e pettinati lisci fino a coprirle le orecchie. Era la pettinatura che non aveva mai abbandonato dall’adolescenza, perché si diceva che nella sua splendida bellezza ci fosse soltanto un punto debole: gli orecchi a sventola.


Non sapevano che fosse la famosa ballerina, non sapevano niente di lei, e, se avevano occasione di rivolgerle la parola, la chiamavano rispettosamente “signora baronessa”. Però, ridevano dietro le sue spalle, la consideravano una macchietta.


Dal principio del secolo, infatti, Cléo de Mérode non aveva mai cambiato neppure un capo del suo guardaroba; era rimasta fedele alle mode che aveva lanciato in quegli anni e conservato i cappellini con le piume di struzzo, i merletti e perfino gli ombrellini a colori sgargianti che, la prima volta che li aveva portati, erano stati imitati da tutte le donne del mondo».


Cléo de Mérode ha incarnato l’angelica eroina dai tratti delicati, dalle pose innocenti che l’hanno resa una sorta di Eva virginale, poetica, casta ed esplosiva quanto un vulcano sommerso. Ancor oggi è in grado di effondere attorno a sé un’aura misteriosa, romantica e malinconica.


Chissà… forse al Parc Monceau nell’ottavo arrondissement qualcuno ha saputo andare oltre gli anni che dimostrava e aveva, oltre l’apparenza del momento. Oltre il tempo...


Probabilmente nessuno l’ha mai riconosciuta, ma vogliamo immaginare che un vecchio parigino – seduto su una panchina accanto alla sua, le mani a riposare sul raffinato bastone da passeggio – abbia soffermato lo sguardo su quella distinta signora dalla pettinatura d’altri tempi.


«Sembra – confida l’anziano signore alla sua memoria – di tornare alla mia giovinezza…».


Un ricordo gli suggerisce un’immagine sfocata, un mondo, una brezza che non lo accarezzava più da una vita, la sua. Con delicatezza scuote il capo e accenna ad un sorriso. Distoglie lo sguardo dalla ragione del suo volo sulle ali del tempo e guarda di fronte a sé dei bambini che giocano, ignari della sua storia. La mente è protesa al passato. Le nocche delle dita tambureggiano sul dorso della mano che stringe il pomello del bastone…


«Che strana sensazione… – sussurra, le parole spezzate dall’emozione – Quei capelli… quei capelli… sembri tu, Madeleine… mia amata Madeleine, mio primo amore. Amavi quell’acconciatura alla Cléo de Mérode. Eccome se l’amavi! L’avevi vista su una rivista, t’era piaciuta così tanto…».


Un calore dimenticato riga il suo volto increspato di rughe. Non muove un sol muscolo del viso. Vuol sentire il corso delle lacrime, giù, oltre il mento, sino a fermarsi sul colletto della camicia.


Si volta verso la “baronessa”, come la chiamano le “donnine” al parco. Ma lei non è più lì. L’attimo fugge e la magia si dissolve. Cléo, la “baronessa”, è distante, ormai. Sta rincasando. L’aria si sta rinfrescando. È tempo di casa anche per l’anziano Monsieur.


Chissà… domani la ritroverà al parco della memoria?


 

Andrea Biscàro 

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Articolo pubblicato il 20/09/2017