Torino «Maestro dove abiti?» (Gv 1,38)

Lettera Pastorale rivolta dall’arcivescovo Nosiglia ai giovani

Nei giorni scorsi l’arcivescovo monsignor Cesare Nosiglia, ha pubblicato la Lettera pastorale 2017/2018 rivolta in modo particolare ai giovani ed agli educatori.

Sono tre e di ordini diverso, le ragioni di questa scelta, spiegate direttamente dal nostro presule:

“L’Assemblea Diocesana del giugno scorso è stata dedicata ai temi e problemi della Pastorale giovanile, ed è stata anche condotta con una metodologia specifica, che ha visto i giovani «protagonisti», sia nei contributi al dibattito e alla riflessione, sia nello «stile» stesso del nostro incontro.

Nelprossimo anno sicelebreràilSinodo ordinario deiVescovidedicato aigiovani. Anche il cammino della nostra Diocesi intende dunque porre l’accento e offrire un contributo su una realtà che ci collega alla riflessione – e alla preghiera! – della Chiesa universale.

Papa Francesco, nella sua visita a Torino il 21 e 22 giugno 2015, ha voluto espressamente dedicare ai giovani la gran parte del tempo e degli incontri, sia per le ragioni specifiche del Giubileo di don Bosco, sia perché l’intero suo pontificato «scommette» su una rinnovata e feconda relazione tra mondi dei giovani e vita della Chiesa”.

-In quale percorso s’inserisce la lettera?

“ La nostra Diocesi ha continuato la riflessione sulle parole del Papa fra noi, con la mia Lettera pastorale «La casa sulla roccia» del 2016 e nella prosecuzione del percorso della Pastorale giovanile diocesana che ha avuto, come sappiamo, il suo momento forte nel Sinodo dei Giovani e negli incontri negli anni successivi, in tutte le Unità Pastorali con i giovani, gli adolescenti, i sacerdoti e con gli animatori e gli educatori giovani ed adulti.

La Lettera “Maestro, dove abiti?” si inserisce in questi percorsi, offrendo indicazioni più precise e «normative». L’obiettivo è quello di integrare sempre meglio, nel territorio e negli ambiti di vita di tutta la Chiesa, il «cammino verso i giovani e con i giovani» che la nostra Diocesi compie. Voglio sottolineare, ad esempio, l’importanza che viene data alla formazione in tutte le sue dimensioni: personale e professionale, civile ed ecclesiale.

Crescere nella fede deve far parte, per i giovani, di una «educazione» complessiva ad essere donne e uomini capaci di affrontare le sfide dell’oggi: è quel progetto di «umanesimo in Cristo» consolidato dalrecenteConvegno Ecclesiale NazionalediFirenze 2015.

In questo contesto, emerge l’indicazione precisa circa le attività in Oratorio o nei gruppi giovanili, che non vanno mai separati dalla vita della «comunità educante», la quale rappresenta il grembo che li ha generati nel Battesimo e li nutre e sostiene nella loro crescita.

Sempre in questo campo vorrei sottolineare – così come è emerso anche dall’Assemblea Diocesana – che la formazione dei «piccoli» non può e non deve essere l’unico sbocco possibiledelleaggregazionigiovanili, in parrocchia, negliOratori, sulterritorio.

Ilgruppo è un momento privilegiato, vorrei quasi dire «magico», per conoscere insieme il mondo, e sperimentare – alla luce di un quadro di valori condiviso – le situazioni che sfidano la condizione giovanile oggi a Torino e nei vari territori della Diocesi.

Ecco allora l’opportunità di avviare una riflessione seria e approfondita sul tema della fede in rapporto alla vita e all’appartenenza attiva e responsabile alla realtà e alla missione della comunità ecclesiale, ma anche sul tema del lavoro in rapporto alla formazione e alla professione, sul servizio ai poveri, sul tempo libero, sulla comunicazione e i suoi strumenti, sullo «sballo»

-Da quale riflessione di parte?

“Le indicazioni della Lettera hanno alle spalle una riflessione più ampia; come più ampi sono i confini degli altri mondi giovanili che intendiamo abitare con la nostra azione pastorale.

Conosciamo bene i contesti difficili di oggi: li abbiamo studiati e «misurati», insieme con le istituzioni e le forze sociali torinesi nelle varie sessioni dell’Agorà.

Sappiamo bene che i nostri Oratori hanno bisogno di accogliere e integrare non solo i giovani «garantiti e figli di garantiti» ma anche quell’altro universo meno visibile di ragazzi e ragazze provenienti dalle migrazioni e che qui si conquistano un futuro economico e professionale, ma anche quella dignità che viene dalla piena cittadinanza a cui hanno diritto.

-Quali limiti riscontra nella nostra società?

“La nostra società si crede «senza futuro» perché non c’è posto per i giovani, perché l’età media della popolazione cresce, perché ci saranno sempre meno risorse economiche disponibili da condividere. Dobbiamo – e possiamo – sottrarci a questa logica puramente contabile. Il mondo non è soltanto una società per azioni, e neppure un social network: ma molto dipende da quanto siamo capaci di «pensare diversamente», di non abbeverarci unicamente alle solite fonti.

Ci sono nodi che non possono essere passati sotto silenzio, neanche nei nostri Oratori e nei gruppi giovanili. Il grande tema della paura è uno di questi: viviamo assediati dalla possibilità di un’esplosione che potrebbe cancellarci la vita o le nostre comode certezze.

Ma, se non vogliamo soccombere alla paura, dobbiamo – a partire proprio dai giovani e con loro, resi responsabili e protagonisti – affrontare le nuove sfide del futuro della nostra società, che incrociano i grandi temi della cittadinanza, dell’accoglienza e dell’integrazione, del diritto alla vita e dell’uso del territorio.

Nodi che vengono a interrogarci anche sulla nostra indifferenza, su quella comoda tolleranza che permette a tanti di chiudersi nei luoghi comuni dove prevale il fondamentalismo estremista o il populismo,siain campo religioso checulturaleesociale.

-Il cammino indicato

“Ebbeneno:laradicalitàcristiana che cerchiamo di vivere non ha nulla a che spartire con certi «radicalismi» che cercano di cancellare vita e dignità, che umiliano e disprezzano i nostri valori comuni e non hanno rispetto di ogni persona accolta e valorizzata per quello che essa è.

Questo impegno «civile», arricchito dalla fede e dalla testimonianza, è una realtà che abbiamo il dovere di coltivare anche nei nostri Oratori e nei luoghi di formazione; e abbiamo il dovere di annunciarla ai giovani, facendone pratica noi stessi con loro.

Ed è uno degli impegni che la Pastorale Giovanile diocesana intende assumersi, camminando sempre insieme con i giovani, cristiani, credenti di altre religioni e non credenti, e decidendo passo dopo passo il «da farsi» nelle forme e modalità ritenute più opportune.

Il magistero di Francesco, nel contesto che abbiamo accennato, è così importante anche per un motivo preciso: il Papa viene da un’esperienza che poco o nulla ha da spartire con la «vecchia Europa», con le nostre modalità di aggregazione come con le nostre abitudini mentali (e i nostri pregiudizi…).

L’efficacia della sua parola nasce anche dalla capacità di interpretare in un contesto nuovo, e mondiale, problemi e aspirazioni che sono gli stessi in tutto il pianeta. E da qui viene la «forza della speranza» che egli ci trasmette, nella comune fede in Gesù Risorto.

Questa Lettera non è dunque un direttorio né un progetto pastorale (che sarà elaborato conigiovanieglieducatorineiprossimimesi),ma intendetracciareun cammino apartire da queste premesse: l’affido dunque alla creatività e all’intraprendenza dei giovani, perché non si rassegnino all’ineluttabile crisi del nostro tempo, ma diano una carica di sveglia alla nostra Chiesa e società; e l’affido anche agli educatori adulti attivi in diversi ambienti giovanili, ecclesiali e laici, perché solo un’alleanza tra giovani e adulti potrà affrontare serenamente il futuro mettendo insieme, come ci dice il Vangelo, «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52).”

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Articolo pubblicato il 14/09/2017