ISCHIA: Non si può morire così!

Riflessioni di Alessandro Mella, memore di passate esperienze nell’ambito del soccorso, a proposito del recente terremoto

Propongo molto volentieri ai Lettori di “Civico20News” queste condivisibili riflessioni dell’amico Alessandro Mella (m.j.).

 

 

Non si può morire così, dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che qualcosa non funziona in un paese in cui si muore per una scossa che a San Francisco o Tokio nemmeno andrebbe sul trafiletto di un giornaletto di periferia.


Dopo L’Aquila, Norcia, Amatrice e tanti altri borghi; anche l’italianissima Ischia è stata ferita da un terremoto magari alto ma pur sempre di una magnitudo i cui effetti possono essere contenuti.


Feriti, morti e dispersi sui titoli dei giornali. Su titoli a tutta pagina mentre il mondo si chiede com’è possibile che in Italia un sisma simile devasti e distrugga senza difficoltà.


Cosa fare? Dopo l’evento, dopo la prima fase emergenziale ed i salvataggi, inizia la conta dei danni. Sempre altissimi, superiori a quanto qualunque governo europeo potrebbe sostenere.


Spese ingenti che troppo spesso non vengono nemmeno effettuate lasciando intere contrade d’Italia alla decadenza, alla lenta morte per inedia. Ne è la prova la quantità enorme di macerie che ancora non sono state rimosse ad Amatrice dopo un anno dal disastro.


Lo scrivente fu testimone, nel giugno 2012, della stasi che ancora dominava L’Aquila distrutta nel 2009.


Inutile lamentarsi, i governi italiani si sono dimostrati impotenti di fronte alle più grandi devastazioni. Il sistema soccorso ha funzionato grazie all’abnegazione di migliaia di singole valorose persone ed una macchina che tutto sommato non merita eccessive critiche.


Ma il dopo? La ricostruzione? Costa troppo, non viene mai se non parziale. Vogliamo ricordare la mortificante estrazione delle casette per i terremotati? Tu sì, tu no, tu sì, tu no?


Dove vogliamo andare?


Urge un governo che batta i pugni in Europa e pretenda gli stanziamenti, od almeno una larghezza di parametri, utile ad investire per il futuro e la prevenzione. Partendo dai territori e dalle province più esposti al rischio di terremoti e via via proseguendo con gli altri per mettere in sicurezza gli stabili già edificati. Nonché quelli più datati, quelli storici e le aree a rischio.


Occorre una forte campagna nazionale rivolta a questo scopo. Ed al tempo stesso una severità assoluta e fermissima nella lotta all’abusivismo.


I condoni cosa hanno prodotto? Incassi per lo Stato? Forse; ma hanno lasciato in piedi migliaia, se non milioni, di edifici pronti a crollare al primo tremore.


Siamo stanchi, tutti stanchi, di piangere i morti spesso innocenti. Di vedere il patrimonio umano e culturale della nazione finire in polvere.


Il soccorso, la ricostruzione e la restituzione alla vita delle città e paesi rasi al suolo costa miliardi di euro che nessuno avrà mai.


È moralmente accettabile abbandonarli dopo false promesse? In un paese che da secoli combatte contro le calamità? Proprio nessuno ricorda anche solo i terremoti di Reggio Calabria e Messina del 1908, quello d’Avezzano del 1915, quello della Sicilia del 1968 o quello campano del 1980? Forse gli unici terremoti risoltisi con una rinascita dei territori colpiti furono il Volture nel 1930 ed il Friuli nel 1976.


Ma quando smetteremo di togliere macerie materiali e morali che si potrebbero evitare? Ci va coraggio, molto coraggio, e serve un governo con piena investitura popolare che vada a pretendere ciò che serve all’Italia per mettersi in sicurezza.


Miliardi di euro, certo, ma meno di quelli necessari ad intervenire dopo.


Il tempo delle promesse, dei container, delle casette provvisorie e soprattutto dei terribili funerali deve finire.


Se lo Stato non capirà che bisogna fare uno sforzo enorme, tagliare veramente dove serve e si può, per investire in sicurezza e prevenzione allora non si dovrà stupire se la fiducia dei cittadini nelle istituzioni seguiterà a cadere.


Una caduta frenata, solo in parte, dal rispetto e dalla stima nutrita dai cittadini verso i soccorritori, i vigili del fuoco, la polizia, i carabinieri e tutte le altre uniformi che, lacere e sporche, lavorano sempre tra le macerie per portare vita dove l’incoscienza ha seminato morte e distruzione.


Come ad Ischia, alla cui genti va un abbraccio commosso e pieno di affetto.


Il nostro cuore, il cuore di tutta Italia, è con loro.

 Alessandro Mella

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Articolo pubblicato il 23/08/2017