Terenzio Mamiani, chi era?

Quando la nascente Italia s’impegnava per la formazione dei giovani, non s’introdusse il “liceo breve”

Mai come nel momento in cui la scuola viene così massacrata dai governi in carica, (dalla “Buona Scuola” di Renzi, al “Liceo breve”, seppur sperimentale di Gentiloni), certi accostamenti appaiono stridenti.

Viene spontaneo ripensare a Terenzio Mamiani e ad un episodio fondamentale della sua azione politica, quando dopo aver degnamente ricoperto il Ministero della Pubblica Istruzione nel terzo Governo Cavour, continuò a rivestire il prestigioso ruolo anche nel primo governo dopo l’Unità d’Italia.

Quel Ministro, non dimentichiamolo, prima di sedere in Parlamento ed assurgere a prestigiosi incarichi governativi nello Stato Pontifico e poi nel regno di Sardegna sino all’avvento dell’Unità d’Italia, fu professore di eloquenza dal 1827 e dal 1857 insegnò Filosofia della Storia all’Università di Torino e poi a Roma.

Ebbene, Nel 1860 il Mamiani, dopo aver ascoltato una lezione in un liceo di Pistoia, chiamo, per il valore riscontrato, Giosué Carducci l a ricoprire la cattedra di Letteratura italiana all'Università di Bologna.

In questo Paese oggi cencioso la cultura (con la c minuscola) dev’essere sostanzialmente popolare e pianificata.

Un tempo, il Ministro in carica, essendo in possesso dei requisiti intellettuali e culturali per conoscere l’importanza della scuola come missione per formare il cittadino di domani e la classe dirigente della “Nuova Italia”, non considerava disdicevole recarsi nei licei ed ascoltare le lezioni che venivano impartite ai giovani studenti.

E non girovagava il Paese per invadere i corridoi delle scuole di santini elettorali, come purtroppo fanno i politicanti di oggi, ma per verificare la qualità dell’insegnamento e poi decidere.

Non pretendiamo che Valeria Fedeli assurta alla carica ministeriale, per mera lottizzazione di pessimo livello e di dubbio gusto, giunta per caso, a capo del dicastero che prima di lei fu degnamente ricoperto da  Francesco De Sanctis, Michele Coppino, Edoardo Daneo, Francesco Ruffini, Benedetto Croce e  Giovanni Gentile, riesca a comprendere le lezioni di un docente di letteratura italiana o di uno storico della Filosofia.

Sarebbe chieder troppo ad una persona che, possedendo una cultura modesta ed un titolo di studio assai inferiore, ha avuto il coraggio di inventarsi una laurea mentre accettava l’incarico ministeriale.

Vorremo solamente che, prima di avallare una riforma suicida, la ministra, portatrice della “cultura gender”, si rendesse conto del gap culturale dei nostri giovani, che sono essenzialmente incolti rispetto alla media degli altri Paesi europei.

Quando non si conosce, e non si è in grado di conoscere le ormai note carenze del nostro sistema scolastico, sarebbe meglio soprassedere nei cambiamenti arbitrari ed accontentarsi di seguire pedissequamente ciò che procede, senza fare danni.

Ma ahimè, la ministra di serie B, non è stata la sola a massacrare Scuola e insegnamento.

Prima di lei ci aveva pensato un oscuro fucino, tale Luigi Gui che a fine dicembre del 1962, ministro nel primo governo di Centro sinistra, istituì la scuola media unificata che ha abolito l’insegnamento del latino, lasciato facoltativo solo al terzo anno.

Incomodo totalmente abolito nel 1977 dal governo Andreotti. Così la scuola che iniziava sin dl primi anni d’insegnamento a formare la classe dirigente del Paese, venne sostanzialmente depotenziata.

Ma non è finita. I danni della “Buona scuola “renziana e del Liceo sperimentale di Gentiloni, lo confermano. Anche dalle colpevoli omissioni nei programmi formativi che si propinano al giovane cittadino, si comprende il degrado della sinistra.

Ci furono tempi in cui esponenti dell’allora partito comunista, quali Concetto Marchesi e la torinese Angiola Massucco Costa, intellettuali e docenti universitari, per breve tempo prestati alla politica avrebbero potuto esercitare azioni importanti per elevare le classi meno abbienti alla formazione efficace e propedeutica  all’assunzione di ruoli  strategici per la vita pubblica e per lo sviluppo del Paese.

Ma, come spesso succede in Italia, furono messi a tacere e non poterono ostacolare il livellamento verso il basso della cultura.

Oggi il potere di decidere è rimasto nella discrezionalità di una sindacalista in disuso ed i risultati si vedono.

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Articolo pubblicato il 15/08/2017