Francia. La giungla di Calais

Qual’è il ruolo di Macron?

Il 26 ottobre scorso la prefettura di Calais terminava l’evacuazione della cosiddetta “Giungla”, l’immensa bidonville nel nord della Francia dove erano arrivati ad ammassarsi quasi 10 mila migranti.

Oggi della vecchia “Giungla” non esiste più niente.

In compenso, proliferano le “nuove giungle”, luoghi in cui i migranti sopravvivono in condizioni anche peggiori di prima, dice Christian Salomé, presidente dell’associazione L’Auberge des Migrants:

“Lo smantellamento del campo è una storia interessante. Innanzi tutto il 60 per cento delle persone che viveva nel campo voleva restare in Francia, mentre adesso a Calais vogliono tutti andare in Inghilterra, e vogliono andarci il prima possibile. Perché non hanno nessun modo di ripararsi la notte. Le loro coperte, i loro sacchi a pelo vengono buttati nel canale che vedete dietro di me, tutte le notti o tutte le mattine. Vengono davvero messi sotto pressione perché passino la Manica il prima possibile”.


Sono due le principali “nuove giungle” di Calais. Ci vivono per la maggior parte profughi afgani ed eritrei.
Khalid viene dall’Afghanistan. Non vuole mostrare il volto, ma ci fa vedere il riparo di fortuna che ha costruito.

Dice di essere costretto a nascondersi per non subire violenze dalla polizia:

“La differenza è enorme rispetto alla Giungla di prima. Lì i poliziotti non ci attaccavano tutti i giorni, c’erano delle specie di case, delle tende messe bene, c’era da mangiare, avevamo tutto, c’erano docce, bagni, la moschea e perfino un posto dove mangiare. Avevamo tutto. Qui non c‘è niente, non c‘è bagno né doccia né un posto per dormire, e nemmeno un piatto per mangiare”.

A dieci mesi dallo smantellamento della “Giungla”, intorno a Calais vivono in strada o sotto gli alberi fra i 400 e i 500 migranti.

“È come vivere all’inferno”.

Questo il titolo del rapporto di Human Rights Watch sugli abusi che sarebbero commessi nei confronti dei migranti di Calais da parte delle forze dell’ordine.

Secondo l’ong, la polizia farebbe regolarmente uso di gas al peperoncino. Un’operatrice umanitaria che abbiamo interpellato sul posto conferma.


“Regolarmente la polizia arriva nel cuore della notte – racconta Fanny Plancon di Caritas France -, tira fuori i migranti dai sacchi a pelo e spesso addirittura spruzza di gas i sacchi a pelo e il cibo. Ho portato all’ospedale moltissime persone rimaste ferite in queste occasioni. Prendono loro tutto quel che hanno, a volte perfino i documenti, tutto può finire nella spazzatura. È molto complicato per loro”.

Human Rights Watch si è basata sulle testimonianze di una sessantina di profughi.

Un cittadino afgano che vive a Calais da sei mesi ha accettato di parlare di fronte alle nostre telecamere: “Sono scesi dalla macchina mentre camminavo per strada – è la sua testimonianza – e mi hanno spruzzato lo spray in faccia, non vedevo niente e mi sono quasi fatto investire da un’auto perché mi girava la testa. Eppure non avevo fatto nulla di illegale, non mi trovavo in una zona vietata e nemmeno in macchina. Ho amici che sono stati picchiati diverse volte, alcuni sono ancora in ospedale”.

Secondo Hrw, questo prodotto chimico “concepito per tenere a bada i violenti, causa cecità temporanea, forti dolori oculari e difficoltà respiratorie, che durano generalmente fra i 30 e i 40 minuti”.


Lo scorso marzo, spiega il rapporto, le autorità locali hanno vietato alle organizzazioni umanitarie di distribuire cibo, acqua, coperte e vestiti ai migranti. Un provvedimento sospeso poi da un tribunale francese, che l’ha giudicato inumano e degradante.

“A volte queste persone hanno vissuto violenze in Libia, le difficoltà dell’attraversamento del Mediterraneo, eppure dicono che Calais è il peggio che hanno vissuto – prosegue Fanny -. È molto complicato, la Francia è considerata la patria dei diritti umani, dovremmo accogliere tutti”.

Secondo una giornalista di Le Monde il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe ordinato un’inchiesta interna, ma nulla ancora trapela.

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Articolo pubblicato il 14/08/2017