A Torino e in Piemonte manca il lavoro, ma la Regione non se n’é accorta

Lunedi scorso l’associazione “SI Lavoro” ha dibattuto le gravi carenze occupazionali in un affollato convegno

La situazione produttiva ed occupazionale di gran parte del Piemonte è drammatica, ma pare che da anni, sin dalle prime avvisaglie, chi se ne dovrebbe accorgere, continui a sognare beatamente.

Bartolomeo Giachino che lunedì, in un affollato incontro ha riunito i politici di ieri e di oggi, riassume la situazione che sarà poi oggetto di ponderate osservazioni.

Leggendo i dati pesanti sulla disoccupazione e a fronte dei gesti di disperazione sempre più frequenti a Torino e in Piemonte, Regione e Comune di Torino appaiono abulici, non hanno neanche smentito la frase degli studiosi dell'IRES che "indietro non si torna" quasi come ci si dovesse rassegnare a non ritornare ai livelli di lavoro che c'erano nel  2007. 

La politica , soprattutto per chi fa riferimento alla ispirazione cristiana, non può rassegnarsi e condannare a una vita infernale chi non ha lavoro o è precario.

Per questo motivo vista la inadeguatezza delle politiche locali, a fronte invece dei buoni risultati ottenuti da Lombardia, Veneto e Emilia, sarebbe utile un 

PATTO PER IL RILANCIO DELLA ECONOMIA E DEL LAVORO IN PIEMONTE.

Un Patto tra Imprese, Sindacati, Regione, Comune, Commercianti, Artigiani, Mondo agricolo, Università, Politecnico, AGORA' Sociale e partiti.

Nove anni di crisi, di riduzione degli stipendi e di mancanza di lavoro hanno impoverito non solo il lavoro dipendente ma anche il commercio e l'artigianato. La vita per molti è diventata un dramma senza speranza.

“Non possiamo aspettare GODOT cioè le prossime elezioni regionali per dare una speranza a chi oggi non l'ha, sostiene Giachino”.

 Il Piemonte che per oltre 135 anni ha trainato lo sviluppo economico, politico e sociale del nostro Paese da oltre 15 anni arranca, ha perso quasi 20 punti nel PIL procapite rispetto alla media europea ed e' primo per disoccupazione in tutte le classi di età rispetto a tutte le Regioni del Nord comprese da quelle che negli anni 50-70 ci mandavano grandi lavoratori e famiglie per bene in cerca di lavoro.

Dopo gli anni dell'ottimismo senza motivo della Giunta comunale precedente, ora assistiamo a una Giunta senza progetto che col calo della ricchezza pro capite non può più parlare di decrescita felice ma non ha progetti di rilancio della economia e del lavoro a Torino senza parlare dei fatti di Piazza S. Carlo.

Come ha detto l'Arcivescovo Nosiglia, il lavoro e' il primo problema per Torino.

Apre il dibattito l’on. Giorgio Merlo, ex deputato di lungo corso della Democrazia Cristiana ed attualmente membro della direzione del PD. Concorda e riflette sulla drammaticità dei dati, ancora peggiorati in un recentissimo rilevamento dell’Istat,

Le cause per Merlo sono antiche e risiedono nell’incapacità degli attori della politica regionale e cittadina che si sono succeduti negli ultimi 15 anni a non capire che la realtà produttiva stava cambiando.

In Piemonte è mancata una progettualità orientata al mondo in fermento con i mutamenti sostanziali dei processi economici. Ci si è rassegnati al calo del manifatturiero, si sono lanciati slogan inneggianti il terziario, il turismo, tutti settori non trainanti per come sono organizzati e che potranno al massimo garantire un’occupazione precaria ed a bassa remunerazione.

Non si è puntato sulle tecnologie d’avanguardia e sulla ricerca e non si è provveduto ad intervenire sulla formazione professionale, aggiornando con i tempi i modelli delle scuole di formazione professionali delle nostre grandi aziende, dalla Fiat, all’Olivetti, da proporre ai nuovi investitori.

La politica, come l’indagine in corso della magistratura attesta, con superficialità ed incompetenza, si è inserita in questi gangli che da potenzialmente vitali sono divenuti parassitari.

Per capire chi e come decideva, quando il Piemonte era all’avanguardia in Europa, è illuminante un raffronto sulla statura dei personaggi e sui programmi avviati dalla Giunte Regionali capeggiate da Edoardo Calleri di Sala, Gianni Oberto Tarena, Giampaolo Brizio, con la pochezza espressa da Mercedes Bresso, Roberto Cota e Sergio Chiamparino.

Per uscire da quest’impasse e guardare al futuro, secondo l’On.Merlo, tutte le forze politiche dovrebbero costituire un “Ires della Politica” ossia un gruppo di studiosi che conoscendo a fondo le peculiarità internazionali dei mercati, la natura delle crisi cicliche sempre più atipiche dell’economia e dei probabili business in sviluppo, possano determinare l’azione di Governo, a prescindere dalle compagini che si appresteranno a governare.

Analoga situazione, sempre nella lucida analisi di Merlo, si è verificata nelle presidenze della Provincia di Torino.

Le competenze della province erano molto orientate alla sviluppo del territorio, dalle comunicazioni, alla localizzazione delle infrastrutture scolastiche, alla vivibilità dei territori montani e disagiati.

Anche analizzando programmi e realizzazioni della nostra provincia,  è palese l’abisso tra la “vision” di Giuseppe Grosso, il presidente della ricostruzione che avviò nel dopoguerra il programma di autostrade, grandi comunicazioni e trafori alpini, alla mediocrità della visione e delle realizzazioni di Antonino Saitta, che ha concluso infelicemente la vita dell’istituzione provincia, in seguito al deleterio decreto del ministro Del Rio.

L’analisi dell’On.Merlo si ferma dinanzi al caso Appendino, perché nel frangente attuale si vive semplicemente alla giornata e non si può neppure parlare di vision o di programma limitato. Ovviamente si auspica che con politiche mirate e esponenti di livello scelti dal cittadino, si cerchi d’invertire la rotta.

Prende poi la parola l’ex europarlamentare Vito Bonsignore. Nella sua stringente analisi, concorda con il quadro drammatico esposto da Giachino. Non mette in discussione la statura dei personaggi che si sono succeduti, bensì la debolezza dei programmi ed il metodo di governo adottato. In Piemonte non s’è capito che la globalizzazione che consente, nel modo ad oltre tre miliardi di persone di non morire di fame, ha di conseguenza peggiorato le condizioni di vita e le consuetudini di parte della popolazione dell’Occidente.

Ma mentre altri Paesi, regioni d’Italia ed anche angoli dei Piemonte, come il cuneese con l’agroalimentare, hanno saputo adeguare le politiche e cavalcare i tempi, Torino, in particolare è scivolata nella scia negativa della disoccupazione, della mancata sicurezza per il cittadino, dell’assenza di politiche industriali.

L’ultimo sindaco che ha avviato un programma per il futuro, dopo Grosso, Porcellana e Picco, secondo Bonsignore, è stato Valentino Castellani.

Chiamparino, che grazie ai cospicui stanziamenti del governo Berlusconi ha messo in funzione, seppur parzialmente la prima liea della Metropolitana, non s’é accorto nel 2006 che il Piemonte stava perdendo colpi. Unendo la supponenza sua con quella di Mercedes Bresso, come ricordato in più occasioni da Giachino, ha respinto sdegnosamente al mittente ogni campanello d’allarme.

Oggi Chiamparino vivacchia alla giornata. La giunta scialba che porta avanti stancamente, è forse con quella di Roberto Cota, la più inconcludente dall’Inizio dell’istituzione della Regione.

Nel frattempo i partiti sono divenuti referenziali  ed all’indispensabile esigenza di formazione cui si sottoponevano i politici della prima repubblica, secondo Vito Bonsignore, siamo in presenza del primato degli incapaci e dei supponenti che senza alcune formazione e competenza acquisita, pretendono di rivestire e poi purtroppo rivestono, incarichi assessorili, o poltrone nei consigli delle società Partecipate con i disastri che proprio in questi giorni le cronache giudiziarie e politiche attestano.

Poi, nel tandem Sergio Chiamparino sindaco ed Enzo Ghigo presidente della regione, al posto di una sano confronto si è avviata la “concordia istituzionale” che secondo Bonsignore, sta  all’origine di ogni mala amministrazione e segna la morte di ogni programma evolutivo.

Lo certifica  l’ affaire mai concluso e scandaloso del grattacielo del Lingotto, che non ha sino ad ora visto proteste in campo politico. Se quest’andazzo proseguisse, per Bonsignore il futuro sarà tristissimo.

Oggi i giovani e la “movida” sono alimentati dalle sovvenzioni dei padri e dei nonni. Quando questa generazione sarà tramontata, quale potrà essere la qualità della vita dei soggetti precari o parzialmente o totalmente emarginati dal mercato del lavoro?

Senza calcolare il decadimento di una città e regione popolata in gran parte da anziani, con infrastrutture e servizi sempre più in retroguardia.

Prende poi la parola Carlo Giacometto, un politico giovane, attuale coordinatore di Forza Italia  per la provincia ed ex consigliere provinciale che ben conosce le problematiche economiche e sociali del territorio.

Giacometto ha esortato a guardare al futuro di Torino e del Piemonte con un po' di ottimismo, pur prendendo atto dei dati drammatici in termini di mancato sviluppo e, quindi, di scarsità di opportunità di lavoro.

Ottimismo che si basa sulla presenza di germogli di nuova classe dirigente, cioè le persone che si affacciano al mondo dell'amministrazione pubblica mettendoci faccia, risorse e impegno (in sala c'erano il giovane candidato a sindaco del cdc Matteo Doria e la neoconsigliera di Santena Gianna Lisa, anch'essa candidata a sindaco e alla sua prima esperienza in assoluto), ottenendo risultati straordinari, come il neosindaco Bucci a Genova.

E proprio prendendo spunto da quest'ultimo e dalla sua molto ben definita direzione di marcia secondo alcuni asset portanti (nel suo caso, appunto, gli obiettivi dichiarati per Genova nel corso suo mandato: più 30.000 abitanti, più vicini a Milano, maggiore ruolo del porto e migliori servizi pubblici a minori costi per la collettività), Giacometto indica  da un lato le eccellenze torinesi e piemontesi che ci sono, come ad esempio la sanità - e tutto ciò che gravita attorno a quel mondo - , vista come opportunità e motore per un nuovo sviluppo, e non come costo.

Dall'altro lato, ha esortato ad andare a vedere esperienze in giro per il mondo ,di riqualificazione di intere aree urbane attraverso strumenti finanziari innovativi, in modo da rimettere in moto l'edilizia, che è il settore che ha patito di più la crisi sia in termini di addetti, sia in termini di fatturato, ma che resta un settore centrale per la ripresa della domanda interna.

Giacometto accetta la sfida e ed intende occuparsene, studiando, approfondendo e mettendoci la faccia. Nel suo caso ha tutta l'intenzione di vedere crescere qui i propri figli ( avendo una figlia di quattro anni e mezzo!!!).

Insomma, il messaggio c’è ed è chiaro. Quanti altri lo sapranno cogliere?

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Articolo pubblicato il 06/07/2017