Pamparato (CN) Cinquant’anni con brio. Sabato 1 Luglio l’inaugurazione del Festival dei Saraceni

Il programma dei prossimi giorni

Si è aperto con la solennità dei momenti importanti, la cinquantesima edizione del Festival dei Saraceni.

Fa gli onori di casa, il sindaco di Pamparato Fausto Mulattieri, un amministratore orgoglioso di continuare ad ospitare nel suo piccolo comune una manifestazione di altissimo livello che sin dagli albori ha potato nello storico borgo della Valli monregalesi, musicisti illustri, quali l’organista Luigi Ferdinando Tagliavini e i “Solisti Veneti” sotto la giuda di Claudio Scimone.

La peculiarità di questo glorioso festival continua a propone ad un selezionato pubblico una nicchia musicale che soprattutto all’inizio, in Italia era poco conosciuta.

Temi poi affrontati in un incontro coordinato dal critico musicale Giovanni Tasso che ha interloquito con Mario Uberti, il fondatore del Festival dei Saraceni e Maurizio Fornero,  che dall’anno scorso si é accollato la prestigiosa e autorevole direzione artistica del Festival.

Un passato che, oltre all’impegno di ideatori ed organizzatori, alcuni dei quali presenti alla serata, ha poturo evidenziare e valorizzare la presenza nel circondario di Pamparato di organi antichi ancora funzionanti, così da rendere quest’angolo della provincia di Cuneo, quale luogo ove la cultura musicale sin dall’800 é radicata nel territorio.

Nei programma dei Musici di Santa Pelagia, sono anche previsti approfonditi momenti di formazione per giovani musicisti.

Il concerto che ha avviato l’edizione 2017 del Festival, nel prestigioso Oratorio di Sant’Antonio, ha presentato le quasi inedite otto sinfonie di Williama Boyce, mirabilmente eseguite dal Musici di Santa Pelagia.

Giorgi Burdizzo e Bruna Raspini, violini

Ivan Cavallo, viola

Nicola Brovelli, violoncello

Federico Bagnnsco, violone

Arianna Zambon, Pietro Paolo Marino, oboe

Francesco Odling, Giulio De Felice Flauti

Maurizio Fornero, Clavicembalo e direzione


Intenso il programma di questa  settimana.

Giovedì 6 luglio alle ore 21, nella chiesa di  santa Caterina  Villanova a Mondovì, con “L’aimable accord”, risalteranno gli splendori della Cameristica Barocca francese.

Francesca Odling, flauto traversière; Francesca Lanfranco, clavicembalo

Il Musicolgo Giovanni Tasso, ci presenta le serate ed i rispettivi programmi “A partire dai primi anni del XVII secolo a Parigi si sviluppò un ambiente musicale estremamente fecondo, che nel giro di pochi decenni avrebbe influenzato la maggior parte dei paesi europei. Molti paesi europei, ma non l’Italia, che – pur nella frammentarietà del suo ordinamento politico – poteva contare su alcuni dei compositori che avrebbero determinato il corso della musica, a partire da Claudio Monteverdi per arrivare ad Alessandro Scarlatti.

In questo periodo alcuni compositori italiani e francesi cercarono di creare un dialogo tra due stili che sembravano inconciliabili – come François Couperin, che scrisse l’Apothéose de Corelli e Les goûts réunis – ma alla fine prevalse una sorda rivalità, che culminò a Parigi nella calda estate del 1752 con la Querelle des Bouffons, che vide il trionfo dell’opera buffa italiana sulla ormai obsoleta opéra-lyrique di Rameau e di Lully.

Da allora sono passati oltre due secoli e mezzo, ma i due paesi divisi dalle Alpi continuano a guardarsi con sospetto e con un senso di malcelata superiorità, un fatto che può spiegare la scarsa diffusione del repertorio del Grand Siècle nelle sale da concerto italiane.

Questo fatto rende ancora più prezioso il programma di questo concerto, che ci porta alla scoperta dei compositori fioriti nel raffinato ambiente di Versailles dell’ancien régime, non pochi dei quali continuano a essere virtualmente sconosciuti.

È questo il caso, per esempio, di André Le Sac, autore del tutto assente nei cataloghi discografici della fascinosa Deuxième Suite.

Relativamente più famoso è Michel Blavet, flautista e didatta di grande talento, che nel corso della sua vita ebbe la possibilità di incontrare a Parigi due delle massime celebrità della sua epoca, vale a dire Johann Joachim Quantz – maestro di flauto di Federico il Grande di Prussia – e Georg Philipp Telemann.

Pur essendo tedesco al cento per cento, quest’ultimo seppe immergersi come nessun altro nello stile delle altre nazioni, dall’Italia alla Polonia e dalla Boemia alla Francia.

Composta nel 1728, la Partia in programma è caratterizzata da una brillantezza elegante e priva di eccessi, dalla quale emerge un esprit inconfondibilmente parigino. Alla generazione precedente a quella di Telemann appartiene Élisabeth-Claude Jacquet de la Guerre, una delle pochissime donne di questo periodo che riuscirono ad affermarsi nel difficile campo della composizione e che oltre a una serie di raffinati lavori per clavicembalo ci ha lasciato Céphale et Procris, una tragédie-lyrique di ampio respiro, che ottenne un certo successo.

Il nostro excursus si chiude con Joseph Bodin de Boismortier, compositore molto prolifico sia in ambito strumentale sia in quello vocale, e con Jean-Marie Leclair, uno dei violinisti più brillanti della sua epoca, che trascorse diversi anni della sua esistenza a Torino, dove seppe conquistare il cuore del pubblico locale, contribuendo a dimostrare che in fondo la musica francese può avere diritto di cittadinanza anche al di qua delle Alpi”


Venerdì 7 luglio,alle 21, alla sala Ghisleri di Mondovi, potremo ascoltare “Voix d’enfants” Opere di Lajos Bardos, Fernando Lopes Graca, etc.

Coro Infanto – Juvenil de Universidade de Lisboa, Joao Lima, pianoforte Enrica Mandillo direttore.

“ Il coro di voci bianche affonda le sue origini nella seconda metà del VI secolo, quando Gregorio I Magno – il papa che aveva riorganizzato la liturgia cattolica, inserendo il canto che avrebbe poi preso da lui il nome di “gregoriano” – fondò nella Basilica di San Giovanni in Laterano e nella Basilica di San Pietro in Vaticano una “schola” per i pueri cantores.

Oltre alla loro funzione liturgica, i cori di voci bianche costituirono anche una palestra formativa di inestimabile valore, visto che tra le loro fila iniziarono la loro carriera moltissimi compositori passati alla storia della musica, da Giovanni Pierluigi da Palestrina a Johann Sebastian Bach e da Franz Joseph Haydn alla maggior parte degli autori britannici del XX secolo.

Come si può facilmente immaginare, nel corso di questa storia più che millenaria per i cori di voci bianche furono scritte innumerevoli opere di carattere sia sacro sia profano, che abbracciano tutti gli stili fioriti nel corso del tempo, spaziando dall’austera solennità dei lavori medievali all’innovativa originalità delle pagine composte negli ultimi anni.


Il programma di questo concerto propone un interessante spaccato di questa gloriosa tradizione, appaiando in maniera molto suggestiva brani noti ad altri virtualmente sconosciuti, partendo sotto il profilo cronologico da una commovente Cantiga de Santa Maria scritta da Alfonso X, celebre re di Castiglia e León del XIII secolo, per arrivare al Novecento storico di autori oggi conosciuti più che altro per la loro produzione orchestrale come gli inglesi Gustav Holst (The Planets) e Benjamin Britten (Guida del giovane all’orchestra e molto altro), il francese Maurice Ohana, fondatore nel 1947 del gruppo Le Zodiaque, il portoghese Fernando Lopes-Graça, secondo molti l’esponente più rappresentativo della scuola musicale lusitana del XX secolo.


Gli ungheresi Lajos Bárdos e Zoltán Kodály, quest’ultimo uno dei primi a occuparsi con il connazionale Béla Bartók dell’affascinante tradizione musicale del suo paese. I secoli compresi tra questi estremi sono rappresentati da una serie di suggestivi brani anonimi del XVI secolo e da La Fede di Gioachino Rossini, prima parte di un trittico dedicato alle virtù teologali, che tratteggia un’immagine che non molti conoscono dell’autore dello scintillante Barbiere di Siviglia.


Questo stimolante programma viene ulteriormente insaporito dall’abbinamento di pagine stilisticamente molto diverse di compositori provenienti da tradizioni ancora (colpevolmente) poco battute alle nostre latitudini, come quella finlandese e dei paesi baltici, che stanno dimostrando di possedere una vitalità e un’originalità di tutto rispetto, come si può notare dai brani di Suomalainen Kansavelma e di Soila Sariola, e quella sudamericana, che nel nostro caso trova piena espressione nel giovane compositore brasiliano Eduardo Lakschevitz e nell’argentino Emilio Solé.


Tutto questo forma un cocktail calibratissimo, in grado non solo di garantire un ascolto quanto mai gradevole, ma anche di fare innamorare di un repertorio in grado di riservare tantissime sorprese.


Sabato 8 luglio alle 21 alla Confraternita dei Disciplinandi a Torre Mondovì saranno eseguite le opere dei compositori della Famiglia Bach in “Jesu meine freude”.

Coro dell’Accademia Maghini, Elena Camoletto, direttore

“Quando verso la metà degli anni Venti del XVIII secolo compose i suoi sei mottetti, Bach coronò un genere sacro che aveva avuto inizio circa cinque secoli prima e che in Germania aveva raggiunto uno straordinario livello di raffinatezza grazie all’instancabile labor limae di molte generazioni di compositori, tra i quali si erano distinti parecchi antenati del sommo Cantor lipsiense.

Tra gli autori più emblematici di mottetti, spicca il nome di Heinrich Schütz, che aveva coltivato con pari profitto sia il genere per voci e basso continuo (Cantiones sacrae) sia quello per voci e strumenti obbligati (Psalmen Davids), dai quali si sarebbero sviluppati i mottetti corali e le più moderne cantate sacre per solisti, coro ed ensemble strumentale. Nel corso della sua vita Bach provvide a riunire con amorevole cura alcuni dei mottetti più belli dei membri della sua famiglia nell’Altbachisches Archiv, una raccolta di 34 mottetti, che nel suo insieme delinea uno spaccato molto interessante della musica liturgica che veniva eseguita nella Germania protestante verso la fine del XVII secolo.

Questo scrigno di meraviglie ci ha tramandato le due cantate in programma di Johann Michael e di Johann Christoph Bach, rispettivamente suocero (in quanto padre di Maria Barbara, prima moglie di Johann Sebastian) e cugino di secondo grado (nonché zio di Maria Barbara) del più grande dei Bach.

Si tratta di lavori intrisi di una fede sincera e solenne, concepiti il primo per coro a cinque voci (SATTB) e il secondo a quattro voci.

Cugino di secondo grado fu anche Johann Ludwig, che trascorse gran parte della sua esistenza nella piccola città di Meiningen, ricoprendo prima il posto di Cantor e poi di Kapellmeister del duca di Sassonia Ernst Ludwig I. Il suo mottetto Unsere Trübsal (La nostra afflizione) esprime la certezza delle comunità luterane che il dolore che affligge l’uomo in questo mondo non è che un preludio di breve durata alla felicità ultraterrena, che verso la fine viene esaltata da una vivace scrittura contrappuntistica.

Per finire lui, quello che molti considerano il compositore più grande di tutti i tempi, che in questo concerto è rappresentato da due opere di grande suggestione.

Dei sei mottetti “canonici” faceva parte fino a non molto tempo fa anche Sei Lob und Preis mit Ehren BWV 231, che in realtà altro non è che il secondo movimento della cantata Gottlob! nun geht das Jahr zu Ende BWV 28, con un nuovo testo aggiunto dal figlio Carl Philipp Emanuel Bach. Di ben maggiore spessore è invece Jesu meine Freude (Gesù mia gioia) BWV 227, un brano di ampio respiro suddiviso in undici movimenti composto nel luglio del 1723 per il funerale di Johanna Maria Rappold, figlia del rettore della Nikolaischule di Lipsia. L’intensa spiritualità e la scrittura tesa e scevra di ogni retorica hanno spinto molti studiosi ad annoverare quest’opera delicata e molto commovente tra i più grandi capolavori sacri di Bach.”

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Articolo pubblicato il 05/07/2017