Modena Park: Vasco Rossi festeggia quarant'anni di fronte del palco

1 Luglio 2017, l’Italia si è fermata: a Modena, Vasco Rossi e a Roma, Renato Zero.

Non si è parlato d’altro per settimane, e se ne parlerà ancora a lungo.

Guardacaso gli unici due veri miti della musica Made in Italy.

Ce ne sarebbe anche un terzo, a dire la verita, capace di fare altrettanto, ma per questa stagione ha deciso di rimanere sottocoperta, forse per non intasare la Via Emilia o l’Autostrada del Sole.

Tre miti, o per meglio dire, tre persone diventate tali perchè sono rimaste sempre se stesse, cantando se stesse, con stili diversi, ci mancherebbe, ma senza compromessi.

Questo credo, alla fine, sia il significato di “essere un mito”: scrivere e cantare canzoni che parlano di se stessi, della propria vita, dei propri sentimenti, perchè no, delle proprie frustrazioni, in maniera chiara, semplice e diretta.

Il pubblico lo capisce, lo apprezza, si riconosce nelle canzoni e fa di un uomo un mito.

Chiaro, limpido, Recoaro.

Sinceramente le disquisizioni sul numero di presenti, sui record di paganti, sulla distanza dal palco, sulla vendita dei biglietti, non mi interessano: Modena Park è stata la giusta, doverosa, celebrazione di quarant’anni di carriera, di un artista che ha riscritto le regole della musica d’autore, una festa di compleanno extra large che forse può segnare l’epitaffio del Vate di Zocca. Forse.

Certo, gli anni passano per tutti e i segni di una vita spericolata sono alquanto evidenti: la maglietta nera tira sugli addominali da tavola e il berretto perennemente in testa serve a coprire una calvizie ormai conclamata, ma quando appare sul palco, con un improbabile chiodo giallo ornato da borchie semplicemente inguardabili, ci si accorge che lo sguardo è sempre lo stesso, il ghigno sempre tale e l’energia altrettanta.

Colpa d’Alfredo” apre l’happening e non poteva essere diversamente.

In fin dei conti tutto è cominciato proprio lì, nel 1980, con la citazione a “Modena Park”, quando un noto collega di un noto settimanale dell’epoca, scrisse di un disco che segnava la prematura fine di una carriera neanche cominciata. Davvero profetico.

Seguono “Alibi” e “Blasco Rossi” e subito dopo una lunga parentesi dedicata agli anni ’80, personalmente quelli che preferisco, che raggiunge il top con “Ogni volta”, e come ogni cazzo di volta che partono i primi accordi di pianoforte, gli occhi sono un luccicone totale, che annebbia la vista. 

Ma non c’è tempo per pulire gli occhiali, gli anni passano anche per me: sale sul palco Gaetano Curreri, da sempre compagno di viaggio di Vasco, che dopo un medley appena accennato solo per tastiera dei primissimi singoli, parte con “Anima fragile” nel silenzio quasi irreale di duecento e passa mila presenti. Brividi che non posso descrivere e occhiali che non vogliono saperne di stare al loro posto.

La festa prosegue seguendo più o meno lo schema di “Vascononstop”, momenti rock alternati sapientemente a ballads, medley acustico compreso: “Vivere una favola” e “Liberi liberi”, personali manifesti di vita, “Non mi va” e “Rewind”, con un uno spettacolare sventolio di tette nude e conseguente lancio di reggiseni sul palco, portano la scaletta al crescendo finale, che parte con un intro da paura per “...Stupendo”, e prosegue con “Gli spari sopra”, ” Sballi ravvicinati del terzo tipo”, “C’è chi dice no”, ” Un mondo migliore”, ” I soliti”, ”Sally”, semplicemente un capolavoro, interpretata con grande trasporto, “ Un senso”, brividi e ancora brividi, ” Siamo solo noi”, quanto mai attuale, e “Vita spericolata”.

Naturalmente “Albachiara” chiude la celebrazione, con le tre guest-stars invitate, presenti sul palco: Gaetano Curreri, Andrea Braido e Maurizio Solieri, tutti in grande spolvero, che partecipano allo spegnimento delle quaranta candeline, in un tripudio di fuochi d’artificio che illuminano la notte modenese.

Nota di merito a tutti i tecnici, audio, fono, video e naturalmente alla band, semplicemente grande, semplicemente fantastica: Stef Burns e Vince Pastano, chitarre, Claudio Golinelli, basso, Andrea Innesto, sax, Alberto Rocchetti, tastiere, Frank Nemola, tastiere e programmazione, Clara Moroni, cori e Matt Laug, batteria.

Proprio il drummer statunitense merita un piccolo discorso a parte: richiamato in gran fretta causa la defezione di Will Hunt (in tournee con la propria band, gli Evanescence), è riuscito a riportare la ritmica di Vasco ai timbri originali, mettendo da parte gli arrangiamenti “heavy riff oriented” degli ultimi Kom-tour, che avevano scontentato parecchi fans, soprattutto della prima ora, tra cui chi scrive.

Un ritorno al “Vasco sound” pienamente azzeccato, per un concerto antologico come quello andato in scena.

1 Luglio 2017, si è fatta la storia al grido di “Noi non abbiamo paura. Non cambieremo le nostre abitudini. Il nemico non è l’odio ma la paura. Non chiudiamoci in casa”.

Quarant’anni di fronte del palco, che sono stati un brivido che vola via, un equilibrio sopra la follia, grazie ad un uomo che è riuscito a dare un senso alla vita di ognuno di noi, facendoci vivere una favola, un uomo che ci ha fatto sperare, sempre e comunque, in un mondo migliore.

Vasco 1 di noi.

P.S. Per dormire, dopo questa scarica di adrenalina e di watt, serviranno almeno dieci gocce di valium.

Stay always Tuned !!!

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Articolo pubblicato il 02/07/2017