Torino. “Non lasciamoci rubare la speranza”

L’omelia dell’arcivescovo Nosiglia nella festa di s. Giovanni Battista, patrono della Città

Ieri la Curia di Torino al gran completo, dall’arcivescovo Nosiglia, al cardinale Severino Poletto, con la partecipazione del capitolo dei Canonici ed i responsabili dei Piani alti della gerarchia ecclesiastica, capitanati dal vicario generale Monsignor Valter Danna, ha accolto in Duomo nella ricorrenza del santo Patrono, Gianduia e Giacometta, con la coreografia della maschere e dei dignitari provenienti dai centri della provincia, con che le associazioni di volontariato che oltre a propagare le tradizioni laiche tramandate nei secoli, continuano a svolgere un’intensa attività assistenziale.

Affollato il banco delle autorità che, per tradizione partecipano all’evento. In primo piano il prefetto Renato Saccone, la sindaca Chiara Appendino, che l’anno scorso aveva disertato la cerimonia. Il consiglio regionale del Piemonte era rappresentato dalla vice presidente on. Daniela Ruffino.

Quest’anno per i gravi fatti di ordine pubblico e di persistente disoccupazione giovanile, l’attenzione dei presenti e degli osservatori, era focalizzata sull’omelia che il presule Nosiglia era in procinto di pronunciare.

Le aspettative non sono andate deluse.

Non è stato un intervento avulso dalla realtà, o forzatamente dottrinale, già in premessa, quando l’arcivescovo è direttamente entrato nel solco delle aspettative dei cittadini “Il desiderio della nostra gente è di poter vivere in una città sempre più umana e vicina. Una città che abbia lo stile della famiglia, dove le relazioni sono improntate alla fraternità e al dialogo, alla comprensione e collaborazione tra le molteplici componenti religiose, culturali e sociali. Una città in cui ci si aiuta a vicenda, e non solo in termini di “pubblica assistenza”. Ma è possibile questo, se viviamo immersi in una cultura individualista, dove la ricerca del dio denaro, del proprio tornaconto personale e dell’interesse sembrano prevalere, a discapito dei valori di solidarietà nei rapporti”?

Per poi proseguire, senza omettere alcunché rispetto alle pesanti responsabilità di una politica che così come esercitata, si manifesta inconcludente e deleteria. ” Torino è riconosciuta, e giustamente, come la città dei diritti in tanti ambiti del vissuto personale e collettivo. Sarebbe bene però far crescere anche la città dei doveri, che spesso restano inevasi e ignorati da tanti cittadini e realtà sociali, economiche e politiche. Ad ogni diritto deve corrispondere un dovere. Penso al diritto al lavoro, a cui di fatto non corrisponde il dovere da parte dello Stato e degli Enti preposti, sia politici che economici e sociali, di far sì che tutti i cittadini abbiano assicurato un lavoro, fonte prima di dignità della persona e della sua libertà e promozione integrale. La perdita del lavoro nel nostro territorio, sia per gli adulti che lo avevano, sia per i giovani che non lo trovano, rappresenta la criticità più pesante a cui far fronte ed è dunque il primo dovere di ogni istituzione pubblica o privata.

È solo un esempio, come potrebbe essere quello relativo al dovere di rispettare il diritto alla quiete e al sonno notturno dei residenti nei quartieri della città, dove predominano invece il chiasso e lo schiamazzo della movida fino al mattino.

Analogamente, credo che anche i fatti tragici di Piazza San Carlo indichino che c’è ancora molto da fare, per educare a stare insieme in modo civile e rispettoso delle regole proprie dell’ambiente e degli altri, oltre ovviamente al dovere di programmare e gestire al meglio gli eventi cittadini”.

Per poi affinare l’attenzione al mondo della politica.” Un ambiente che oggi a Torino appare silente, soprattutto a confronto con la ricchezza di iniziative e proposte che vengono dai mondi del volontariato e delle attività culturali, ma anche delle imprese e del credito. Eppure la politica, che per i cristiani rimane la forma più alta di carità, è arte di costruire il futuro, momento in cui fare sintesi dei legittimi interessi di tutti i cittadini e disegnare un progetto unitario, organico per la città intera. Invece, oggi, manca questa passione per la politica, intesa come “amore per la città”, voglia di costruire insieme che vada al di là delle priorità individuali e di gruppo. Mancano, soprattutto, i giovani che scommettano sulla politica non come carriera, ma come realizzazione di una vocazione, di un progetto di vita”.

Ma, proprio per non cadere nella retorica, Nosiglia indica un via precisa “Per questo rivolgo un invito, cordiale ma caldo e pressante, affinché si incoraggino le iniziative di formazione politica, gli spazi di dibattito, confronto e ascolto sui temi concreti del nostro territorio – e tutto questo possa diventare canale che conduce a promuovere una “cultura politica” di base, che impegni ogni cittadino a operare insieme per il bene comune”.

Avviandosi alla conclusione, l’arcivescovo si domanda “Come dev’esserci una sola città, che appartiene a tutti, così deve esserci una sola libertà, che ugualmente appartiene a tutti. Ma tale libertà, proprio perché è comune, si fonda sul rispetto delle medesime regole e, prima ancora, sul rispetto profondo di ogni persona. Siamo tutti “prossimo”, gli uni per gli altri. Se non comprendiamo e non accettiamo questo, sappiamo anche da dove hanno origine l’incomprensione, il dissidio, la violenza”.

Al momento l’unico commento diffuso, ci perviene da Mino Giachino, l’indomito ex sottosegretario di stato nei governi presieduti da Silvio Berlusconi, fondatore dell’associazione  “SI LAVORO”.

“Altro che decrescita per Monsignor Nosiglia occorre fare tutto ciò che serve perché si creino le condizioni per la creazione di nuovi posti di lavoro, dalle opere alle politiche che aiutino l'impresa a crescere diciamo noi”. Giachino così conclude:

“E’ stato un discorso, come lo ha chiamato lui, cui la politica e i partiti debbono dare risposte concrete per la creazione di nuovi posti di lavoro.

E' ora che la politica ritorni a parlare di programmi e di cose concrete. 

Dopo un intervento come quello sentito stamane in Duomo nessuno può far finta di nulla”

Auguriamocelo. Dinanzi alla drammaticità della disoccupazione giovanile e del crescente disagio sociale, siamo stufi di ascoltare i ragli di coloro che si dopano con sociologismi di pessimo livello, continuando a parlarsi addosso di post fordismo, di società di servizi e poi non sono in grado neppur di formulare proposte adeguate.

Chiamparino e Appendino, fatevi sentire! .Abbandonate gli stucchevoli siparietti e passate ad azioni concrete. Se siete in grado. Altrimenti….. 

 

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Articolo pubblicato il 25/06/2017