L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Riforma elettorale. Le contraddizioni della mala politica

Intanto il voto si allontana

Si recita il melodramma tra Pd e Movimento Cinque Stelle dopo la rottura del patto a quattro sulla legge elettorale. Giovedì, infatti, alla Camera, è passato, con 59 franchi tiratori, l’emendamento sul sistema elettorale in Trentino Alto Adige, presentato dalla forzista Micaela Biancofiore, sul quale il relatore di maggioranza, Emanuele Fiano del PD, e i gruppi che sostengono l’accordo, hanno invece espresso voto contrario.

Ora Pd e Movimento Cinque Stelle, ma anche Forza Italia e Lega, si accusano tra di loro di aver fatto saltare il tavolo della trattativa sul sistema tedesco. Un caos peraltro prevedibile, perché in Parlamento siedono centinaia di parlamentari già certi di non essere ricandidati, e che dunque preferiscono remare contro qualsiasi intesa, pur di prolungare la loro permanenza in Camera e Senato fino alla scadenza naturale della legislatura. 

I sostenitori della fine naturale della legislatura comprendono, tra gli altri l’ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Romano Prodi a Walter Veltroni, Enrico Letta a Mario Monti. Si tratta di soggetti che elettoralmente non hanno più peso, ma che in molte cancellerie europee hanno ancora ascendente e se dicono qualcosa lo fanno quasi sempre a ragion veduta.

Ma in parlamento siedono e votano peones e tutti quanti temono la disoccupazione e sono disposti ad usare ogni mezzo per resistere.

L’unico davvero interessato ad andare alle urne al più presto è Matteo Renzi, smanioso di tornare a Palazzo Chigi. Aveva promesso di ritirarsi dalla vita politica in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre, ma si è ripreso la guida del suo partito in due mesi, senza un vero dibattito precongressuale, con primarie-farsa.

Ecco perché in molti sospettano che ad aver fatto saltare il tavolo della trattativa sul sistema elettorale siano stati proprio alcuni suoi fedelissimi, con l’evidente intento di avvelenare il clima, rendendo così impossibile la navigazione dell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni.

Per sciogliere le Camere occorre constatare la mancanza di una maggioranza parlamentare e quindi, essendo difficile da “architettare” un vero incidente parlamentare che provochi la caduta del governo, ecco creato ad arte uno scontro sulla legge elettorale.

Il paradosso della situazione si era verificato nelle corse settimane. Dopo mesi di dibattito sterile, i leaders dei quattro partiti che rappresentano l’80% dei parlamentari (PD,M5S, FI e Lega) avevano manifestato l’intenzione di tornare al sistema proporzionale, escludendo totalmente l’indicazione del voto di preferenza. L’elettore avrebbe potuto votare esclusivamente i candidati scelti dai partiti.

Nonostante le proteste di cittadini e associazioni per il vulnus alla democrazia, nessuna partito si è poi impegnato  contro l’abolizione di un diritto fondamentale.

Scelta suicida se si tiene conto della netta avversione per i politici e i partiti che anima gran parte dell’elettorato. Ma come vedremo, i compromessi ed i calcoli di bottega non finiscono qui.

Oggi le urne sono aperte per le elezioni amministrative  e i partiti non vogliono dare l’impressione ai rispettivi elettori di aver fatto intese trasversali e inciuci indigesti. La base pentastellata, tanto per fare un esempio, non è così compatta sulla nuova legge elettorale, anzi ritiene che si debba piuttosto lasciar logorare Renzi per un altro anno, votando nel 2018 con il Consultellum.

Anche i colonnelli berlusconiani esprimono perplessità su questa accelerazione. Pertanto, al di là delle parole, aspettare un altro anno per votare non sarebbe un dramma per gli azzurri, accreditati nei sondaggi di un 10-12%.

Dello stallo sulla legge elettorale e del conseguente allontanamento dell’ipotesi di voto in autunno sono pronti a beneficiare anche i sovranisti Salvini e Meloni, che puntano proprio sul fallimento dell’”inciucellum” e del “Nazareno bis” e dunque sul logoramento dei due principali attori di quell’accordo (Renzi e Berlusconi).

Sia il Movimento Cinque Stelle che la Lega potrebbero trarre vantaggio da elezioni a scadenza naturale, poiché ben difficilmente Renzi potrebbe appoggiare il governo Gentiloni per un altro anno senza subire i contraccolpi elettorali delle sue decisioni impopolari sul fronte economico-finanziario.

Ora il testo della legge elettorale, dimenticato lo strumentale scambio d’accuse di giovedì alla Camera, ritorna, su richiesta del Pd, in Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio per un supplemento di discussione.

I tempi inevitabilmente si allungano. E poi non è più così scontato rimettere in piedi l’accordo. Quand’anche alla Camera si ritrovasse la quadra, ben difficilmente al Senato ci sarebbero i numeri per approvare il testo.

La guerriglia sarebbe dietro l’angolo, sia per il malessere degli alfaniani e dei vari cespugli centristi, sia per quello dei franchi tiratori dei partiti maggiori. A quel punto, solo un decreto per uniformare i sistemi di voto di Camera e Senato potrebbe realizzare i sogni renziani di elezioni anticipate.

Ma alla fine l’ultima parola sarà sempre e comunque quella del Presidente della Repubblica.

Il cittadino elettore ormai non è più protagonista di nulla. Ma i partiti, senza linfa vitale e ricambio di generazioni pensanti, censurate ed escluse da oltre vent’anni di cesarismo, si trovano a presentare omuncoli ai vertici. Persone prive di carisma, di cultura politica e di senso dello Stato. Il confronto con i leader europei, a prescindere da idee e programmi è sempre più stridente.

D’altronde, al di fuori della retorica, la mediocrità dei risultati raggiunti e degli obiettivi attesi da parte dei nostri governanti, è eloquente. Il Paese, ossia i cittadini continuano a farne le spese, da spettatori rassegnati ed inerti.

Una prassi che non potrà continuare a lungo. 

Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it

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Articolo pubblicato il 11/06/2017