La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Il mendicante smemorato, professore di filosofia

Un professore di filosofia vaga per Torino in preda ad amnesia… si comporta da matto… la polizia lo fa visitare da un medico che lo fa rinchiudere al Manicomio di Collegno… qui lo ritrovano i suoi parenti…


Non è il celebre caso dello Smemorato di Collegno non siamo nella Torino del 1926 ma trent’anni dopo: stiamo leggendo “Stampa Sera” del 18 luglio 1957 che propone questo vistoso titolo «Fermato nella galleria S. Federico mentre chiede l’elemosina - Il mendicante smemorato / era professore di filosofia - Agli agenti ha dichiarato che voleva mettere alla prova l’umanità per distinguere i buoni dai malvagi - Un figlio l’ha riconosciuto, nonostante la barba di tre mesi, tra le fotografie segnaletiche della Questura».


Ed ecco la ricostruzione della vicenda:

 

L’altra notte, a tarda ora, una pattuglia di agenti della polizia, in un giro di perlustrazione per la città, trovava sotto la Galleria San Federico un vecchio che dormiva seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro, il capo ciondoloni. Era un mendicante, malamente vestito, la barba incolta; al suo fianco, sul marmo, era posato il cappello che conteneva qualche spicciolo.


Non era facile farlo parlare. Quando i funzionari gli rivolgevano una domanda, il mendicante alzava le spalle, gestiva stranamente come per indicare che non voleva perdersi in cose di cosi poca importanza.


«Ma il vostro nome com’è?» insistevano gli agenti.


Il vecchio cercava di ricordare, poi dichiarava di chiamarsi Aurelio Sarsanti e di essere residente a Savona.


I funzionari erano perplessi, la risposta di quell’individuo, non li convinceva: «I vostri documenti dove li avete lasciati?».


«Ma che cosa sono i documenti? - rispondeva l’uomo. - Non pretenderete certo di imbrigliare l’anima umana dentro un documento, nell’immagine di una fotografia, fra le parole di un nome e di un cognome, di un indirizzo. L’uomo è lui stesso con o senza documenti. La carta scritta non ha alcun valore di fronte alla grandezza dell’esistenza, della vita, di Dio».


Gli agenti si guardavano in viso con occhi sgranati. Non avevano mai visto nella loro carriera un mendicante che dicesse cose del genere.


«Perché mendicavate?».


«Non certo per il desiderio di accumulare il vile denaro - rispondeva l’uomo -. Il denaro è soltanto la misura della grettezza umana, il metro con il quale gli uomini indicano ai loro simili fino a quale punto l’avidità e la cattiveria hanno sopraffatto la generosità e la bontà che Dio, nella sua infinita misericordia, aveva loro concesso nel momento in cui li aveva chiamati sulla terra. Io  mendicavo appunto per poter distinguere gli uomini buoni da quelli cattivi e poter in tal modo fare una grande distinzione nell’umanità».


Gli agenti non insistevano oltre nelle domande. Ormai si erano resi conto che avevano a che fare con una persona dalle idee non perfettamente chiare. Chiamavano un medico municipale e facevano sottoporre il mendicante a visita sanitaria. Il risultato era quello che gli agenti avevano previsto dal primo momento in cui avevano sentito il vecchio aprir bocca: pazzo. Egli veniva pertanto ricoverato al manicomio di Collegno e la sua fotografia era inserita fra quelle delle persone smemorate, anche perché le richieste telegrafiche a Savona per indagini al nome di Aurelio Sarsanti avevano dato esito negativo.


Ieri si presentava in Questura un giovane: appariva stanco, angosciato: già da oltre una settimana cercava il padre, un professore di filosofia, di 68 anni, che era scomparso misteriosamente da casa. Lo avevano cercato presso tutti i parenti, presso gli amici, ma inutilmente.


I funzionari gli mostravano le fotografie degli smemorati. Con sua grande sorpresa il giovane riconosceva in una di esse, quella del vecchio che era stato trovato a mendicare sotto la Galleria San Federico, il proprio padre. Si recava subito a Collegno dove poteva riabbracciare il genitore il quale però, ancora in preda ad amnesia, non lo riconosceva.


Il professore è stato ora ricoverato in una clinica privata.

 

Si conclude così la vicenda che il cronista ha narrato con grande discrezione e senza fare alcun riferimento al caso dello Smemorato di Collegno, cosa piuttosto curiosa visto che a quel tempo era ancora capo cronista de “La Stampa” il carismatico Ugo Pavia che quel caso clamoroso lo aveva per così dire “creato” e gestito nelle fasi iniziali.

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Articolo pubblicato il 30/06/2017