Emanuele Filiberto di Savoja e il suo Piemonte
Emanuele Filiberto Duca di Savoia

Un “flash” che esplora aspetti apparentemente di storia “minore”

E’ dimostrato che la ricerca e lo studio della storia cosiddetta “minore” costituisce uno strumento fondamentale per integrare e arricchire, con l’apporto di elementi significativi, la narrazione della grande storia.

Questo è un merito metodologico,  che va riconosciuto  a tutti  gli studiosi o cultori di storia “minore” che, con una continua e certosina attività di ricerca archivistica, riescono a far emergere dall’oblio quella ricchezza di “particolari” che vanno a portare  nuova e rigogliosa acqua alle macine della grande storia.

Questa premessa è doverosa per posizionare il sintetico “flash” del dr. Gervasio Cambiano – cultore di storia locale delle tradizioni popolari – in merito all’argomento della sua ricerca “Emanuele Filiberto di Savoia ed il suo Piemonte”, che viene sotto allegata e proposta ai lettori. 

Emerge  con evidenza dalla ricerca come lo svolgersi degli avvenimenti d’ordine politico-economico-amministrativo, relativo a comunità stanziate in un territorio geograficamente circoscritto, fossero in realtà un tentativo di una verifica sperimentale  per una loro estensione  in ambito di aree di dimensioni maggiori e per finalità strategiche indirizzate alla ricomposizione  funzionale del nuovo  Stato ducale.

In sintesi viene focalizzata  la necessità di una irreversibile evoluzione  socio-culturale-amministrativa  obbligatoria,  da gestire con una visione politico-strategica  rapida ed efficace per l’esistenza stessa dello Stato, nella sfida competitiva con le potenze confinanti.

Una sfida non da poco e che rivelava il forte carattere e la grande lungimiranza politica di Emanuele Filiberto di Savoia.

Pertanto ogni apporto documentale, che contribuisca a questa finalità storica, è sempre ben accetto ed ha diritto di ospitalità e di divulgazione.

Come sempre rivolgo un ringraziamento all’Autore  per la sua costante e importante collaborazione.

Buona lettura.

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Emanuele Filiberto di Savoja e il suo Piemonte

Come è stato studiato ampiamente e dimostrato, dopo la battaglia di San Quintino1557 e la pace di Chateau  Chambresis  3 aprile 1559,   il  Duca di Savoja Emanuele Filiberto, figlio di Carlo II (morto il 16 agosto 1553), riebbe gran  parte dei vecchi domini piemontesi da anni divisi tra Francia e Spagna.

In realtà tale reintegro venne stabilito fin dal  12 luglio 1558,   col trattato di Gravelin e dopo il 1560, anno del rientro in queste terre, il giovane Duca  intraprese una severa, meticolosa ed efficace politica di riforme e riordino di tutto l’apparato pubblico.

In pratica ricostruì lo Stato andato in pezzi nei precedenti anni.

La Francia a metà del secolo XVI risultava in pieno possesso di Torino, Saluzzo, Pinerolo, Chieri, Chivasso e Casale.  

Il Re di Francia Enrico II di Valois  nel 1550 nominò  governatore a vita  di questo  Piemonte francese, il Maresciallo Carlo Cossè signore de Brissac che si rivelò valente  uomo di armi ed anche   buon amministratore della cosa pubblica.   

Sotto il suo governo venne  ripresa una politica  tendente ad una  migliore ed equa giustizia, venne intrapresa una serie di provvedimenti rivolti a mantenere le infrastrutture del territorio come il riattamento di numerose strade.

Il Brissac protesse (certamente per acquistare benevolenza e per attirare simpatia  alla parte francese) le Comunità  ed anche in una certa misura  la nobiltà feudataria.

Questa politica  condusse dopo alcuni anni ad  un certo benessere specie nel saluzzese e così si fece strada una corrente francofila tra i nobili ed i borghesi, ma anche tra l’elites, piccola ma importante, degli  amministratori comunali.

La Spagna a sua volta, con piglio più militaresco e dominatore,  teneva alcune città, prime fra tutte Asti e Santhià come sicure piazzeforti per conservare libera  la via della Lombardia e del Nord.  

Emanuele Filiberto (che aveva avuto l’investitura ufficiale delle terre dei Savoja  fin dal  1554 a Bruxelles dall’Imperatore Carlo V), in attesa di rientrare nelle terre dei suoi avi, si era circondato dei consigli e dell’esperienza di illustri e validi personaggi tra cui i Vescovi di Vercelli,  Asti ed Aosta, del giurista Belli di Alba, del senatore Giovanni Francesco Cacherano d’Osasco e del senatore fin dai tempi di  Carlo II conte Cassiano del Pozzo.

Quest’ ultimo fu confermato Presidente del Senato Subalpino di Torino.

E’ di sua mano il famoso memoriale  sociale e politico sullo stato del Piemonte, con proposte  sulla difesa militare,  giustizia ed economia  pubblica, nonché finanze e tasse, agricoltura, industria ed attività mercantili.  Un prezioso vademecum che Emanuele Filiberto tenne di gran conto nelle sue  decisioni.

Il Duca Emanuele Filiberto, con il seguito e la moglie  Margherita di Valois sorella di  Enrico II Re di Francia,  sbarcò  a Nizza proveniente da Lione nel novembre 1559, che era  una delle poche città  rimaste fedeli alla casa Savoja con Vercelli, Ceva, Fossano ed Ivrea.

La Valle d’Aosta, chiusa in un angolo a nord ovest della catena alpina, certamente non strategico,  da parecchi anni (1536)  faceva vita a sé stante dal  resto del Piemonte,  ma restava sempre  fedele ai Savoja.

A Nizza si fermò una decina di mesi e da qui  iniziò ad emanare  provvedimenti per riprendere in mano  l’amministrazione dello Stato Sabaudo o almeno di quel poco che gli restava.   

ln particolare il 29  dicembre 1559 emanò due provvedimenti che riordinavano l’ ordine pubblico. Uno riguardante reati come la bestemmia, le ingiurie ecc. e soprattutto la proibizione di usare i termini “guelfo” “ghibellino”.

Con questi due “nomi”, arrivati dal Medio Evo, era invalsa l’ abitudine  di indicare  due fazioni contrarie in molti luoghi del Piemonte, senza naturalmente badare al vero significato di tali termini, ma provocando lotte  e disordini.  

Nello specifico  col termine “guelfi” si indicava la parte filo francese e col termine “ghibellini” la parte filo spagnola.

Il secondo provvedimento, ancora più importante, riguardava l’abrogazione delle disposizioni e delle garanzie contenute negli Statuti dei Comuni grandi e piccoli, di origine e d’ ispirazione all’antico  diritto franco-longobardo. Consuetudine questa che, per tutta una serie di  delitti, compresi quelli gravi come lesioni ed omicidi, prevedevano la conciliazione in pene pecuniarie da dare all’ offeso od ai suoi famigliari,  come risarcimento in  tutto o in parte del danno.

Infatti questa “istituzione” considerava il clan famigliare detentore del diritto di comminare l’espiazione delle pene a chi lo aveva danneggiato e non la comunità civile, rappresentata dallo Stato.

Il provvedimento, elaborato in modo moderno, disponeva che tutti i delitti venissero puniti con il diritto comune e quindi con pene detentive o di morte nei casi previsti, o anche in denaro, ma comunque versate alle casse pubbliche e stabilite dalla superiorità della Legge sulle parti.

In  sintesi furono cancellati  gli ultimi retaggi del  sistema penale barbarico. Non più pene pecuniarie ingiuste ed irrisorie perché erose dalla svalutazione e di difficile applicazione, specie alla nobiltà.

Ed anche la fine  di tutta una serie di franchigie contenute negli statuti comunali  di ogni comunità.

In pratica si gettavano le basi istituzionali verso il progresso e la modernità del Ducato che entrava nella storia come nuovo e importante protagonista.

Gervasio Cambiano

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Articolo pubblicato il 02/06/2017