La quindicenne egiziana di Torino

La notizia che sta tenendo banco in TV e giornali di questi giorni riguardante l'episodio della ragazza egiziana quindicenne promessa in sposa ad un ragazzo che non conosceva, mi ha riportato alla mente ciò che diceva un mio professore universitario circa il concetto di amore moderno.

L'amore romantico come lo conosciamo oggi era quasi del tutto sconosciuto sino a cento anni fa, anche in Italia. Ci si sposava nelle famiglie ricche per interessi esistenti tra le due famiglie, fossero questi interessi politici o economici, oppure ci si sposava nelle famiglie povere contadine per garantire una migliore sopravvivenza.

Non è che questo giustifichi questo modello, il progresso per fortuna ci ha fatto evolvere e ciò che sembrava normale cento anni fa oggi ci sembra del tutto estraneo alla nostra civiltà. Ma tutto questo dovrebbe far riflettere tutti coloro che in questi giorni si sono scagliati contro questa famiglia, utilizzandola per motivi elettorali ed additandola come esempio di cultura barbara, se non altro perchè proveniente dalla cultura islamica.

Queste stesse persone che oggi si stracciano le vesti nel commentare tale accadimento, hanno probabilmente avuto uno dei nonni che si sono sposati per procura o comunque non per una libera scelta. Tale fenomeno, a differenza di quanto si possa pensare, non era esclusiva delle regioni del sud, a era ampiamente diffuso anche nel nord Italia sino agli inizi dello scorso secolo.

Ad esempio, in Piemonte era famosa la figura del Bacialè, nome che nel Medioevo indicava il novizio cavaliere o lo studente universitario (baccalarius,bachelier,baccelliere) cui accenna anche Dante nella Commedia, è passato, nel pittoresco linguaggio della nostra terra, a significare il sensale di matrimoni.

Dato il carattere, che potrebbe definirsi contrattuale del matrimonio contadino, basato spesso, più che sull'affettuoso consenso dei diretti interessati, , sulla sottile alchimia della valutazione della dote o della ricerca di un "buon partito", c'era bisogno di un intermediario specializzato che favorisse gli incontri, talora burrascosi, e che mediasse le laboriose trattative fra i parenti dei due fidanzati, al fine di regolare, in tutti i particolari, il matrimonio imminente (rangé la sposa).

C'era sempre qualche cascina isolata sulle colline, qualche cà dij bosch in cui una fanciulla, già un tantino avanti negli anni e non precisamente una bellezza, era ancora da collocare e perciò poteva prestare attenzione ad una proposta abilmente avanzata dal bacialé. Il quale, per la sua capillare esperienza di luoghi e di famiglie, aveva subito in mente l'uomo "ad hoc". Poteva essere uno scapolo o un vedovo, anche lui sufficientemente maturo, non esattamente un Adone e, magari, gravato di qualche inconveniente, tale però da non costituire un "impedimento dirimente" agli indulgenti ed esperti occhi del sensale, buono, insomma, per un matrimonio che sarebbe stato (garantiva quello) un vero successo.

Da un ricordo di “Vecchio Piemonte”

Una domenica, dopo la mietitura, porta un cliente anzianotto a incontrare la ragazza destinata che abita con i suoi in un casale sulla punta di una collina isolata. Prima di tutto, si procede ad una scrupolosa ispezione dello "stato" della famiglia: lo stabile, le vigne, la stalla; poi avviene l'incontro, impacciato e quasi muto, dei due; presenti, naturalmente, i familiari. Infine la cena e i primi generici accordi sulla dote e sul fardél. I due tornano tardi al paese, lungo una stradina di campagna che si distingue solo per il bianco della polvere.

Il neo-fidanzato, ringiovanito dall'entusiasmo, va innanzi con l'andatura di un puledro; dietro trotterella il sensale grassottello e pasciuto fuori ordinanza. In un momento di naturale sosta obbligata, il sensale interrogò il promesso sposo chiedendogli un parere, da uomo a uomo, sulla ragazza. Quello, non senza un certo imbarazzo, rompe il lungo silenzio, esplodendo in una folgorante risposta: "mi piace". Non lo dice nel dialetto abituale, che sarebbe scolorito e povero, ma nientedimeno che in un italiano per lui insolito, spolverato, per l'occasione, dai ricordi della scuola.

 

Pertanto prima di scandalizzarci e di proporre una crociata contro i nuovi saraceni forse faremmo meglio a guardarci indietro e comprendere che un giorno siamo stati saraceni anche noi e solo con il tempo, il progresso e migliori condizioni economiche abbiamo progredito verso una società migliore, quella stessa società che oggi alcuni nostri politici vorrebbero far regredire verso modelli che hanno riportato le lancette del tempo indietro di un secolo. 

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Articolo pubblicato il 11/04/2017