Il multiculturalismo in Nord Europa sta naufragando miseramente e quello che ci resta è una guerra.

L'attacco a Stoccolma, i missili di Trump e la dottrina del primo colpo. Di Roberto Santoro

Ancora un camion lanciato sulla folla, ancora terrorismo, dice il premier svedese dopo l’attacco a Stoccolma, e il presidente francese Hollande tira in ballo l’Isis, anche se non ci sono rivendicazioni del Califfo. Dopo l’auto sfracellata contro i cancelli del parlamento inglese, l’attacco al mercatino di Berlino e la strage sul Lungomare di Nizza, però, tutti a quel terrorismo pensano, islamico.

E chissà se adesso continueranno a raccontarci che i Paesi del Nord Europa sono un fulgido esempio di integrazione, o difenderanno ancora quel modello, il multiculturalismo, che in Svezia ha prodotto zone fuori controllo, quartieri dove la polizia non entra per timore di essere prese a sassate, con macchine bruciate e donne a cui viene consigliato dalle autorità di non vestirsi in modo provocante se non vogliono essere molestate.

Per adesso, Svezia e Paesi confinanti si affrettano a reintrodurre i controlli alle frontiere. Il multiculturalismo in Nord Europa sta naufragando miseramente e quello che ci resta è una guerra, una guerra permanente dove ormai gli attacchi contro le città europee stanno acquisendo una cadenza settimanale.

Ma il problema non è solo il fallimento del multiculturalismo, il problema è che la situazione internazionale negli ultimi anni è andata fuori controllo perché l’America di Obama e l’Europa riluttante sono venuti a patti con i regimi dispotici e hanno scambiato ingenuamente per primavere arabe una nuova ondata di odio islamico contro l’Occidente.

Per cui fa bene Donald Trump a lanciare una sventagliata di missili sulle basi di Assad in Siria perché questo è un gesto concreto, e molto forte, quel tipo di reazione che serve per far capire a tutti, ma proprio a tutti, che gli anni di Obama sono finiti.

Che dalla Siria alla Corea del Nord, passando per i regni più o meno medievali dell’internazionale islamista, l’epoca della mano tesa all'Iran è finita. Reagire vuol dire che per ogni attacco, per ogni strappo alle regole della comunità internazionale, che siano attentati sanguinari o armi chimiche, ci sarà una risposta, come ha fatto Trump dando l’ordine alla marina Usa  di sferrare il primo colpo.

Dopo l’11 Settembre, in questa guerra permanente che dura ormai da più di un decennio, ci vollero due conflitti, la liberazione dell’Afghanistan dal regime talebano e il cambio di regime in Iraq per impegnare sul campo il nemico e costringerlo a combattere sul suo terreno impedendogli di seminare altro sangue in casa nostra.

Donald Trump, che è un presidente da cui ci si può aspettare di tutto, potrà anche aver deluso quelli che si aspettavano una America isolazionista, quelli che oggi in Europa al seguito di Putin denunciano la violazione della sovranità siriana; ma la Siria non esiste più, è uno Stato fallito. 

La Siria è un Paese guidato da un regime ormai totalmente delegittimato e terreno di battaglia per la internazionale nera del Califfato e di Al Qaeda. Se non vogliamo che anche la Svezia o qualsiasi altro paese europeo lo diventi – uno stato fallito – allora meglio rimediare agli errori commessi in passato e colpire per primi, là dove si annida il male, qualsiasi esso sia.

E stai a vedere che seguendo questa strategia l’America torna ad essere protagonista. Tanto l’Europa si adegua. E a quel punto lo faranno anche russi e cinesi. E finalmente forse avremo meno camion killer sulle nostre strade e qualche dittatore in meno in questa o quella parte del mondo. 

loccidentale.it

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Articolo pubblicato il 08/04/2017