L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS Francesco Rossa: Le terapie per il malato Italia

Crescita preoccupante della “Terza società”

L’Italia era uscita dalla Seconda guerra mondiale distrutta nel morale, nelle strutture fisiche, nell’apparato produttivo, nella credibilità internazionale. Verso la fine degli anni quaranta del novecento sembrava molto improbabile che per l’Italia fosse possibile una ripresa a breve termine.

Quindici anni dopo, con la ricostruzione quasi completata, l’economia era in piena espansione. L’Italia ospitava con grande dignità un evento mondiale, le Olimpiadi, che erano state unanimemente definite le migliori celebrate fino allora.

Aumentava il benessere, l’economia galoppava, il PIL cresceva a un ritmo mai visto prima e tra i primi al mondo, la nostra valuta era talmente solida da vincere l’Oscar delle monete, si avviava la motorizzazione di massa, aumentava a ritmo vertiginoso la scolarizzazione, e anche per la diffusione della TV stava sparendo l’analfabetismo, la disoccupazione diminuiva giorno per giorno e la tassazione era sopportabile.

 A quei mitici anni, per cercare di individuare le terapie per il domani, si sono richiamati autorevoli oratori, trai quali i Professori Francesco Forte, Giuseppe Bracco e  Mario Zangola, l’ex sottosegretario Bartolomeo Giachino, nel corso di un convengo organizzato  a fine febbraio a Torino dall’Associazione” SI LAVORO”.

Partendo dalla situazione Paese, si è evidenziata la realtà torinese.” Torino una volta era una Città di arrivo oggi da Torino si parte". Negli anni 50-70 era la Città del lavoro. Oggi No.

Qualche sprovveduto che in gioventù, dal palco del Partito Comunista predicava la deindustrializzazione di Torino, quando è stato eletto sindaco ha puntato solo e tutto sul Turismo e cultura ed é stato un suicidio.

Purtroppo stiamo pagando il divario tra la lungimiranza e la determinazione di Amedeo Peyron, Gian Carlo Anselmetti, Giuseppe Grosso, Giovanni Picco e Giovanni Porcellana,  sindaci che contribuirono a costruire la Torino, capitale dell’industria e del lavoro attuando la politica dei trafori, le grandi comunicazione, le infrastrutture e i servizi pubblici essenziali e la deprimente situazione degli ultimi anni, favorita anche da sindaci inadeguati, ove si è pure sperperato quanto costruito con grande fatica.

In Italia il ritorno della democrazia aveva stimolato una partecipazione consapevole ed entusiasta alla gestione della Res publica per il raggiungimento del bene comune.

I giovani che provenivano dal Partito Popolare, da quello Socialista, dalle aree di pensiero laiche, durante gli anni del fascismo, si erano dedicati a sviluppare le loro professionalità nel mondo del lavoro; giunti alla maturazione fisica e intellettuale, nel ’45-’46 erano pronti ad assumere l’onere della gestione degli affari pubblici.

Fu così che, dietro  Alcide De Gasperi che si rimboccò le maniche e li mise tutti alla stanga, la neo selezionata classe dirigente era composta da professori universitari, dirigenti di banca e di azienda, professionisti affermati.

Varie le provenienze, ma unica la caratteristica che li vedeva persone di successo nel loro ramo di attività. Si cominciò a ricostruire l’Italia, o meglio, a costruire una nuova Italia. I risultati furono eccezionali.

Oggi non è possibile abbozzare paragoni. La politica non è più una mission, ma un’opportunità d’impiego per disoccupati di basso rango, mentre per sopperire alla bisogna, le poltrone e poltroncine sono smisuratamente aumentate.

Chi sono i protagonisti emergenti? Gente che non ha mai lavorato, o che ha di quelle qualifiche ibride – giornalista che non scriveva, funzionario di associazione senza responsabilità, ecc. – inventate per dare copertura ai predestinati che hanno bisogno di una qualche prebenda per potersi dedicare alla politica; e che ha occupato posizioni di rilievo non per averle conquistate in un confronto di qualità, ma per intrallazzo, per clientelismo, per cooptazione.

E’ sufficiente leggere tra le righe i curricula dei nostri eletti o nominati nel Parlamento e nelle assemblee elettive per averne prova. 

Costoro giocano con il destino dei giovani e con i risparmi dei contribuenti, senza essere in grado di assumente provvedimenti sensati o controllare situazioni inadeguate.

Il più delle volte non si rendono contro dei loro insuccessi e deprecano contro coloro che li hanno preceduti o altro. Senza rendersi conto che il difetto non stava nella macchina, ma nel manico.

Infatti il potere politico è irresistibile, e può superare qualunque ostacolo; purché si verifichino due condizioni: che lo si voglia usare e che lo si sappia usare: se non lo si vuole o non lo si sa usare è un’arma spuntata.

Non bastano comunque gli accademismi o il rimpallo delle responsabilità. Le conseguenze della cattiva politica sono devastanti, specialmente nei settori portanti della Società. Se ci soffermiamo sulla disoccupazione, specie quella giovanile, i l quadro è drammatico.

Ne ha recentemente parlato il professor Luca Ricolfi analizzando quella che  viene definita “terza società”.

La terza società è composta da disoccupati, lavoratori in nero sfruttati e sottopagati, da coloro che cercano lavoro e non riescono a trovarlo e da persone che hanno perso la speranza di inserirsi nel mondo produttivo. La terza società è formata dagli esclusi, un frammento significativo della popolazione attiva presente nel nostro Paese.

Infatti rientrano in questa categoria gli esclusi dal mondo produttivo, circa nove milioni di individui. Prima che avesse inizio la crisi economica, gli esclusi dal mondo produttivo erano sei milioni. In seguito alla crisi, i cui effetti devastanti si sono dispiegati nel decennio cha va dal 2007 al 2017, questo segmento della società è esploso.

Solo la Grecia e la Spagna hanno una quota di esclusi dal mondo del lavoro superiore a quella dell’Italia. Tuttavia, se volgiamo lo sguardo alla storia del nostro Paese, emerge che la terza società, formata dagli esclusi, dal secondo dopoguerra fino ai nostri giorni è sempre esistita.

Nel periodo che va dal 1963 al 1972, il processo di ristrutturazione del mondo produttivo comportò l’esclusione dal mondo del lavoro di milioni di persone. Anche negli anni Ottanta e Novanta vi furono molte persone che si trovarono in una condizione di esclusione dal mondo produttivo.

Infine, a causa del decennio della lunga crisi economica, la disoccupazione è aumentata, a causa anche dell’inefficacia delle misure approvate dai governi. Ricolfi si è chiesto quale forza politica possa aspirare a rappresentare la terza società.

Quanti fanno parte di questo significativo segmento sociale dimostrano di prediligere le forze populiste come i Cinque Stelle e la Lega e rifiutano di accordare la loro fiducia politica ai partiti più autorevoli e rappresentativi della Seconda Repubblica, come Forza Italia e il Partito Democratico, che di fatto hanno assicurato il funzionamento del sistema bipolare, oggi sprofondato in una crisi gravissima di rappresentanza.

Le due precedenti ondate di crescita della terza società sono sfociate in rivolgimenti e crisi del sistema politico italiano.

Infatti la prima ondata degli esclusi ha favorito le lotte degli operai e degli studenti, grazie alle quali vi è stato il movimento del Sessantotto, che ha avuto enormi implicazioni nella vita politica e culturale in Italia e in Europa.

La seconda ondata degli esclusi, dovuta ai mutamenti della società industriale negli anni Ottanta e Novanta, ha favorito la crisi di sistema che ha travolto nel biennio del 1992-94 i partiti storici e reso necessario un cambio di regime.

Questa terza ondata di esclusi, visto che è composta da oltre nove milioni di italiani senza lavoro e sprovvisti di ogni garanzia, quali rivolgimenti profondi potrà produrre nel sistema politico italiano?

In questi giorni partiti e movimenti stanno già misurandosi per le prossime elezioni che presumibilmente si terranno nel 2018.

Ma se l’impegno non è associato a contenuti, si rischia di continuare con il balletto degli eunuchi della politica. Le cronache recenti sono piene di resoconti che confermano queste valutazioni.

Più difficile da trovare, vorremmo dire rara, è la capacità di utilizzare efficacemente il potere politico, perché manca il presupposto, cioé il possesso di una buona conoscenza delle regole di funzionamento dell’amministrazione pubblica, e una attitudine al comando efficace, cioè sapere dove si vuole andare e come si deve indirizzare il timone per arrivarci.

Chi possegga queste due qualità ed ha una visione ampia della realtà e del futuro, ha diritto ad essere definito “uno statista”.

Oggi in Italia di statisti non ce ne sono.

Occorre, al più presto, una classe dirigente nuova, che non sarà facile reperire, ma senza la quale l’impresa di rilancio dell’Italia, comunque assai difficile, appare impossibile.

Di evirati cantori o bocconiane vezzose ne abbiamo ormai piene le tasche.

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Articolo pubblicato il 12/03/2017