La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Quella maledetta domenica di follia: rissa tra due cognati, con omicidio

Per inquadrare adeguatamente i protagonisti di questa brutta storia familiare bisogna prima chiarire una complicata parentela.

Tutto inizia a Biella, intorno al 1850, quando la famiglia Piana ha due figlie, Carlotta e Lucia, in età da marito. Un certo Giovanni Battista Lora inizialmente corteggia Carlotta ma poi le preferisce la sorella Lucia, più avvenente, e la sposa senza il consenso dei genitori. Questo matrimonio contrastato provoca una rottura tra Lora e la famiglia Piana, la quale non vuol più sentir parlare né della figlia Lucia né di suo marito.

Giovanni Battista Lora si trasferisce con la moglie Lucia a Torino, dove vanno ad abitare in via dei Fornelletti, oggi via Franco Bonelli. Vivono sereni e dal loro matrimonio nascono sei figli: Elena, che nel 1870, al tempo della nostra storia, ha già 19 anni; Giuseppina, che fa la sonnambula presso il magnetizzatore Grosso, Stefano e poi Alfonso, Secondina e Natale, ancora bambini.

Mentre la famiglia Lora prolifica a Torino, Carlotta, sorella di Lucia, ha sposato Francesco Gamba ed ha avuto un figlio, Serafino, che nel 1870 è sui vent’anni ed abita a Torino.

Qualche mese dopo il contrastato matrimonio della figlia Lucia, i coniugi Piana hanno avuto un figlio, Celestino Piana, che ha la stessa età della nipote Elena. Celestino nel 1870 viene a lavorare a Torino come falegname (“minusiere”) e va ad abitare presso il nipote Serafino Gamba del quale è praticamente coetaneo.

Quella di zii e nipoti con la stessa età era una situazione che, in passato, veniva a crearsi perché le donne iniziavano a partorire già molto giovani e il numero dei figli era elevato.

Tornando a Celestino, questi non aveva mai conosciuto sua sorella Lucia e suo cognato Giovanni Battista Lora a causa dell’ostilità fra le famiglie. Nel mese di luglio del 1870, Celestino li incontra quando gli vengono presentati dal nipote Serafino Gamba che lo ospita. L’incontro fa molto piacere ai Lora che invitano Celestino a frequentare la loro casa ma questi torna a far loro visita soltanto due mesi dopo, nel pomeriggio nella fatale domenica 18 settembre 1870.

Quel giorno, Elena è rimasta in casa per assistere la sorella Secondina, mentre i genitori sono andati a passeggiare con gli altri figli, col magnetizzatore Grosso e Giuseppina, la figlia sonnambula, che è piuttosto indisposta tanto che la madre la accompagna a casa del magnetizzatore Grosso, dove risiede, per coricarla.

Lora, coi figli Alfonso e Natale per mano, si dirige allosteria Fiandesio, in via del Deposito (via Piave), dove, secondo gli accordi, la moglie lo raggiungerà con le figlie Elena e Secondina.

Nellosteria Fiandesio, Lora trova due amici, Teodoro Moggia e Bernardo Calcia, collega di lavoro di suo figlio Stefano. Calcia corteggia Elena: chiede sue notizie al padre e quando sente che la ragazza sta per arrivare in compagnia della madre, lo invita a sedere al suo tavolo e gli offre da bere. Intanto, Lucia Lora corica Giuseppina e poi va a casa sua, in via Fornelletti, per prendere le due figlie. Qui trova suo fratello Celestino col nipote Serafino Gamba.

A quanto pare Celestino si è invaghito della nipotina Elena, bella e graziosa. Quando sente che la ragazza andrà allosteria Fiandesio, con la scusa di salutare il cognato, si offre di accompagnarla.

Vanno tutti allosteria: Calcia appena li vede, ordina subito tre litri e invita Elena a sedersi vicino a lui. Si beve allegramente, e Calcia propone di cantare in coro così lui ha il tempo di sussurrare a Elena paroline graziose. La faccenda infastidisce Celestino che, ingelosito, si mette a questionare con Calcia. Lora prima cerca di calmarli, non ci riesce e allora invita tutta la combriccola ad andare fuori per prendere aria. Così escono tutti, percorrono diverse vie e arrivano in via dei Fornelletti. Davanti alla porta di casa sua, Lora dice di volersi ritirare con la famiglia e saluta la combriccola.

A questo punto Celestino manifesta al cognato questa strana pretesa: «Voglio che tu venga con tutta la famiglia a bere ancora un litro con me».

Lora rifiuta con garbo ma, ad ogni suo rifiuto, Celestino si intestardisce sempre più, ne fa una questione di prestigio personale («Credi forse che io non abbia denari?») poi inizia ad essere manesco: afferra il cognato per un braccio e tenta di trascinarlo per la via. Invano Lora lo ammonisce di non rovinargli gli abiti da festa, Celestino continua a strattonarlo e gli fa cadere il cappello per terra. Lora lo raccoglie ma lo lascia nuovamente cadere e lo scalmanato Celestino lo schiaccia con un piede. A questo punto Lora, seccato, invita Celestino a comportarsi da persona educata ma l’altro insiste, ostinato, proclamandosi offeso per il rifiuto della sua offerta del litro di vino.

«Per la seconda volta che ci vediamo tratti veramente da ineducato, - esclama Lora - potevi aspettare a venirmi a trovare quando fossi stato meno ubriaco».

Ormai Celestino è scatenato: «Tu sei un villanaccio, tu sei ubriaco, tu sei un brigante che tratti male il cognato, come hai trattato male con la Carlotta», dice a Lora poi continua a rivolgergli parole offensive finché questi perde la pazienza e lo prende a ceffoni, con tanta energia da gettarlo a terra.

Scoppia un parapiglia: Lucia Lora prega il nipote Serafino Gamba di portarsi via Celestino mentre lei, con l’aiuto degli amici Moggia e Calcia, cerca di trascinare il marito in casa. Celestino e Serafino Gamba si allontanano per via di S. Agostino ma vanno a fermarsi davanti alla chiesa omonima.

Sembra tutto finito, Lora si è calmato e invita la moglie e gli amici Moggia e Calcia ad andare con lui a bere un caffè nel caffè Bellardi in via Milano. Moglie e amici rifiutano, cercano di convincerlo a restarsene a casa: niente da fare, Lora esce dicendo che andrà da solo al caffè Bellardi. Poco dopo la moglie, preoccupata, manda Moggia, Calcia e la figlia Elena a raggiungerlo per fargli compagnia.

I tre in via Santa Chiara assistono a una strana scena: Serafino Gamba sta tirando Celestino per un braccio dicendogli «Andiamo via, andiamo via!» ma Celestino gli resiste rispondendogli: «Voglio restare, voglio restar qui».

Dopo averli osservati per un bel po’, Calcia, Moggia ed Elena fanno pochi passi e vedono, davanti allalbergo della Luna, un gran numero di curiosi. Chiedono notizie e scoprono che, sdraiato a terra giace un morto, ucciso da una coltellata nel collo: è Giovanni Battista Lora!

Tra la commozione degli astanti, la giovane Elena manifesta il suo straziante dolore. Intanto Calcia assume la direzione delle operazioni: trova quattro giovani nerboruti per trasportare il cadavere nel vicino ospedale di San Maurizio e chiede l’intervento del brigadiere Cremonesi, un capace poliziotto al tempo noto in Torino, che incontrano durante il tragitto. Moggia avverte la moglie di Lora che accorre prima all’albergo della Luna poi all’ospedale, percorrendo disperata via della Basilica, dove incontra la figlia. Allospedale, le due donne, sconvolte e piangenti, rinnovano le scene di dolore. Calcia e Moggia escono dall’ospedale, vedono Celestino e Serafino Gamba che chiacchierano tranquillamente a bassa voce, mentre percorrono via della Basilica, svoltano in via Milano ed entrano nel caffè Bellardi. Corrono ad avvertire il brigadiere Cremonesi che procede all’arresto: Celestino confessa di aver ucciso suo cognato ma si discolpa dicendo di essere stato insultato e pesantemente minacciato davanti allalbergo della Luna. Serafino Gamba nega di aver partecipato al misfatto, sostiene di aver cercato di togliere il coltello a Celestino e viene poi lasciato in libertà.

Maledetta domenica di follia: è difficile trovare scusanti per il comportamento di Celestino che ha intralciato i programmi domenicali dei parenti per poi manifestare un atteggiamento arrogante ed astioso nei confronti del cognato, padre di famiglia e molto più anziano di lui.

Tutto questo, nelle carte processuali, diventa per Celestino una accusa di ferimento volontario: a causa di un precedente diverbio ha prodotto a Lora una ferita al collo, causa di morte quasi istantanea.

Viene processato dalla Corte dAssise di Torino, dove, l’8 marzo 1871, in base al verdetto dei giurati, è dichiarato colpevole del reato, commesso nell’impeto dell’ira in seguito a provocazione, non però grave. Inoltre, avrebbe inferto una ferita mortale ma oltrepassando le sue intenzioni, senza che lui potesse prevederlo!

La lettura del suo certificato di nascita conferma che Celestino è maggiore dei 18 anni ma inferiore ai 21, ed è quindi condannato soltanto a sei anni di reclusione.

Il cronista giudiziario Curzio ne racconta la vicenda nella “Gazzetta Piemontese”, dell’11 marzo 1871.

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Articolo pubblicato il 02/03/2017