Torino, il silenzio dei codardi

Dopo quarant’anni di complice oblio, si ricorda il barbaro assassinio di Roberto Crescenzio

Giovedì mattina, come recita un laconico comunicato, alle ore 11:00, al Liceo Gioberti (via Sant'Ottavio 20), Aula magna, il vicepresidente del Consiglio regionale Nino Boeti ed il presidente del Consiglio Comunale Fabio Versaci interverranno alla cerimonia di scoprimento della targa in memoria di Roberto Crescenzio.

Targa che verrà poi collocata in via PO, 46 dopo quarant’anni di voluto oblio, nonostante le pressioni ed i solleciti dell’Associazione Vittime del terrorismo e di altri Centri culturali democratici e apartitici.

Come ai funerali di quarant’anni fa, il Centro Pannunzio parteciperà con il labaro. Il Professor Pier Franco Quaglieni ci conferma che “se sarà necessario, nel dibattito che vogliono aprire, chiederò di intervenire. In un contesto di violenza eversiva non si può sottilizzare tra terrorismo, violenza politica, violenza eversiva”.

Il lungo e colpevole silenzio delle Istituzioni, era voluto per non disturbare le anime candide che dopo i ripetuti lanci di bombe molotov, pur senza rinnegare il loro trascorso giovanile in Lotta Continua o altre analoghe organizzazioni criminali, sono passati a ricoprire cattedre universitarie, seggi parlamentari e ruoli apicali in enti pubblici ed istituzionali culturali.

Nonostante questa pagina vergognosa nella storia di Torino, nelle ultime settimane alcuni dei protagonisti di allora hanno osato contestare la dizione che era stata scelta per la lapide a ricordo dell’efferato delitto.

Non sappiamo se alla fine prevarrà un iniquo e disdicevole compromesso.

Al colmo dello sconcerto,  è stato diramato un pusillanime comunicato dell’Ufficio di presidenza del consiglio comunale che, nel confermare la manifestazione precisa che, “l'Ufficio di Presidenza del Consiglio Comunale si impegna tuttavia ad organizzare un momento di incontro utile a favorire un dibattito nel merito, a partire delle differenti,  ma conciliabili posizioni sul tema”.

Allo scoprimento della lapide parteciperanno, come accennato, anche Organizzazioni democratiche, lontane dal partitismo compromissorio che sin dal 1977, invocano la chiarezza su questo barbaro omicidio, per cui confidiamo che il tutto non si esaurisca nell’ennesima prova muscolare degli allora “giovani compagni che sbagliano” e i canuti esponenti del post comunismo, ancora in auge pronti e supini a confondere idee e concetti in un periodare offensivo e rinunciatario.

Per coloro che non c’erano o che hanno solamente letto le paranoie ufficiali, vorremo brevemente inquadrare fatti e personaggi, protagonisti degli “anni di piombo”, una lunga stagione di violenze e dissacrazioni.

Il 1 ottobre del 1977, in seguito ad un episodio di violenza e contrapposizioni tra sigle estremiste avvenuto a Roma, anche a Torino viene organizzata una manifestazione studentesca di protesta che, inizia in corso Francia per sfilare contro la sede del MSI, con annesse violenze e danneggiamenti.

Il corteo poi degenera e invade il centro di Torino con danni a edifici, auto, saccheggi di negozi e lancio di molotov.

Alle 11.45, l’episodio più grave. Dal gruppone, che sta svoltando in via Sant’Ottavio per raggiungere l’Università, si stacca un gruppuscolo di dieci-dodici manifestanti mascherati e carichi di molotov.

L’obiettivo è il bar-discoteca Angelo Azzurro, via Po 46, già incendiato il 22 aprile perché definito “covo di fascisti” o “locale borghese”. All’esterno del bar sosta in quel momento il proprietario Luigi De Maria, all’interno vi sono solo quattro persone: la moglie del titolare, Maria Benedetta Evangelista, il barista, Bruno Cattin e due amici che prendono l’aperitivo, Roberto Crescenzio, studente-lavoratore, e Diego Mainardo, operaio Fiat e studente di ingegneria.

La moglie del titolare e il barista riescono a fuggire dal retro, Diego Mainardo viene malmenato e gettato fuori, poi gli estremisti lanciano un grappolo di bottiglie incendiarie nel locale ed esplode il dramma.

Roberto Crescenzio, terrorizzato, cerca scampo nella toilette e segna così il proprio destino. In un baleno le fiamme divorano la moquette, quando il giovane tenta a sua volta di uscire si trova davanti a un muro di fuoco.
Quasi soffocato e accecato dal fumo acre, inciampa, rotola sulla moquette fusa e si trasforma in torcia umana. Si rialza e raggiunge i portici di via Po.

I passanti lo vedono uscire barcollante, gettarsi a terra per spegnere le fiamme che lo avvolgono. Lo aiutano a soffocare il fuoco con una coperta. Gli tagliano le scarpe, lo liberano dei vestiti incollati sul corpo annerito dalle piaghe. Lo adagiano su una sedia in mezzo alla strada, lo coprono alla meglio in attesa dell’ambulanza.

Roberto urla dal dolore, un grido sempre più debole che si trasforma in rantolo.  

La foto che lo ritrae quasi in agonia, seduto con la pelle a brandelli, emoziona la gente e orienterà l’opinione pubblica più di tutti i comunicati e gli sforzi delle istituzioni pubbliche e dei partiti, orientati a sdrammatizzare.  

Anche perché Crescenzio è figlio di gente umile, immigrata dal Veneto. Il padre, Giovanni, è un decoratore, Roberto, perito industriale e iscritto al terzo anno di Chimica e tecnologia farmaceutica, lo aiuta nell’attività per pagarsi gli studi.

Crescenzio viene portato al Centro grandi ustionati del Cto dove la diagnosi è senza speranza, con il 90 per cento del corpo bruciato il giovane non potrà sopravvivere.


In via Po, intanto, il panico aumenta. Alcuni dimostranti tentano di impedire ai vigili del fuoco di avvicinarsi al locale in fiamme; auto vengono colpite da sassate, l’intero edificio in cui si trova il locale è invaso dal fumo; un bimbo di tre anni, figlio di un giudice, con la nonna e la baby-sitter, prigionieri sul pianerottolo del quarto piano rischiano la morte per asfissia, vengono trovati svenuti e sono tratti in salvo dai vigili del fuoco.

Le sofferenze di Roberto Crescenzio durano poco più di due giorni poi, il 3 ottobre, sopraggiunge la morte per collasso cardio-circolatorio

Gli studenti della Fgci (Federazione giovanile del Partito Comunista Italiano) raccolgono firme davanti ai resti del locale di via Po: “ Firma anche tu contro ogni forma di violenza – recita il manifesto vergato a mano – contro la violenza dei fascisti e per sconfiggere il partito armato della cosiddetta Autonomia Operaia…”.

Obbiettivo volutamente errato in quanto gli autori dell’omicidio di Crecenzio erano i “compagni che sbagliano “ di Lotta Continua e non i fascisti del MSI .

Per alcuni Roberto Crescenzio non è propriamente un ‘caduto del terrorismo, piuttosto una ‘vittima del caso’ . L’odio e l’insensatezza che lo uccisero sono però gli stessi.

L’attentato al bar “Angelo Azzurro” non fu mai rivendicato anche se fu logicamente attribuito ai militanti di Lotta Continua.

Nel corso del processo in Corte d’Appello del 1984 fu emessa la sentenza di condanna per concorso di detenzione di bottiglie incendiarie, concorso in manifestazione non autorizzata e adunata sediziosa, concorso morale in omicidio aggravato a carico di Stefano Della Casa, responsabile del servizio d’ordine, Angelo Luparia, Alberto Bonvicini, Angelo De Stefano e Francesco D’Ursi con pene dai tre ai quattro anni di reclusione.

Supposto che un ex terrorista conservi il senso dell’etica e dell’onestà, dopo quarant’anni qualcuno dei protagonisti di allora o dei numerosi fiancheggiatori di quella stagione, potrà mai percepire il dovere morale di parlare, di spiegare il perché di questa ed altre delittuose iniziative?

Occorre la condanna politica e morale, senza se e senza ma.

 

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Articolo pubblicato il 21/02/2017