Torino - Viaggio accanto ad una infinita discarica a cielo aperto

Vergognoso fenomeno di civiltà perduta in cui ci muoviamo colpevoli di indifferenza

Questo articolo ha preso corpo durante un viaggio in auto tra Torino e il cuore delle Langhe. Il soggetto è l'immondizia, prodotto interno "lordo" sempre in crescita, con il quale siamo quasi venuti a patti nelle nostre città, disseminate di straripanti, maleodoranti cassonetti.

La stagione brulla offre alla vista altre pattumiere, sono a cielo aperto, sparpagliate ai fianchi dell'asfalto: ininterrotta discarica lineare comune a tutta la rete stradale nazionale. Una terra di nessuno che appartiene a tutti, dove giacciono i rimasugli della nostra civiltà: cadaveri di cose inutili e ormai prive di storia, gettati senza ritegno e senza cognizione di causa.

Dalle piazzole e dai cigli, mucchi di sacchi neri, bottigliette e arredamenti dismessi mescolati a vecchi copertoni, ci rappresentano; surreali, italiani monumenti del nostro tempo. Non vi è strada o autostrada che ne sia esente.

A pochi metri dall'asfalto, nei canali di scolo delle acque e nei prati vicini, riposano materassi, elettrodomestici, imballaggi, sedie di plastica, vetri, legni, metalli e gli immancabili rappresentanti della porcellana: i bidet, i lavandini, le dismesse tazze del cesso.

È un'indegna offesa al panorama agreste che rattrista il cuore, messa a nudo dall'inverno che, languido e spoglio, mostra la lista dei rifiuti che la primavera coprirà con giovani, verdi frasche.

Durante il viaggio ho immaginato la massa sparpagliata lungo i bordi di tutte le strade d'Italia raccolta in un unico punto. Una piramide di immondizia che è al vaglio della nostra opinione, ma quasi nessuno ne parla. Ed è questo un altro soggetto di riflessione. È un segno di quanto il progresso sia accompagnato da una strisciante decadenza dei valori d'altri tempi, dell'orgoglio di appartenenza ad una generosa terra, del rispetto, della civica consapevolezza di essere tutti uno soltanto.

Qui  va ricordato che in un tempo non lontano, il disprezzo del suolo pubblico era reato ed il concetto di "cosa pubblica" era argomento di insegnamento scolastico. Ricordo ancora una Torino anni ’60 dove il gettare un pezzo di carta per terra era un gesto raro e redarguito. C'è da dire che non mancavano i cestini e che la figura dell'operatore ecologico intento a trafficare con la sua ramazza faceva parte del folklore cittadino. Mezzo secolo fa; quanto è cambiato il nostro mondo!

E mentre il motore portava il viaggio avanti, anche il ragionamento proseguiva, poiché è facile criticare come fan tutti, ma quel che conta è trovare la soluzione. Forse andrebbe ricercata a monte, nelle sue cause e nei suoi perché; rivedere un nostro modo di essere e di fare, ma questa è demagogia e non ci voglio cascare. Una soluzione potrebbe nascere cominciando a parlarne come sto facendo adesso, poiché tra tante disgrazie che affliggono questo mondo, un po' di cronaca alternativa e originale potrebbe avere il suo seguito.

L'ammasso di pattume che accompagna i nostri viaggi è un ulteriore sacco nero per la nostra coscienza. Oltre ad essere brutto da vedere è un segno di inciviltà e fonte di disastri. Quando verrà il momento delle nuove bombe d'acqua, farà da tappo ai canali scavati sui bordi delle strade dai nostri padri. Ecco dunque gli allagamenti, il riversarsi di tutte le schifezze nei canali e nel letto dei fiumi che straripano, lasciando poi l'immondizia sulla vegetazione, addobbandola ad alberi di Natale.

Qualche reperto arriverà fino al mare e magari lo ritroveremo sulla spiaggia. Lo stesso che abbiamo buttato un anno prima dal nostro finestrino?

La soluzione esiste. Basterebbe sanzionare e soprattutto ripulire, ma qui insorge un altro dilemma: a chi spetta? La burocrazia ha suddiviso impegni e competenze, così che l'intrattenimento delle strade non ha più referenti. Strade statali, provinciali, comunali, terreni di competenza, scelte affidate a qualche ente? Al sindaco, al parroco, al farmacista?

Succede un po' per tutte le cose in questo Bel Paese. E allora, poiché andar di fantasia non costa niente, ho immaginato che non ci sarebbe niente da ridire nell'affidare a tanta nuova gente che ha popolato lo stivale in cerca di fortu9na e che si muove senza scopo e senza meta, un piccolo lavoro ben retribuito per iniziare a ripulire molto territorio dimenticato e familiarizzare con la nuova terra, con l'appartenenza.

Certo sarebbe necessaria un'equa legislatura e la messa in atto affidata alla gestione di un unico ente, preventivo e competente che mi viene in mente: la Protezione civile?

L'immondizia è una risorsa, la raccolta differenziata è un lavoro da fare, ma prima di essere un business deve diventare una missione. Offrire una dignitosa paga stabilita a seconda dei kg. di materiale o dei km. di strada ripulita, potrebbe restituire molta decenza sia alle persone che alla nostra nuova era di tante chiacchiere, di fatua apparenza, di individualismo e molta maleducazione.

A questo e altro ancora pensavo durante il breve tragitto, sempre più convinto che, quel che vedevo ai bordi delle strade, col mutuo concetto di civiltà, di sviluppo tecnologico, di arte e cultura, e di lungimiranza, ha poco a che vedere. Eppure noi esseri umani siamo fatti così, adesso abbiamo inventato le siepi artificiali; quando sarà ora, quale erbivoro trasformerà in formaggi le loro plastiche, indistruttibili foglie?

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Articolo pubblicato il 10/02/2017