Ecco perché Settimo (TO) può essere la Capitale della Cultura italiana

Intervista all’Assessore e Vicesindaco Elena Piastra

DAI Impresa non è mai mancato di sottolineare il valore anche economico della cultura per un territorio. La candidatura di Settimo a “Capitale della Cultura italiana 2018” – giungendo tra le finaliste con Alghero, Aquileia, Comacchio, Montebelluna, Palermo, Recanati e Trento – è un’istanza insolita, che rappresenta uno dei temi di più stretta attualità: la periferia. Riecheggia la candidatura della Sacra di San Michele a Patrimonio dell’Unesco, aspirazione che avevamo commentato auspicando la soluzione di un modello Langhe per la Città metropolitana di Torino. Settimo è senza dubbio interessante, pertanto abbiamo deciso di approfondire la questione dialogando con Elena Piastra, Vicesindaco e Assessore alla Cultura.

Settimo è in gara per aggiudicarsi il titolo di “Capitale Italiana della Cultura”. Come si sta preparando per poter raggiungere tale obiettivo?

Domani ci sarà la proclamazione della città vincitrice. Settimo ha continuato in questi mesi a fare ciò che sa fare: ha organizzato una serie di eventi, alcuni di fama nazionale, come una splendida mostra organizzata nella biblioteca Archimede da Fondazione Pirelli e una mostra sulle migrazioni allestita nel più grande centro di accoglienza del Nord-Ovest che è quello Fenoglio di Settimo.

La città, come ha affermato il Comitato promotore, non ha “regge, castelli, cattedrali rinomate, monumenti simbolo”. Quali fattori l’hanno spinta a candidarsi?

L’obiettivo non è cercare un confronto con le meravigliose città d’arte italiane, ma ricordare che in Italia ci sono molte città, prive di monumenti classici, che ogni giorno si oppongono alla marginalità, a partire dalla cultura, che non è tutela del passato, quanto costante trasformazione, ripensamento dei luoghi, eventi unici che permettono la fruizione ad un pubblico ampio. La nostra Cattedrale, come ha giustamente detto uno dei commissari durante l’audizione, è la Biblioteca Archimede, la più bella e moderna del Piemonte, con 1000 utenti al giorno e una miriade di attività.

Il nostro monumento è la fabbrica Pirelli realizzata da Renzo Piano che da anni organizza dentro lo stabilimento attività di altissimo livello come MITO. La nostra idea di cultura non sta nel monumento, ma nel metodo. Sta nella possibilità di riscattare un luogo che altrimenti non avrebbe nessuna possibilità di scappare da un destino di periferia di centri noti.

Quali iniziative ha attuato il Comune, negli ultimi anni, per rendere protagoniste sempre più la cultura e l’impresa nell’ambito dello sviluppo territoriale?

Il percorso della città inizia negli anni ’80, con il celeberrimo “Teatro laboratorio Settimo”. La trasformazione ha portato i luoghi industriali a diventare spazi di cultura: la Paramatti diventa la biblioteca più bella del Piemonte, il mattatoio diventa la Suoneria, il Mulino diventa Ecomuseo. Quei luoghi producono attività continue: Archimede ha 1000 utenti al giorno, come già detto, aperta 7 giorni su 7. Da quei luoghi sono nati progetti nuovi e nazionali, come il Festival dell’innovazione e della scienza (50.000 presenze).

Tra le persone illustri in città, c’è stato anche Primo Levi che ha lavorato come chimico in un’azienda di vernici. Quale traccia ha lasciato questo personaggio nella cultura cittadina?

Primo Levi è il simbolo di un luogo che oggi è tutto da ripensare: la SIVA, la fabbrica nella quale ha lavorato. Immaginiamo che possa diventare una casa di quartiere, che proponga attività legate alla scienza e alla chimica in particolare, ma trasversali e capaci di parlare a tutti i pubblici.

Al di là dell’esito della candidatura, quali sono le prospettive di sviluppo, economico e culturale, di Settimo? Intenderà aspirare comunque a un ruolo nazionale da protagonista sotto questi aspetti?

La candidatura aveva come obiettivo quello di accendere un riflettore su un luogo che fatica ad attrarre risorse sulla cultura, serviva a creare rete tra città, a partecipare a bandi comuni. Al tempo stesso è stata un’occasione per dare voce a territori e città simili alla nostra. Infine, è stata un’occasione per pensare al futuro della città e di un’area più ampia, per darsi priorità a livello politico e cittadino.

Credo quindi che, comunque vada, sia stato un lavoro utile e importante per la città e sono certa che porterà conseguenze positive. Spero di riuscire a realizzare una parte di quel dossier e di ampliarlo ancora, inserendo tutte quelle realtà cittadine che non hanno ancora trovato spazio.

Marco Paganelli

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Articolo pubblicato il 30/01/2017