L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS Francesco Rossa: Roma. La Consulta risuscita l’ingovernabilità?

Stiamo assistendo ad interpretazioni disinvolte dei partiti con il nulla sui programmi

La consulta, nei termini previsti si è pronunciata sull’Italicum e consegna, di fatto l’Italia all'ingovernabilità, ripristinando  alla Camera un sistema elettorale proporzionale, che si affianca al Consultellum già in vigore al Senato. 

La Corte Costituzionale ha infatti abolito il ballottaggio fra le due liste che prendono più voti e ha invece “consacrato” il premio di maggioranza per la forza politica che raggiunge il 40% al primo turno e che, in quell’eventualità, conquisterebbe 340 seggi su 630. La legge elettorale, secondo i giudici della Consulta, “è suscettibile di immediata applicazione”.

Dopo l’Italicum dichiarato incostituzionale, ci viene proposto un sistema proporzionale con un premio di maggioranza difficile da raggiungere, con la smentita delle aspettative tuonate da Renzi.

Alcuni punti della legge, invece, sono rimasti sostanzialmente identici. Innanzitutto, il ruolo dei capilista, che saranno i primi ad ottenere un seggio. Dal secondo eletto in poi, intervengono le preferenze (ogni elettore ne potrà esprimere due), reintrodotte rispetto al Porcellum. L'Italicum prevede, inoltre, una distribuzione dei seggi su base nazionale ma al tempo stesso, per limitare il proliferare di gruppi parlamentari, al riparto potranno accedere solo le liste che supereranno la soglia del 3%.

Sopravvivono, purtroppo i capilista che si candidano in più posti e alla fine optano in base alle convenienze e ai tatticismi e non in base all'effettivo radicamento territoriale. Tuttavia, non saranno più loro a decidere in quale collegio risultare eletti, bensì un sorteggio. Questa novità toglierà dalle mani dei segretari di partito e dei capicorrente il potere di avvantaggiare i propri “cavalli” rispetto ai ronzini delle minoranze interne ai propri partiti.

La Legge elettorale, secondo le indicazioni della Corte è valida solo per l’elezione dei deputati, perché è stata scritta presumendo che la riforma costituzionale sarebbe stata approvata dagli elettori nel referendum del 4 dicembre, e i senatori non sarebbero più stati eletti a suffragio universale.

Per l’elezione dei senatori vige invece il Consultellum, un proporzionale puro con soglia di sbarramento all’8% per i singoli partiti (3% se confluiscono in una coalizione) e nessun premio di maggioranza.

Con la bocciatura del ballottaggio, se nessuna lista – come è probabile - arrivasse al 40% dei voti, si applicherebbe di fatto il sistema proporzionale, che imporrebbe le larghe intese dopo il voto. Dunque il rischio è quello di costringere forze politiche assai eterogenee a coalizzarsi dopo le elezioni per assicurare la formazione di un governo.

La riproposizione dell’attuale quadro politico di centrosinistra, con un Pd intorno al 30% e Area popolare più qualche cespuglio appare irrealistica, almeno sulla base dei sondaggi che circolano in questi mesi. Se non scatta il premio di maggioranza, ben difficilmente quei partiti potranno arrivare al 40% dei seggi.

Il Centro destra non è messo meglio, con un’intesa tra Forza Italia e Lega che oggi non appare spendibile. Le larghe intese destra-sinistra potrebbero perciò materializzarsi concretamente, con l’esclusione delle cosiddette ali estreme: da una parte la Lega di Salvini e Fratelli d’Italia, dall’altra la sinistra più ideologica. 

C’è chi legge la sentenza come un siluro nei confronti del M5S che, senza ballottaggio, non ha alcuna possibilità di andare al governo, a meno che non raggiunga il fatidico 40%. Di sicuro, chi scalpita (almeno ufficialmente) per tornare alle urne sono Matteo Renzi  - che però ha visto la sua legge rottamarsi sotto i suoi stessi occhi - e i suoi fedelissimi, oltre, ovviamente, a Beppe Grillo e a Matteo Salvini.  

Per una piena armonizzazione tra i due sistemi elettorali, sarà necessario un intervento del Parlamento. Per sbarrare definitivamente la strada a ogni ipotesi di vittoria grillina basterebbe che i partiti tradizionali trovassero un’intesa per modificare il “legalicum”, cioè la legge elettorale partorita dalla Consulta, introducendo il premio di maggioranza alla coalizione anziché alla lista. I Cinque Stelle, invece, vorrebbero estendere il “legalicum” al Senato affinchè in entrambe le Camere si possa votare con lo stesso metodo. Chi la spunterà?

In attesa del testo della sentenza che potrebbe arrivare a fine febbraio, sono iniziate le danze macabre tra i partiti. Formalmente tutti vorrebbero votare al più presto, dopo un passaggio parlamentare, con la Lega che non ritiene neppure di dover analizzare la sentenza, armonizzare i meccanismi per Camera e Senato e ridisegnare i collegi. Ma, dietro a ipocrite dichiarazioni, arrivano dai palazzi segnali inequivocabili che ci potano ad ipotizzare l’apertura delle urne, tra la fine del 2017 e la primavera del 2018.

Appare evidente che in tutti i partiti, nessun escluso, invece di delegare la materia ad un ristretto numero di costituzionalisti, si privilegi cianciare di sistemi elettorali, con l’occhio vigile all’introduzione di subdole eccezioni, clausolette distorsive e soprattutto definizioni di collegi a maglia larga, per trovare, a prescindere dalla legge, il piazzamento più vantaggioso per candidati fidati.

Ma ciò che ancor più offende, in queste ore, é notare l’attivismo sfrenato dei cadaveri putridi, ormai avanzi di pregresse legislature,  condannati dal responso elettorale e in più occasioni dai giudici, attorcigliarsi con altri simili per camuffarsi dietro sigle improvvisate o vetuste che esprimono e raggruppano il tutto e il contrario di tutto, solo per cercare di riattivarsi e confondere l’elettore che tanto tonto non é.

Ovviamente non si parla di programmi concreti, tanto meno di cercare d’interpretare con competenza le problematiche emergenti. Al voto per il voto, per riacquistare un posto al sole. Il “Bene comune” è uno sconosciuto.

Pare di vivere nel Parnaso. Dalle prime dichiarazioni, si blatera di giardini, di contributi da elargire a pioggia, di benefici per tutti, di riequilibri (a danno di chi, è facilmente immaginabile), senza entrare nel vivo dei mali reali dell’Italia e di quel che un cittadino onesto e non parassita, si aspetterebbe dalla politica.

Se dovessimo, come la ragione imporrebbe, attendere all’incirca un anno per il ritorno alle urne, partiti e movimenti avranno modo di esprimere l’assenza di dignità, la mancanza di competenza e l’erutto di proposte prive di effetto che ormai fanno parte del DNA dei nostri politicanti. Intanto lo spread aumenta e i nostri imprenditori e gli eventuali investitori esteri diffidano e si preoccupano di quest’insano attivismo, che racchiude vuoti ormai incolmabili.

Il cittadino deluso e oltraggiato nelle sue prerogative di Persona e di appartenente ad un Paese che dovrebbe rispettare la Costituzione, ha avuto modo di esprimere dissensi significativi nell’ultima tornata elettorale che ha interessato molte città, tra cui Roma e Torino, ove il vulnus della disoccupazione, la gestione inefficace di servizi pubblici e la carenza di sicurezza sono evidenti.

Poi con il voto referendario, tutto il Paese ha condannato un metodo oltraggioso e indegno di fare politica. Se, come sino ad oggi appare,  anche la diversificazione del voto verso  il nulla vestito di nuovo, non risulta la soluzione appropriata, quale potrà essere il prossimo approdo?

Non di certo quello indicato da leaders ormai spenti e condannati dalla storia, da approfittatori consolidati e da voltagabbana di professione.  

Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it

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Articolo pubblicato il 29/01/2017