L’efficienza distruggerà il lavoro umano?

In futuro potrebbe essere un algoritmo a decidere la vostra promozione

Gig economy: lo sciopero dei riders di Foodora ha il merito di aver reso pubblico il termine. Non occorre darsi alla lettura di quotidiani e riviste d’economia per comprendere come quello dei “lavoretti” ha i tratti di un nuovo modello di organizzazione del lavoro. Velocità ed economicità, paiono i criteri distintivi di tale paradigma. Riporta Forbes che “in fact, freelancers generated $1.2 trillion in total income in 2013, up 20% from 2012”.

Due vantaggi che ripagano: Uber, la celeberrima piattaforma di carsharing, più sharing che gig, “ha solo ottomila dipendenti, ma attraverso le sue applicazioni 50 milioni di clienti vengono scarrozzati in giro da un milione e mezzo di autisti”, come scrive La Repubblica in un articolo di fine 2016.

Numeri ancora più sensazionali riportati su Left del 2015: “Uber ha 160mila autisti ma solo 550 dipendenti”. È probabile che la disparità tra le cifre sia dovuta a non esplicite premesse: il riferimento a un determinato ambito, gli Stati Uniti per esempio, e all’espansione di un anno. Resta la sproporzione tra i dipendenti e i freelance.

Le auto che si guidano da sole paiono ancora lontane; non in quanto oggetti, ormai realtà, più per il loro utilizzo nel quotidiano. Perciò Uber avrà ancora bisogno di autisti umani. Ma ci sono settori in cui questa non è più una certezza per via del “management algoritmico”. Lo sta perfezionando la Percolata di Greg Tanaka.

Sempre su La Repubblica si legge un’intervista al titolare che riflette sull’efficientamento delle vendite in un negozio di vestiti: “devi guardare ai risultati analizzando il flusso di clienti durante i turni. L’unico metro reale è quello dei soldi spesi per ogni cliente entrato".

La Percolata colleziona tutti i dati”. E li lavora secondo un algoritmo, che rende obsoleto e inefficiente l’umano delle vendite medie per ora. Tanaka spiega come attraverso l’elaborazione di questi dati sia possibile organizzare e gestire meglio le risorse, nel caso specifico i commessi, individuando chi rende meglio e in quali condizioni. Forse il giornalista del quotidiano di Scalfari si lancia in un volo pindarico, ma la prospettiva pare quella che dà il titolo all’articolo: “Lavorare per un algoritmo, scioperare contro un'app”.

Se il lavoro è un’attività intrinsecamente umana, piegarlo alla sola logica d’efficienza e di velocità rischia di genere una mutazione antropologica dell’uomo, dei rapporti tra esso e i suoi simili e in ultima istanza della società in generale.

L’interessante articolo de La Repubblica si conclude riportando due citazioni di studiosi interessanti da mettere a confronto. Jerry Kaplan, professore allo Stanford Center, scrive: "c’è il rischio che l’economia che conosciamo oggi, difficile da gestire quanto vogliamo, si metta in moto da sola, lasciandoci via via cadere fuoribordo. L’ultimo umano licenziato spenga la luce, per favore. Anzi, non è necessario: si spegne da sola".

Mentre Mariano Corso, professore di Organizzazione e risorse umane: "qui il paradigma cambia del tutto: un’ora di un venditore bravo non equivale all’ora di uno normale. Trattare tutti allo stesso modo è inefficiente.

La tecnologia predittiva e dei big data ci permettere di leggere quel che prima non sapevamo leggere. E attenzione agli stereotipi: non è che lavori dell’algoritmo, semplicemente non hai più bisogno di un capo che è spesso inadeguato. Significa valorizzare anche le persone".

Luca V. Calcagno

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Articolo pubblicato il 18/01/2017