Le “macchine infernali” (terza e ultima parte)

Domenica 13 dicembre 1789, nella cittadina francese di Senlis, nella regione della Piccardia, un orologiaio impazzito, per vendetta, trasforma la propria casa in una “macchina infernale”: 26 morti e 41 feriti…

Abbiamo visto nelle due precedenti puntate come le “macchine infernali”, nate come ordigni galleggianti per la guerra sui mari e sui fiumi, siano diventate strumenti per attentare alla vita di sovrani e di personaggi potenti, come nel caso di Napoleone Primo Console (24 dicembre 1800) e del re Luigi Filippo (28 luglio 1835).


In realtà, la grande celebrità di queste due mancate vittime ha per così dire oscurato un precedente clamoroso e tragico episodio di “macchina infernale”, avvenuto sempre in Francia, sul finire del XVIII secolo. 

 

Nella tranquilla e provinciale cittadina francese di Senlis, situata nel dipartimento dell’Oise della regione della Piccardia, nella prime metà dell’anno 1789, l’orologiaio Louis Michel Rieul Billon è stato espulso dalla locale compagnia dei cavalieri dell’archibugio perché accusato - a torto - di praticare l’usura. Profondamente risentito, cova pensieri criminali di vendetta, in particolare nei confronti del comandante degli archibugieri, M. de Lorme.


L’orologiaio Billon - che lo storico locale Jean-Claude Flament ha giustamente battezzato “l’orologiaio pazzo” nel suo libro che ricostruisce la vicenda - oltre a munirsi di numerosi fucili e pistole, trasforma la propria casa in una “macchina infernale” accumulandovi una grande quantità di polvere da sparo.


Domenica 13 dicembre 1789, è previsto un corteo che dal Municipio deve raggiungere la Cattedrale per festeggiare la benedizione delle bandiere donate alla Guardia Nazionale dal duca di Lévis, deputato di Senlis. In un clima di festosa animazione, gli ex compagni archibugieri di Billon dovranno sfilare, con sgargianti uniformi e preceduti da pifferi e tamburi, schierati con i rappresentanti municipali, con militari dell’esercito, con componenti delle compagnie d’arme locali, con le compagnie di fucilieri e di chasseurs e con le Guardie Nazionali.


Al mezzogiorno il corteo si mette in moto, accompagnato da bambini festanti, e passa nella piazza dove sorge l’abitazione dell’orologiaio, il quale si è appostato ad una finestra del primo piano e si mette a sparare sugli archibugieri e sulla folla facendo morti e feriti.


Presto viene individuata la finestra da cui provengono gli spari letali, i soldati dei vari reparti si gettano alla rinfusa contro la porta della casa e le imposte del pianterreno per bloccare il forsennato. Billon continua intanto a fare vittime, tra cui l’odiato M. de Lorme.


Quando la porta della casa è sfondata, soldati e ufficiali raggiungono il primo piano: tra loro si trova M. Aulas de la Bruyère, ufficiale di cavalleria, che sarà l’eroe della giornata. Billon continua a sparare, protetto dalle porte barricate. Quando i soldati riescono a entrare nella camera, Billon fugge e arriva al granaio, facendosi largo a colpi di pistola: qui la Bruyère lo afferra per disarmarlo. Billon lo avverte che la casa sta per esplodere e, proprio in quel momento, avviene lo scoppio: la casa, trasformata in una trappola, salta in aria, piovono pietre, tegole e mattoni. Restano uccise così 25 persone in un colpo solo.


I volontari iniziano a recuperare i corpi martoriati delle vittime, lavoro che si prolunga per parecchie ore. Viene trovato la Bruyère, gravemente ferito ma ancora vivo, che riuscirà a sopravvivere e otterrà riconoscimenti e ricompense. A pochi passi è rintracciato Billon, tutto mutilato ma sopravvissuto, mentre tenta di alzarsi. Alcuni chasseurs lo riconoscono e, cedendo alla feroce indignazione del momento, gli fracassano la testa col calcio dei fucili.

 

Si fa il conto dei morti, che salgono a 26, e dei 41 feriti, provocati dal suo patologico spirito di vendetta. La giustizia processa il cadavere di Billon e lo condanna ad essere esposto agli avvoltoi. La sua casa viene rasa al suolo e il terreno coperto di sale.


“L’orologiaio pazzo”, ideatore di questa tragica “macchina infernale”, ha provocato un numero di morti superiore a quelli dell’attentato degli Chouans del 3 nevoso (22) e di quello di Fieschi (19), constatazione che lascia un po’ scioccati visto che la strage non riconosce motivazioni politiche ma soltanto il desiderio di vendicarsi.


Armand Fouquier così conclude il racconto della vicenda nelle sue “Causes célèbres de tous les peuples” (tomo VII): «Diciamo, ad onore del nostro secolo [XIX] che oggi senza dubbio, per quanto fosse spaventoso il crimine di Billon, la vendetta popolare non avrebbe dato il colpo di grazia al colpevole morente, e che se, per assurdo, l’orologiaio fosse sopravvissuto al massacro in cui cercava lui stesso di coinvolgersi, una giuria popolare francese avrebbe visto in quest’uomo soltanto un monomane ipocondriaco, un pazzo pericoloso del quale si era sovraeccitata con ingiusti provvedimenti la sensibilità morbosa».


Modernamente, Billon potrebbe essere inserito fra gli “omicidi di massa” (mass murderer) magari nella declinazione di assassino vendicativo nei confronti delle autorità (authority killing). Osservazione che, come la precedente, non significa niente, non offre spiegazioni né soluzioni preventive e che rischia di far apprezzare la giustizia sommaria degli chasseurs…   


Per concludere questo esame delle “macchine infernali”, ricordiamo che Bruno Signorelli ha ricostruito un caso avvenuto a Torino, nel febbraio del 1833, quando a casa dell’architetto Gaetano Lombardi è recapitata una cassetta che i periti definiscono una vera e propria “macchina infernale” costruita con un miscuglio di polvere da sparo, frammenti di vetro e una pistola che, all’atto dell’apertura, avrebbe dovuto far esplodere il tutto. L’ordigno non funziona e la polizia non riesce a identificarne il mittente. Lombardi sospetta dello scultore Giacomo Spalla, professore di scultura all’Università e all’Accademia di Belle Arti, fin troppo interessato alla consorte dell’architetto. Il 30 gennaio 1834, Giacomo Spalla, muore avvelenato da una misteriosa boccetta. Si sospetta a questo punto di Lombardi e di sua moglie, che finiscono in carcere per circa due mesi. Trascorso poco più di un anno, in mancanza di elementi probatori significativi, il caso è archiviato anche perché sono coinvolti personaggi di spicco, legati alla Corte, che non ama gli scandali. Il caso della “macchina infernale” torinese, che forse si ricollega alla misteriosa morte di Giacomo Spalla, resta irrisolto.


Nella letteratura poliziesca, si parla di una “macchina infernale” nel romanzo “Arsenico” di Richard Austin Freeman (1862-1943), pubblicato nel 1928.


L’ordigno non è descritto come “infernale” per il suo funzionamento, visto che l’investigatore, dottor Thorndyke, la neutralizza con grande facilità, ma per i sospetti che crea nei confronti di una persona innocente.

 

Bruno Signorelli, Una “macchina infernale” ed una bottiglia di veleno: due delitti insoluti nella Torino della Restaurazione, “Studi Piemontesi”, 1988, vol. XVII, fasc. 2, pagg. 495-505.

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Articolo pubblicato il 31/01/2017