La "tv del dolore" resiste nei palinsesti della televisione tradizionale

E' davvero la ricerca morbosa di dettagli dei casi di cronaca nostrana l'unica vera ricetta per evitare che i network televisivi tradizionali non tramontino?

Negli ultimi anni la televisione ha cambiato pelle e modo di approcciarsi nelle nostre realtà quotidiane. Da grande strumento di comunicazione di massa in grado di dettare mode, regole e scuole di pensiero ad un elettrodomestico perennemente connesso in cui gli spettatori possono deciderne i contenuti in piena autonomia.

La sua trasformazione è avvenuta di pari passo con l'innovazione tecnologica che in pochi anni ha fatto balzi da gigante, permettendoci di avere il mondo nel palmo della nostra mano contenuto in un piccolo strumento comunemente chiamato smartphone.

L'avvento di televisori in grado di connettersi alla Rete e l'affermarsi di servizi on demand come Netflix, Infinity e tanti altri hanno permesso allo spettatore di essere l'assoluto protagonista dei contenuti trasmessi dalla propria televisione.

Ciò ha portato ad un radicale cambiamento del ruolo dei network televisivi.

Da vera e propria mente in grado di decidere la messa in onda dei contenuti trasmessi da determinati canali ad entità alla disperata ricerca della ricetta vincente per tenere gli spettatori incollati ai teleschermi.

Ormai su Internet si trova di tutto e a tutte le ore. Basti pensare a quanto tempo bisognava aspettare per vedere la puntata del proprio telefilm preferito quando la televisione era ancora analogica.

Ora invece si possono trovare intere stagioni di serie tv senza alcuna interruzione pubblicitaria e con il massimo della qualità video attualmente disponibile.

E questo fattore ha portato ad un drastico cambiamento nel comportamento adottato dai network televisivi nazionali, i quali dopo numerose trovate empiriche sembrano riusciti a trovare la chiave di volta per evitare che ben presto la televisione tradizionale possa essere solo un ricordo.

Pare infatti che la cosiddetta Tv del dolore sia la ricetta commerciale con la quale Rai e Mediaset riescano a tenere alto il livello di share dei propri programmi.

Programmi che vanno a scandagliare morbosamente dettagli cruenti dei casi di cronaca del momento, dove non vi è alcun rispetto per le vittime o del comune buongusto.

La "regina" di questo modo di fare televisione è Barbara D'Urso, la quale continua ad essere protagonista di interviste al limite del grottesco in cui alcuni protagonisti di casi di cronaca del momento, pur di apparire in televisione, si lanciano in dichiarazioni che dovrebbero essere fatte nelle opportune sedi legali anzichè essere trasmesse in televisione a livello nazionale.

Questo è solo il termometro di una società che pare apprezzare il sangue e la morbosità più becera rispetto ad un tipo di televisione più pacata e raffinata nei contenuti.

Possibile che non ci sia più nessun modo più sano per intrattenere lo spettatore medio? Siamo realmente così ammorbati da tutto quello che ci circonda da sentire l'impellente necessità di conoscere con quante coltellate Tizio ha ucciso Sempronio?

I vari network televisivi che oramai sono delle certezze assolute della tv tradizionale fanno realmente così fatica a trovare un modo diverso e più sano di offrire contenuti e quindi entrare in diretta competizione con quella tv digitale che permette di fruire di tutto senza troppi fronzoli?

Probabilmente dopo la fine dell'entusiasmo nei confronti di talent e reality show, facili catalizzatori di spettatori per qualsiasi canale televisivo, non ci resta fare altro che essere ammorbati al limite dell'inverosimile con una pletora di programmi tutti uguali che fanno a gara a chi offre i contenuti più macabri.

Con buona pace di quei programmi che erano in grado di offrire un minimo di cultura in una televisone che sacrifica la qualità a dispetto della politica dei numeri e dello share.

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Articolo pubblicato il 14/01/2017