AZIENDE STATE LONTANE DAL BITCOIN

Rivoluzione digitale indiscussa, ma solo per “smanettoni” e dubbie transazioni

Quando si parla di transazioni online, di metodi di pagamenti alternativi e, in qualche occasione, di “deep web”, ovvero quella parte di internet non indicizzata dai motori di ricerca tradizionali, oggi non si può non sentir nominare il termine “Bitcoin”.

Etimologicamente parlando, se di etimologia si possa parlare, il significato di questa parola è insito nella parola stessa, o meglio nell’unione di due parole: “bit”, unità di misura base dell’informatica, e la parola “coin”, in inglese, “moneta”, ottenendo quindi, nella teoria, una sorta di valuta totalmente digitale, mentre, nella pratica, con il termine bitcoin, s’intende un software open source, quindi di licenza totalmente libera, creato da Satoshi Nakamoto, nickname dietro il quale si celava l’imprenditore informatico australiano Craig Wright.

Tuttavia, non è possibile considerare il bitcoin come una valuta ufficiale, poiché non contempla alcun intermediario tra le parti, né è garantita da alcun organo centrale di controllo, come potrebbero essere la BCE per l’Euro o la Federal Reserve per il Dollaro.    

Inoltre, a differenza delle valute tradizionali, come ben spiegato da un esperto del settore, “il Bitcoin utilizza un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni e sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali come la generazione di nuova moneta e l'attribuzione di proprietà dei bitcoin”.

Tutto questo “meccanismo digitale” , incredibile ma vero, non è gestito solamente da super computer che si occupano di elaborare e gestire informazioni, bensì da singoli utenti, che possono mettere a disposizione il proprio computer e relativa capacità di elaborazione di calcolo, ricevendo in cambio una piccola quantità di bitcoin per informazione elaborata, questo metodo di elaborazione è detto “mining” ed è alla portata di chiunque possieda un PC e scarichi uno tra gli svariati software presenti sulla rete.

Già dal suo funzionamento si evince pertanto un impossibile utilizzo da parte di aziende o professionisti, sia a causa dell’ancora alto rischio di false transazioni, le cosiddette “doppie spese” (double spending), che per la mancanza di un organismo centrale di controllo degli scambi e del tasso di cambio.

Mentre può esservi un giudizio differente per quanto riguarda le piccole compravendite online attraverso “wallet” ad hoc, ovvero veri e propri portafogli virtuali che consentono la gestione del patrimonio di bitcoin posseduto.

Anche in questo caso però, gli esperti di sicurezza informatica, sconsigliano di mantenere grosse somme di denaro in bitcoin, consigliando invece di convertire nel momento immediatamente successivo alla buona riuscita di una transazione, i bitcoin ricevuti nella propria valuta.

Diviene quindi praticamente impossibile per le aziende e le imprese utilizzare questo tipo di strumento digitale, viste la mancanza di garanzie nelle transazioni, di intermediari che certifichino la validità dei pagamenti come banche e finanziarie, e data l’impossibilità di gestione di grosse somme di denaro.

Un caldo invito quindi, a imprenditori e startupper avvezzi nell’utilizzo di strumenti digitali, a non utilizzare i bitcoin come forme di pagamento per beni e servizi come valuta di compravendita.

Diego Mele

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Articolo pubblicato il 06/01/2017