La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini
Acquarello dell’artista giapponese Foujita Tsuguharu Léonard (1886-1968), intitolato “Les mégères au marché”.

“Giustizia che diverte”: scene di Porta Palazzo

La cronaca giudiziaria che presentiamo oggi appartiene al filone della “Giustizia che diverte”, particolare aspetto della cronaca giudiziaria che ha avuto un insigne esponente in Giovanni Saragat, padre di Giuseppe, quinto Presidente della Repubblica Italiana (1964-1971).


Giovanni Saragat (Sanluri, Medio Campidano, 1855 - Torino, 1938), è vissuto a Torino, dove ha esercitato la professione di avvocato penalista e nello stesso tempo ha svolto un’intensa attività pubblicistica. Con lo pseudonimo di “Toga-Rasa”, Giovanni Saragat ha tenuto la rubrica di cronaca giudiziaria della “Gazzetta Piemontese”, dal 1882 al 1891, ed ha firmato vari libri.


In particolare, nel 1900, Saragat pubblica “Tribunali umoristici. Anno I” e, nella prefazione, enuncia un vero e proprio programma di futuri volumi sulla vita giudiziaria. Intende mettere insieme ogni anno gli avvenimenti più singolari e i personaggi più bizzarri del mondo della giustizia così che i suoi lettori trovino l’occasione di sorridere anche fra le tristezze delle aule di tribunale: «Un mondo speciale che accanto a molte miserie, racconta continuamente fatti giocondi, allegri e talvolta grotteschi».


Ci siamo dilungati su Giovanni Saragat per chiarire cosa si intende per “Giustizia che diverte”. Va anche detto che scenette di questo genere erano già state presentate ai lettori delle Appendici giudiziarie dei quotidiani torinesi dai diversi cronisti giudiziari: si tratta quasi sempre di una giustizia in apparenza “minore”, che considera reati non cruenti, molto spesso con donne come protagoniste, e che risulta divertente per quanto possa essere divertente la giustizia.


È il caso che andiamo a esporre, nel testo originale di Basilius, apparso nella “Rivista dei Tribunali” della “Gazzetta Piemontese” del 26 aprile 1879. Basilius è lo pseudonimo dell’avvocato Giovanni Paolo Basilio, redattore della “Rivista dei Tribunali” della “Gazzetta Piemontese” dal 6 gennaio 1877. È probabile che «l’avvocato B.» citato nel testo sia lo stesso cronista che, con questo stratagemma, evita di citarsi apertamente.


Sotto il titolo di «Scene di Porta Palazzo» è descritto uno scontro tra due venditrici di stoffe del mercato di Porta Palazzo - allora nella piazza Emanuele Filiberto, non ancora ribattezzata piazza della Repubblica – che si conclude alla Pretura Urbana di Torino. Appare interessante la precisazione di Basilius che questi litigi sono molto frequenti: «I fatti sono su per giù gli stessi che accadono trecentosessantacinque giorni dell’anno a Porta Palazzo».


Va anche precisato che il metro adoperato come oggetto contundente da una delle protagoniste è quello rigido, in legno con testate metalliche, che si usa ancora oggi per misurare i tessuti. Il metro è ancora indicato come la «quarantamilionesima parte del meridiano terrestre», secondo la definizione di fine ‘700 ancora in vigore nel 1879.


 

Alla Pretura Urbana.

Presiede il vice-pretore avv. Usseglio.

Dirimpetto a lui sul banco degli accusati seggono da un lato L. Giovanni e G. Teresa, dall’altro B. Caterina.

La G. Teresa e la B. Caterina si lanciano reciprocamente delle occhiataccie e si fanno delle smorfie.

Il vice-pretore prende in mano gli atti della causa.

- Mi pare che ci sarebbe modo d’aggiustarla per tatti a buon mercato. Vediamo un po’. Sono tutti d’accordo per fare la pace?

La B. Caterina sta lì tentennando.

- Eh via! Se la causa va innanzi, probabilmente sarò costretto a pronunciare una condanna contro di tutti e tre, perché qui c’é querela e contro-querela. Dunque da bravi: facciano cosi. Si ritirino in santa pace.

L. Giovanni - Per quanto mi riguarda é fatta, purché anche la B. Caterina ritiri la sua querela contro di me.

Pretore - Mancomale! Non è vero, signora B.?

B. Caterina (rivolgendosi al suo difensore avv. Palberti) - Eh? Che cosa ne pensa lei, signor avvocato?

Avv. Palberti - Faccia pure, anzi...

B. Caterina - Allora io mi metto nelle mani del signor Pretore.

Pretore - Sia lodato il cielo! E lei, G. Teresa, non ha nessuna difficoltà a ritirare la sua querela contro la B. Caterina?

G. Teresa - Nessunissima.

Pretore (ripiegando gli atti di citazione e mettendoli da parte) - Così va bene. Se ne vadano tutti tranquilli e badino a non ricominciare un’altra volta.

La B. Caterina non ne capisce nulla.

Si guarda attorno come per interrogare suoi avversari e il suo avvocato su quello che si è fatto e finisce per voltarsi al sig. Pretore.

B. Caterina - Ma... e le spese?

Pretore - Quanto alle spese chi n’ha avuto n’ha avuto, come nelle battaglie dei cani.

B. Caterina - Chi mi rimborsa le spese per le citazioni e per l’avvocato?

Pretore - Anche gli altri hanno fatto fare le citazioni e sono assistiti da un avvocato...

B. Caterina - Non importa. O mi rimborsano tutte le spese, oppure si tira avanti.

Pretore - Poteva anche dirlo prima: si sarebbe subito incominciato il dibattimento.

Il Pretore interroga successivamente la querelante B. Caterina e i due controquerelanti, per sentire dalla loro bocca l’esposizione dei fatti della causa.

I fatti sono su per giù gli stessi che accadono trecentosessantacinque giorni dell’anno a Porta Palazzo.

L. Giovanni e G. Teresa sono soci fra di loro, onestamente s’intende, per l’esercizio di un banco di stoffe sulla piazza Emanuele Filiberto.


Proprio accanto al loro banco si trova quello esercito dalla B. Caterina.

Mettete vicino due donne un po’ leste di lingua e comprenderete quello che prima o poi deve succedere fra di loro.

Per un po’ di tempo furono delle ingiurie scambiate così a mezza bocca, senza nominarsi né l’una né l’altra, ma coll’aria di dire : - Questa viene a te.

Poi furono dei versacci e delle smorfie e infine vennero le busse.

La battaglia fu nel giorno 12 aprile.


Poco prima del mezzogiorno erano già corse le prime avvisaglie, perché la G. Teresa aveva regalato di alcuni epiteti la B. Caterina.

Verso le tre del pomeriggio, mentre G. Teresa e L. Giovanni stavano sparecchiando il loro negozio, il diverbio si riaccese.

Alle prime parole che furono scambiate, la B. Caterina, imbizzita, dié di mano al metro e lo scagliò addosso alla G. Teresa.

Costei allora come una furia corse dietro alla B. Caterina per renderle il cambio, mentre L. Giovanni aizzava l’incendio, gridando alla G. Teresa: prendila, ammazzala!

Ma la B. Caterina fu lesta a sgattaiolarsela e così la battaglia di Porta Palazzo terminò.


Alle Pretura urbana ebbe luogo la lotta forense fra gli avvocati delle due parti.

L’avv. Palberti sostenne che la sua cliente afferrando la quarantamilionesima parte del meridiano terrestre, non aveva avuto intenzione di percuotere la G. Teresa, ma sì di prendere una misura… di precauzione.

L’avv. B., che difendeva L. Giovani e G. Teresa, osservò per contro che le misure di precauzione, quando consistono in un lungo e grosso pezzo di legno noce, non si applicano sulle spalle altrui e che perciò la G. Teresa non era imputabile di minaccie.

Il Pretore, per non mandar via nessuno scontento, condannò tutte e tre le parti, cioè la G. Teresa per ingiurie e minaccie a L. 40 d’ammenda, L. Giovanni a L. 20, e la B. Caterina a L. 15 per le percosse: spese del giudizio per un terzo caduno.

Quando udì la sentenza, la B. Caterina esclamò - Ecco: cosi mi piace. Almeno una soddisfazione l’ho avuta.

Fortunata lei!

Basilius.

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Articolo pubblicato il 12/01/2017