La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini
Foto di Mario Gabinio - Veduta della strada provinciale di Lanzo a Madonna di Campagna, a Torino, 1897 ca.

Capodanno del 1900: un omicidio alla Madonna di Campagna causato da una spazzola

La location di questa vicenda è l’attuale via Errico Giachino, al tempo chiamata stradale di Lanzo, nel quartiere Madonna di Campagna, che il cronista descrive come un “lontano sobborgo di Torino”. Il vero punto di interesse è però la sua collocazione temporale, nella notte che segna il passaggio dal XIX al XX secolo, passaggio che al tempo è illusoriamente vissuto come l’esordio di un’epoca felice, di progresso scientifico e morale, che avrebbe messo al bando le guerre, raggiunto l’eguaglianza tra le classi sociali, realizzato imponenti ferrovie e il volo umano. L’omicidio avvenuto alla Madonna di Campagna nella notte del 31 dicembre 1899 rappresenta l’esatto contrario di tutte queste aspettative.


La sera del 31 dicembre i protagonisti della storia, come molti altri torinesi che salutano il nuovo anno con un lieto brindisi, in casa e nei locali pubblici, si riuniscono in un Circolo da ballo della Madonna di Campagna. Sono Giovanni Buri d’anni 22 con la moglie Caterina Plassio ed il fratello della donna, Alfredo Plassio un ragazzotto pallido e mingherlino che ha 21 anni e lavora come manovale. Vi sono poi alcuni giovanotti della vicina borgata di Lucento, fra cui Placido Borello, di 19 anni. Si balla e si beve allegramente per festeggiare il nuovo anno.


Borello, mentre ballonzola un po’ brillo, cade a terra e si sporca il vestito. Chiede una spazzola, si pulisce, poi la lascia cadere a terra e la allontana con un calcio. Giovanni Buri non apprezza il gesto, rimprovera l’amico sventato che si arrabbia e lo insulta dicendogli: “Mal marià!” (Mal maritato!). Nasce una lite, che non ha seguito perché si intromettono comuni amici poi la comitiva si ritrova nella Trattoria del Belvedere, al civico 244 dello stradale di Lanzo, e bevono insieme, nella massima allegria, il bicchiere della pace.


Ma quando Borello si allontana con due suoi amici, Alfredo Plassio lo segue, forse perché cova ancora un po’ di rancore per gli insulti che rivolti al cognato. Plassio scende nella via, trova Borello, si mette a discutere e a chiedergli spiegazioni, che finiscono per aggravare sempre più la situazione. Ben presto i due giovanotti si azzuffano e Plassio colpisce l’avversario con una terribile coltellata all’addome che ne provoca rapidamente la morte, avvenuta nella vicina Trattoria del Belvedere dove è stato trasportato dai due amici: “una triste scena di sangue, che ha gettato nel lutto una povera famiglia”, come scrive il cronista de “La Stampa” di lunedì 1° gennaio 1900.


Plassio, quando ha visto Borello che vacillava, ha esclamato sgomento: “Oh! mì povr’om, cosa chi l’hai fait. I vad subit da so pare a preghelo ca daga nen querela”. Poi, dopo aver sentito che Borello era morto, è fuggito terrorizzato. Sul luogo del delitto arrivano il cavaliere Guazzo, ispettore di Borgo Dora, il delegato Bouvet della regione di San Donato ed il delegato Guazzone. Subito vengono arrestati Buri e sua moglie Caterina, sorella dell’omicida.


Alfredo Plassio si costituisce ai carabinieri di Caselle il 1° gennaio.


“La Stampa” del 18 luglio e del 20 luglio 1900 ci informa del suo processo in Corte d’Assise di Torino: insiste sulla spazzola come futile motivo della lite.


Scrive il cronista giudiziario, con linguaggio datato: “Alfredo Plassio volle finire degnamente l’anno ed il secolo. Ed egli è all’alba ancora della vita, che pure, qualunque sia l’esito del processo a suo incarico, resterà macchiato d’un orribile delitto. Il coltello, l’arma terribile che ostinatamente si nasconde, infida e traditrice, nello tasche dei nostri barabba, anche in questa causa ha i suoi foschi bagliori, agitato nelle tenebra della notte, sotto un cielo nero, tra una bestemmia ed un grido d’orrore. Il movente del delitto: futile, come sempre quasi quando la tragedia è più brutale e più spaventosa”.


I giurati ritengono che Alfredo Plassio abbia agito dietro provocazione, in stato di semi-ubriachezza e soltanto coll’intenzione di ferire: viene perciò condannato a 4 anni e 2 mesi di reclusione. La condanna è lieve ma concretizza le fosche previsioni del cronista per Alfredo Plassio che il nuovo anno e il nuovo secolo li ha tristemente iniziati in prigione.

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Articolo pubblicato il 31/12/2016