L’abitudine alla crisi

Gli ultimi dati ISTAT presentano ancor una volta il quadro desolante della povertà

Negli ultimi mesi, i mass media hanno dato largo spazio, oltre che ai continui terremoti che hanno colpito il centro Italia, a due argomenti: il referendum costituzionale e le elezioni americane.

A leggere i dati ISTAT, relativi al 2015, risulta ancora una volta quanto più di un Italiano su quattro sia da considerarsi a rischio povertà o a esclusione sociale.

A questa fascia sociale, ma a dire il vero probabilmente anche alle altre in condizioni economiche migliori, importa sino a un certo punto se sia il caso di modificare il Senato o quale sarebbe diventato il nuovo Presidente degli Stati Uniti: in quella categoria ci sono persone che non hanno un lavoro, o ce l’hanno precario.

I dati regionali sul voto all’ultimo referendum ci dicono che il no è risultato più marcato nelle zone di maggior povertà del nostro paese, a dimostrazione, anche in questo caso, che, nonostante il referendum non fosse sull’operato del Governo di questi ultimi anni, il segnale era quello di sfiducia e delusione per una politica che comunque non è stata in grado di risollevare le loro sorti.

In quel circa 28% di poveri, segnalati dall’ISTAT, vanno a trovarsi coloro che vivono sotto la soglia minima di reddito (circa 9.000 euro all’anno), quelli che lavorano meno di 80 ore annue e chi si ritrova a non poter sostenere spese considerate essenziali, per non parlare, poi, di quell’11% che si trova in condizioni di “grave deprivazione materiale”.

Negli ultimi anni, sappiamo quanto la forbice sociale sia aumentata, con un 20% di Italiani più ricchi che guadagna quasi 5 volte quello che prende il 20% dei più poveri.

D’altra parte, anche il tasso d’inflazione prossimo allo zero (siamo a un +0,1%) dimostra quanto l’attitudine all’acquisto si sia ridotta, e che una inflazione praticamente nulla non significhi che le cose vadano meglio perché i prezzi non aumentano, dal momento che si verifica quell’effetto per cui se si sa che i prezzi scendono si è tentati a non acquistare e mettendo di conseguenza  in difficoltà chi vende e quindi i dipendenti delle aziende.

Pochi giorni fa, mi è capitato di leggere un’intervista al noto sociologo Domenico De Masi il quale, rispondendo all’intervistatore alla domanda sul perché da un recente sondaggio è risultata in aumento la percentuale degli Italiani che percepiscono di stare meglio rispetto agli anni della crisi, ha fatto osservare che l’apparente paradosso tra la percezione a stare meglio e i dati reali (come quelli dell’ISTAT) ci dicono che storicamente quando la crisi perdura da troppo tempo, subentra una certa dose rassegnazione e abitudine a livelli di vita peggiori, ma non per questo si sta meglio.

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Articolo pubblicato il 14/12/2016