L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS Francesco Rossa: Palazzo Chigi: il tramonto del gran bugiardo?

Ci lasciamo alle spalle una settimana ricca di eventi politici in gran parte inqualificabili

Quando alle prime ore di lunedì della scorsa settimana, il distacco tra il NO e il SI era ormai consolidato, il presidente del consiglio Matteo Renzi, ignorando il buon gusto e le prassi costituzionali, si dimetteva dalla carica esibendosi in TV, ed indicando come vittima dei suoi mille giorni, la non certo rappresentativa moglie, mancata cover girl dell’era renziana.

Toccò poi alla saggezza di Sergio Mattarella richiamare all’ordine l’irresponsabile Renzi per ricordargli che al suo Governo ed a lui in primis, correva l’obbligo di concludere il dibattito e l’approvazione del Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e il bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019, quale adempimento prioritario di ogni governo e per non esporre il Paese ad un ulteriore figuraccia a livello internazionale che avrebbe certamente fornito il pretesto per l’accanimento della speculazione sui nostri già precari equilibri.

Il resto è noto con le consultazioni del Capo dello Stato, almeno ufficialmente terminate e l’attesa per l’incarico di un mandato esplorativo, con ipotesi aperte considerato che il PD non ha fornito neppure una rosa di nomi.

La scelta del Presidente che non vorrebbe promuovere un governicchio a temine, perché oltre alla legge elettorale, la lista delle scadenze e dei problemi è corposa, potrebbe orientarsi dapprima su un ministro non ostile a Renzi.  Paolo Gentiloni o in subordine a Pier Carlo Padoan sono i nomi che circolano con insistenza. Pare tramontare la prassi del reincarico a Renzi,” colui che fece per viltade il gran rifiuto”.

Nel merito Mattarella deve destreggiarsi tra due esigenze antitetiche; celerità per non sottrarre l’Italia alla imminente scadenza del 15 dicembre nell’ambito dell’Unione europea e la indispensabile prudenza e ponderatezza per imboccare la soluzione della crisi appropriata.

Missione difficile se consideriamo l’inaffidabilità dei partiti politici e le indicazioni contorte e contradditorie che ha potuto ricavarne dalla consultazione pletorica di ben 40 delegazione partitiche, molte delle quali costituite dai voltagabbana che tengono famiglia.

Domenica scorsa gli elettori, seppur divisi in più tendenze,   hanno inteso bocciare la tracotanza di Renzi rispondendo al suo incauto ultimatum, ed oggi intendono sostanzialmente perseguire i seguenti obiettivi:

  • Andare al voto, concludendo una legislatura che, con la prossima designazione, alternerà a Palazzo Chigi ben quattro presidenti del Consiglio non eletti dal popolo sovrano.

  • Riscrivere dopo l’accordo dei partiti una legge elettorale che, nel rispetto dei principi costituzionali, possa funzionare e dare credibilità alle istituzioni, rispecchiando finalmente le indicazioni dei cittadini.

  • Non dimenticare che il Paese è fermo, la burocrazia continua a spadroneggiare e le occasioni di ripresa dell’economia e dell’occupazione sono bloccate proprio a causa dell’inerzia e dell’incapacità della politica a fornire risposte adeguate e ad intraprende soluzioni idonee.

Dopo le molteplici circostanze nazionali o localistiche ove la ripulsa  nei confronti della classe politica si è ampiamente manifestata, ci si aspetterebbe che, almeno per reazione e convenienza, i soggetti decisori negli schieramenti partitici si adeguassero a seguire  regole di responsabilità e di buon senso,  nel formulare gli indirizzi da comunicare al Capo dello Stato anche per porre le base all’ipotetico governo.

Invece, dimostrando oltretutto ignoranza nelle leggi e procedure, abbiamo assistito allo sfogo becero ed insensato di chi privilegia il proprio “particulare”, infischiandosene delle oggettive esigenze del Paese.

Così Grillo e Salvini invocano elezioni subito, senza nemmeno ponderare il verdetto della Consulta ed approntare una legge elettorale adeguata.

Ma tale frenesia risponde a logiche ben precise.

Il primo teme gli scricchiolii dell’elettorato dopo l’esordio poco felice della sindaca di Roma, lo scandalo montante  delle firme false alle elezioni siciliane e i fermenti non di poco conto che stanno emergendo all’interno del gruppo dirigente. Per cui prima si vota, meno rischi corre la sua formazione.

Il secondo a gennaio avrebbe dovuto affrontare un congresso ove gran parte dei delegati di Veneto e Lombardia sono mobilitati per contestargli il progetto del nascente partito nazionale teso ad azzerare il primigenio sogno del Nord dopo aver già eliminato il progetto federalista dello Stato.

Le elezioni politiche,  come è già stato con il referendum, provocano inevitabilmente  lo slittamento nel tempo delle verifiche interne, così la piccola bottega scavalca logiche ed interessi generali.

Il Capo dello Stato, da quanto già anticipato, pare stoppare questo disegno.

Altri invece, preoccupati che la fine repentina della legislatura possa privare la maturazione della pensione dei parlamentari, tendono a dilatare il confronto elettorale al prossimo autunno, senza peraltro indicare le ipotesi, se non le soluzioni per rimettere anche sotto l’aspetto normativo, il paese in carreggiata.

Berlusconi non vuole inciuci con il PD e prende tempo in attesa di essere riabilitato dalla Corte Europea per poi scendere in campo e far quadrato con i suoi discoli e litigiosi colonnelli.

Le faide interne al PD, oggi formalmente silenziate, sono in attesa di rivolgere gli strali contro il Renzi segretario del partito che come da molti sostenuto, cercherebbe la sua rilegittimazione proprio sbaragliando gli avversari interni, in vista della nuova legislatura.

Al momento incassato il rifiuto di tutti  i partiti d’imbarcarsi nel prossimo governo, il PD si rimette, per la soluzione della crisi di governo,  alle decisioni del Capo dello Stato.

A prescindere dalla fermezza e dalle indicazioni del Presidente della Repubblica, quale fiducia il cittadino potrà nutrire nei confronti dell’attuale parlamento e dei partiti e uomini che oggi affollano lo scenario, se il marcio sta nella distanza siderale di  coloro che dovrebbero decidere e orientare, rispetto al Paese?

L’esito del referendum ha evidenziato la dimensione del dissenso verso un metodo di governo più  ancora che nei confronti di un lodo referendario.

La gestazione di questa crisi ed i presupposti per la nuova fase governativa, ci daranno ulteriormente la dimensione di un inconciliabile divorzio tra il Paese reale ed i fantocci politicanti?

A quando i partiti dismetteranno parassiti e mediocri per poi dare spazio alla” retta ragione umana”?

Oggi mancano le teste pensanti. Non si riesce neppur più ad elevare lo sguardo all’ interesse generale . Non vorremmo che  il quadro diventi irrecuperabile. Altre situazioni già avveratesi nella Storia e non lontano da noi ci fanno presagire il peggio.

Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it

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Articolo pubblicato il 11/12/2016