Il NO trionfa alla prova del voto

Dichiarazioni di Renzi. La caporetto del PD. Aggiornamento alle ore 0,45 del 5 dicembre.

Dopo tanta trepidazione e innumerevoli frasi fatte buttate al vento da una classe politica sempre più alla deriva, l’esito delle urne elettorali sta privilegiando decisamente il NO al 60%.

Qualcuno ha sostenuto che l’alba del 5 dicembre sarebbe in ogni caso arrivata ed infatti è così.

Renzi in TV, quando il risultato è decisamente orientato, abbozza bene e inneggia al voto popolare e si produce con un distacco inusuale al fair play. Si assume le responsabilità della sconfitta e ringrazia i suoi sostenitori.

Ammette di aver perso e di non essere riuscito a giungere alla vittoria.  Esalta il valore della democrazia e annuncia che l’esperienza di governo finisce. Domani pomeriggio dopo la riunione del Consiglio dei Ministri, si dimetterà al Quirinale. Ringrazia la famiglia per il sostegno e pare voglia impegnarsi per il disbrigo delle scadenze istituzionali, dimostrando serenità nel passaggio di consegne al prossimo presidente del consiglio.

Per i prossimi giorni, si scorgono già alcune certezza.

Inizia la stagione della resa dei conti all’interno del PD, partito ove fazioni palesi e sotterranee hanno ostacolato il cammino di Renzi verso il si, non tanto perché si dissentisse sui contenuti della Boschi - Renzi, ma per far affiorare precedenti rese dei conti contro il ducetto toscano, sempre rinviate o affogate, con perdite.

Domani si uscirà allo scoperto, per iniziativa dei dissenzienti o dello stesso Renzi che cercherà di sbarazzarsi dei nemici interni, anche se da questo voto esce molto indebolito anche come segretario del Partito. Ma i colpi di coda sono sempre possibili.

Anche in sede locale, il terremoto potrebbe provocare se non vittime illustri, almeno seccature a qualcuno. In particolare nei confronti di Chiamparino si chiederà conto della conduzione opaca di una regione ogni giorno di più in declino, oltre alla sopravvivenza di alcuni suoi assessori deboli che sino ad oggi si è ostinato a difendere, nonostante siano invisi allo stato maggiore del partito.

Situazione non dissimile nel centro destra. Se il dopo referendum, almeno dalle molte dichiarazioni rilasciate, potrebbe aprire la campagna elettorale per le prossime elezioni (impossibile oggi senza una legge elettorale), si da per certo che il vecchio schieramento sia ormai polverizzato.

E’ abortita apertamente la coabitazione di Silvio Berlusconi e tanto più di Stefano Parisi con il lepenismo di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

All’interno della Lega sta partendo l’offensiva dei veneti e lombardi nei confronti di Salvini in vista del congresso di Gennaio, capitanata da personaggi di calibro come Umberto Bossi, Roberto Maroni e Luca Zaia che inorridiscono dinanzi al progetto Salviniano di trasformare la Lega in parto nazionale, eliminando la gloriosa e identitaria dizione NORD.

L’unico che da attore consumato forse riuscirà ad evitare contraccolpi sarà Beppe Grillo che nel comizio di chiusura della campagna elettorale a Torino, ha spostato la tensione dell’uditorio al dopo voto, considerando ininfluente il risultato finale, sul cammino di altre conquise politiche. Ma l’esito del voto non potrà che intensificare la sua azione.

Dovremo abituarci a un rimescolamento degli schieramenti e forse a una polarizzazione verso altri leaders oggi non completamente emersi.

Ormai è chiaro che il numero elevato degli elettori, inconsueto nelle ultime consultazioni elettorali e l’esito del voto, deve leggersi come un referendum sul presidente del consiglio e sulla sua politica, nonostante le mancette governative equamente distribuite nell’ultimo mese.

Se l’Italia è frenata sotto il profilo della politica economica, del mancato sviluppo e della disoccupazione giovanile inarrestabile, la responsabilità deve ascriversi alla politica miope, episodica  del Governo ed a causa delle mancate riforme sostanziali che avrebbero potuto ridurre il gap di inefficienza che ci separa dalla nazioni progredite.

Tutto da domani potrà succedere.

Renzi, come annunciato si reca dal Capo dello Stato per presentare le dimissioni del Governo, quale conseguenza del valore ultimativo che lui stesso ha caricato sull’esito del referendum.

Sergio Mattarella si troverà davanti alla prima situazione seria da quando siede sul colle più alto. Potrebbe considerare la crisi extraparlamentare e rinviare il governo in Parlamento per il voto.

Nel frattempo le cassandre di regime potrebbero strumentalizzare la speculazione  internazionale in agguato, l’Europa che taglia i cordoni della borsa ed altri pericoli che oggi non immaginiamo. I parlamentari che tengono famiglia, nell’interesse della nazione faciliterebbero la fiducia a Renzi e tutto filerebbe come prima. Anche se Renzi, per il momento ha escluso ogni ripensamento.

Oppure Mattarella potrebbe aprire le consultazioni di rito con i segretari dei partiti e se Renzi confermasse le sue irriducibili dimissioni, molti scenari si presenterebbero. Non si deve dimenticare che le scadenze parlamentari legate al patto di stabilità rendono oggettivamente difficile l’abbandono immediato di Renzi dal Governo.

Sempre che a Renzi convenga un gioco che per lui stesso sarebbe ricco d’insidie.

In ogni caso, s’inneggia all’esito del voto, ma è  chiaro che i No non rappresentano una maggioranza politica omogenea e tutto dovrà ricominciare ad iniziare dalla Legge elettorale che oggi non esiste dopo la sentenza d’incostituzionalità della Consulta.

Come abbiamo potuto assistere dai dibattiti televisivi, il valore dei protagonisti lascia molto a desiderare.

E’ il cittadino assiste sconcertato e attende ancor di più, conseguenze di certo problematiche.

In un momento così caotico, c’è qualche politico che privilegia la governabilità o si predilige il tanto peggio, tanto meglio?

Avremo modi di ritornare in argomento nei prossimi giorni.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 05/12/2016