Amari risvegli: lo "zimbello" è diventato l'uomo più potente del mondo
Donald Trump, quarantacinquesimo Presidente degli States

Leonardo Incorvaia per Civico20News

Amaro risveglio, mercoledì 9 novembre, per gli italici "politicamente corretti", per i buonisti ad oltranza nostrani, per i "radical chic" di una sinistra sempre più sgangherata e lontana dalla gente e, insomma, per tutti gli ipocriti che si riempiono la bocca della parola "democrazia" avendone però scordato ormai l'etimo

A sorpresa, il 45° presidente degli Stati Uniti d'America sarà proprio quel Donald Trump sul quale i nostri benpensanti (quanto in buona fede non è dato sapere) e sopratutto gli appartenenti all' "Intellighenzia" della Maggioranza e i suoi manutengoli hanno rovesciato palate di palta, irridendolo, sbeffeggiandolo, parodiandolo, accanendosi, chissà poi perchè, persino sulla sua capigliatura, facendolo divenire uno zimbello... oops!

Lo "zimbello" è diventato, letteralmente dalla sera alla mattina, in barba a tutti i sondaggi non si sa quanto "pilotati", l'uomo più potente del mondo, tra lo sconcerto e la costernazione di chi, sino a ieri, l'aveva considerato poco più, o poco meno, che un fenomeno da baraccone.

Ahiloro, quanta di quella melma si dovranno riingoiare i nostri Soloni della compagine governativa, quante risate morte nella strozza da dimenticare, quante battute salaci sul presunto "toupet" ormai Presidenziale da rinnegare quando, con il cappello in mano e l'aria servile, i nostri Rappresentanti ufficiali andranno a rendere omaggio (o a prendere ordini?) da chi sino a ieri avevano preso e lasciato da pagliaccio... e con nel cuore la fervida speranza che il "pagliaccio" più potente dell'orbe terracqueo non si ricordi dei loro lazzi e sberleffi passati!

In tutta sincerità, chi scrive non è rimasto poi così sorpreso dal risultato delle elezioni americane, nè condivide la preoccupazione di molti sul futuro dell'Unione e, di riflesso, del mondo e tutto questo per una serie ben ponderata di ragioni.

Innanzi tutto, non si arriva a capo di un impero economico valutato la stratosferica cifra di quattro miliardi di dollari se non si hanno indubbie capacità manageriali e organizzative e, se è vero che tali capacità da sole  non bastano a garantire anche la capacità di guidare una nazione come l'America, sono tuttavia una solida base di partenza.

Secondariamente, se nulla ovviamente è ancora dato sapere sulle capacità "politiche" in senso lato di Donald Trump, sappiamo bene, di contro, quali e quanti errori, in politica estera, ha commesso la Clinton, a partire dal sostegno dato ai ribelli libici per l'abbattimento del regime di Gheddafi, (contro il parere del Pentagono)  con quali nefasti risultati per l'Italia sul piano dell'immigrazione è sotto gli occhi di tutti e che i suoi sostenitori nel nostro Paese si sono ben guardati dal ricordare, continuando con l'appoggio (e una probabile corresponsabilità) al coinvolgimento americano nella guerra siriana e la minaccia, neppur troppo velata, di una escalation in quel conflitto, rivelandosi, così, potenzialmente ben più pericolosa di Trump.

Il quale Trump, di contro, con la sua se non dichiarata, abbastanza palese sintonia con Putin, potrebbe, di fatto, disinnescare la pericolosa situazione siriana che vede oggi fronteggiarsi U.S.A. e Russia e portare quindi ad una distensione tra le due superpotenze, con indubbi vantaggi per l'equilibrio mondiale; non bisogna dimenticare che i rapporti U.S.A./Russia sono quanto mai tesi, oggi, anche e sopratutto per colpa di una non ben comprensibile "strategia della tensione" di Obama con schieramento di truppe N.A.T.O.(compreso un contingente italiano) in Lettonia.

E' abbastanza trasparente, comunque, la spiegazione dell'appoggio del Governo italiano alla Clinton e l'avversione per il "tycoon": al di là del fatto che la figura di Donald Trump ricorda molto, è fuor di dubbio, il Silvio Berlusconi prima maniera, il magnate americano incarna, in senso letterale, molti degli ideali, malignamente e improvvidamente  definiti "populisti" dai satrapi del centro-sinistra, che stanno sempre più prendendo piede incasa nostra.

E' contrario all'immigrazione, è contro "il sistema", è nazionalista e pone, giustamente, gli interessi dell'America prima di ogni altra cosa; è liberista, quindi fautore di una minore ingerenza dello Stato nella vita pubblica,si prefigge una diminuzione delle tasse e, in buona sostanza, propone una visione più manageriale che politica della nazione, cosa questa incomprensibile e vista come il fumo negli occhi dai nostri politici, molti dei quali non hanno mai lavorato e le cui competenze economiche sono pari o inferiori a zero.

Ma c'è un altro fatto che agita le notti dei nostri "cari leader" a seguito del risultato delle elezioni americane, un fatto che ha origine anche, ma non solo, nella gigantesca cantonata presa dai sondaggisti di tutto il mondo e financo dagli operatori finanziari e dalle Borse che davano per certa la vittoria di Hillary Clinton: tra poco meno di un mese, ci sarà un appuntamento elettorale anche in Italia, un appuntamento sul quale il Governo si gioca la sua credibilità e, forse, la sua stessa sopravvivenza: l'ormai famigerato referendum costituzionale.

Non passa giorno, si può dire, che i media non ci propinino proiezioni, previsioni, vaticinii persino, sul risultato finale e, ad oggi, i "si" e i "no" paiono essere al testa a testa ma... ormai, chi si fida più? E se, per il cittadino qualunque, tali proiezioni lasciano il tempo che trovano, chi imprudentemente ha legato le proprie sorti politiche al risultato del referendum ha ben ragione di preoccuparsi e di intravvedere, nella dèbacle della ex first- lady, le avvisaglie di una prossima, probabile, sonora batosta.

 

                                                                                 Leonardo Incorvaia       

         

 

         

         

 

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Articolo pubblicato il 11/11/2016