Donald Trump alle 5,30 è in vantaggio per diventare il 45esimo Presidente degli Stati Uniti!

La notte elettorale è stata particolarmente carica di tensione non solo negli  Stati Uniti per l’elezione del quarantacinquesimo Presidente.

Alle 5,30 ora italiana del 9 novembre, il nome pare sufficientemente definito. Donald Trump potrebbe diventare fra poche ore il presidente degli Stati Uniti con con il favore di 223 elettori contro i 209 di Hillary Clinton !

Ma, a prescindere dalla legittimità del voto, una cosa è chiara sin da ora: in questa campagna si sa già chi ha  effettivamente perso, ed è l’America.

Gli americani sono stati indecisi perché detestano, per un motivo o per un altro, entrambi i candidati.

Hillary Clinton e Donald Trump sono due personaggi completamente diversi, con idee politiche radicalmente opposte, per non parlare delle attitudini. Il fronte dei due partiti contendenti è disorientato.

I repubblicani, forse, sono i più delusi e attraversano una fase di crisi. Faticano a fare i conti con il fatto che votare per il loro partito significa votare per un Trump lontano dal politically correct. Non si capacitano di come il suono del populismo abbia spazzato via i valori storici dei conservatori, ma ovviamente da domani dovranno fare buon viso.

Per la verità questo non l’hanno capito nemmeno i democratici. Il team della Clinton ha ingaggiato un’équipe di psicologi, sociologi e medici per capire Trump e cercare di trovare un modo convincente di sostenere il confronto. In parte ci sono riusciti e hanno elaborato la tecnica di usare gli slogan di Trump come arma contro di lui per ridicolizzarlo e svelarne i contenuti grotteschi, ma hanno fallito.

Hillary nonostante l’immagine appannata sin dall’inizio ed i legami con il clan famigliare e la familiarità con una fondazione assai discussa, è donna e si batte per i diritti civili. La presidenza della Nazione più importante del mondo in mano a una donna avrebbe potuto rappresentare una spinta fortissima verso la via della parità, tenuto conto dello stato di arretratezza che ancor vige nelle principali istituzioni democratiche a partire dall’Europa sul riconoscimento del ruolo pubblico della donna.

Com’è possibile che Donald Trump possa piacere a oltre la metà deli elettori americani?  Il suo è un elettorato arrabbiato, isolazionista e in buona parte xenofobo. Sono milioni di persone di razza bianca, quella che da working class negli anni 50 del secolo scorso è diventata middle class. Sono cittadini risultati vittime  della deindustrializzazione e dell’invasione - invadenza del “diverso”, messicano o afroamericano, femminista o transgender che ha avuto il suo culmine con l’ascesa di Obama alla Casa Bianca.

Per la middle class il reddito medio è sceso dal 77900 dollari del 1999 ai 72900 del 2014. E’ purtroppo svanito il “sogno americano”. L’esito elettorale segna un rimescolamento sociale di non poca importanza che segnerà la strada anche in Europa ove le istanze nazionali sono in forte crescita.  Inizierà la discontinuità, soprattutto in Politica Estera.

Le borse di Tokio  e Hong Kong, in queste ore sono impazzite e l’oro viene nuovamente riconosciuto il bene rifugio per eccellenza.

Se poi consideriamo gli effetti della ricaduta sull’Europa delle elezioni americane, non possiamo negare che, almeno nelle ripetute dichiarazioni ufficiali Trump è stato particolarmente esplicito sulla NATO, mettendo in discussione la sua rilevanza nella lotta contro il terrorismo. Mentre Clinton diceva di voler continuare a fare affidamento sui suoi alleati europei e condividere le informazioni di intelligence.

Dal punto di vista degli scambi commerciali, Trump vuole più protezionismo. Clinton, invece, da sempre sostiene il libero scambio anche se ha recentemente lasciato intendere che potrebbe lasciare il tavolo delle trattative per l’accordo commerciale con l’Unione europea: vale a dire il trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, noto anche come TTIP.

Entrambi i candidati hanno promesso un aumento della spesa pubblica, quale stimolo all’economia, che potrebbe accelerare la caduta dei corsi delle obbligazioni e un conseguente aumento dei tassi. Nel caso di una vittoria di Trump, l’aumento sarebbe più consistente, sia perché il cuore del suo programma prevede un forte taglio alle tasse con conseguente aumento del deficit pubblico, sia perché nelle scorse settimane il candidato repubblicano ha più volte attaccato Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, per aver perseguito una politica monetaria troppo accomodante al fine di favorire la candidata democratica. Le idee fortemente anti-liberiste di Trump in termini di commercio internazionale indebolirebbero anche i tassi di cambio di partner importanti come il Messico, il Canada e la Corea.

Sul fronte della volatilità, una vittoria repubblicana farebbe ulteriormente crescere indici come il Vix (ovvero il Chicago Board Options Echange Volatilty Index). L’ambiguità delle posizioni portate avanti dal candidato repubblicano, assieme al fatto di non avere al suo fianco consiglieri universalmente riconosciuti come competenti, aumentano le incertezze del quadro economico. Per non parlare poi delle posizioni prese da Trump in politica estera, nei confronti degli alleati o della Russia di Putin.

Si enfatizza giustamente la scelta del Presidente,  ma si sottovaluta che ieri gli  Americani hanno votato anche per rinnovare gran parte della Camera e del Senato. Non sarebbe la prima volta che un presidente, nelle scelte decisive di bilancio e di politica estera debba  fare i conti con un parlamento ostile.

A differenza dell’Italia, a prescindere dai toni usati in campagna elettorale, l’America è una Nazione e non un’accozzaglia di tribù politiche condizionate da retaggi antichi e nuovi che continuano a pesare e implicitamente provocano ogni giorno di più l’avversione dei cittadini verso lo Stato e purtroppo si ritengono ostaggi di un marmaglia di politicanti sempre pronti ad autoassolversi ed a decidere con ignoranza e superficialità il destino di un Paese che sta sprofondando ogni giorno sotto l’aspetto etico, economico, occupazionale ed istituzionale. E ciò fa la differenza e che differenza!

Il Presidente degli United States assumerà i poteri il 20 gennaio 2017, con l’ormai storico giuramento. Nel frattempo ci sarà tempo per seguire l’evolversi delle impostazioni e l’affinamento del programma. Auguriamoci che dopo mesi di massacri, la Borsa nei prossimi giorni possa mutare indirizzo, possibilmente al rialzo.

 Almeno negli auspici. Poi si vedrà.

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Articolo pubblicato il 09/11/2016