Elezioni Presidenziali Americane. I seggi elettorali sono chiusi, Prosegue lo spoglio dei voti.

Primi parziali risultati di tendenza alle ore 2,15 del 9 novembre, ora italiana.

Dalle 19 ora locale di New York,  i seggi elettorali negli Stati Uniti sono ufficialmente chiusi ed è iniziato lo spoglio dei voti, già in corso negli altri Stati ove il fuso orario è anticipato sino a 6 ore.

L’Election day si è svolta regolarmente, se si eccettua una sparatoria all’esterno di un seggio di Los Angeles con un morto e tre feriti gravemente ed uno spogliarello improvvisato da due ragazze avversarie di Trump in un seggio nei sobborghi della Grande Mela.

Non si è, almeno al momento scatenato il boicottaggio elettronico ordito da Putin. L’FBI non ha diffuso, dopo la bacchettata di Obama, notizie destabilizzanti circa le email private di Hilary e le disinvolture di contorno messe in opera dai chiacchierati ex collaboratori della candidata alla presidenza.

Alle 2, 15 di mercoledì 9 novembre, c’è ancora lo scrutinio in corso con il testa a testa tra i due contendenti negli  Stati principali (Florida, Virginia, Ohio). Sono stati terminati gli scrutini solamente negli  Stati minori. La sfida elettorale è  molto sentita e partecipata, con percentuali dei votanti che oscillano oltre il 70% degli elettori.

Hillary Clinton è in vantaggio di poco 48,9 % contro il 48,2% di Trump   . Ma per ricavare un risultato più verosimile del voto, ci aggiorneremo tra qualche ora, appena saremo in possesso di un’indicazione significativa. Si prevede un risultato finale sul filo di lana.

Non va sottovalutata la complessità dei sistema del voto americano ove prevale il giudizio espresso dai “Grandi Elettori” il cui peso dipende dall’entità della popolazione dei singoli stati. In alcuni stati poi prevale il voto elettronico che contribuisce a semplificare le operazioni elettorali e i diversi fusi orari fanno la differenza. Gli americani eleggono i Grandi elettori che a loro volta, il 19 dicembre eleggeranno il Presidente degli Stati Uniti, vincolati dal voto popolare che oggi li designa.

Gli americani al voto scelgono anche la nuova composizione di Camera e Senato, amici-nemici dell’inquilino della Casa Bianca. Le attese danno quasi per scontato che i repubblicani mantengano la maggioranza alla Camera. La vera battaglia invece è per il Senato: secondo gli ultimi sondaggi, i democratici hanno il 55% di chance di mantenerne il controllo ma la corsa è ancora aperta.

Il Senato è cruciale perché sarà in grado di determinare la dinamica fra il Congresso e la Casa Bianca. Nel caso in cui Clinton vincesse, un senato a maggioranza democratica sarebbe un alleato determinante per bilanciare la Camera repubblicana, come si prevede che resti.

Un Senato repubblicano, invece, renderebbe la vita difficile per una presidenza Clinton essendo in grado, con la complicità della Camera, di bloccare l’agenda legislativa presidenziale. Nel caso di vittoria di Trump, un Senato democratico sarebbe l’ultimo bastione della resistenza democratica contro un presidente e una Camera a maggioranza repubblicana. Un Senato repubblicano con Trump presidente si tradurrebbe nel Gran Old Party in controllo del Congresso e della Casa Bianca.

Agli elettori sono sottoposti anche alcuni referendum diversi per i singoli Stati. In California oltre che per la legalizzazione della marijuana per uso ricreativo si vota anche per l’obbligo dell’uso del preservativo nell’industria del porno e su due diverse e opposte ‘proposition‘ sulla pena di morte.

La prima che prevede la trasformazione della pena di morte nel carcere a vita. La seconda punta invece ad accorciare i tempi fra la condanna e l’esecuzione. In Maine, in Nevada e nello stato di Washington è al voto una proposta per imporre restrizioni all’acquisto di armi.

Al momento non ci sbilanciamo nell’interferire sulle previsioni finali.

Preferiamo invece riflettere su dove potrebbero risiedere le motivazioni delle ricadute positive sul nostro ahimé disastrato Paese.

Per il rischio Italia, ma anche per l’euro e l’Unione europea, il miglior candidato alle elezioni presidenziali degli  Stati Uniti è il PIL americano.

Che vinca un candidato piuttosto che l’altro, quello che conterà di più per i mercati europei e in particolare per quello italiano nel medio – lungo termine, sarà l’andamento della crescita americana post elezioni.

In uno scenario Usa di politica fiscale ed economica espansiva, moderata o aggressiva che sia a seconda del candidato vincente, l’Italia non potrà che trarre beneficio da un PIL americano forte e stabile, con una Federal Reserve che alzerà i tassi, ma a piccoli e lenti passi, con volatilità in calo e un clima di propensione al rischio globale in aumento.

Una borsa americana tonica con il dollaro forte, il rendimento dei Treasuries in lieve rialzo, e degli high yeld bond in ribasso, con quel contesto di riferimento, la crescita italiana potrebbe essere favorita. Così la sostenibilità dei conti pubblici.

Ma ovviamente questo scenario non si potrà realizzare d’incanto. Sarà la figura del presidente i suoi intendimenti politici e, soprattutto le prime mosse a determinare una situazione anche a noi favorevole o meno.

In un quadro Usa sgombro da incertezze politiche e con prospettive di crescita economica solida, il risk off dei mercati sull’Italia provocato dall’ormai  prossimo referendum sulla riforma costituzionale, potrebbe essere mitigato, così da contenere l’eventuale ampliamento dello spread tra BTP e Bund contenuto.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 09/11/2016