L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Massimo Calleri: ricordando Firenze

Un disastro dapprima sottaciuto dagli organi di informazione

Il mondo intero ha ricordato il triste evento che cinquant’anni or sono devastò Firenze e tutto i bacino idrografico dell’Arno. L’alluvione del lontano 4 novembre 1966 ha altresì lasciato un terribile segno nell’esistenza di chi l’ha vissuto di persona ed in chi ha assistito alle drammatiche immagini della devastazione prima ed a quelle che hanno testimoniato la volontà di recuperare nel minor tempo possibile un’identità fatta di tradizioni e di cultura.

Circa seicentomila metri cubi di fango avevano distrutto in poche ore una innumerevole serie di ponti, reso inagibili molte strade, rendendo assai difficoltosa l'opera di primo soccorso. E fu anche uno dei primi episodi che scaturirono la necessità di creare quella struttura centrale di Protezione Civile in grado di avvertire tempestivamente le popolazioni di ciò che stava, ed oggi sta, per accadere in modo di poter intervenire, se, non altro, per limitare i danni alle cose ma soprattutto alle persone.

Firenze fu vittima anche di questa colpevole assenza ma anche del ritardo con cui furono annunciate, dagli organi di informazione, le verità sulle dimensioni del disastro che si stava materializzando col passare delle ore forse per non creare eccessivi allarmismi. La conseguenza fu sotto gli occhi di tutti e solo chi fu avvisato, per conoscenza diretta, dell’imminente pericolo riuscì a salvare il salvabile.

La macchina dei soccorsi potette contare, inizialmente, sull’opera dei volontari e dei militari di stanza nella regione. La macchina operativa dello stato divenne effettiva solo dopo una settimana o poco meno. Ma fu un colpo mortale anche per l’agricoltura e l’allevamento di fatto cancellate dalla furia dell’Arno e diede il via a quello che nel tempo successivo si manifestò nel nuovo sviluppo manifatturiero, artigianale e commerciale che si consolidò negli anni e che ancor oggi è un fiore all’occhiello per tutta la regione.

Avendo i parenti in quel di Sieci, ridente paese sulla via Aretina fra Firenze e Pontassieve, vissi indirettamente, ma con molta partecipazione, il dramma che colpì la zona. Mi fu detto di un grande fiume che copriva tutta la piana circostante trascinando ogni sorta di oggetti, auto e, purtroppo, animali travolti dalla furia delle acque.

Immagini terribili che conservo ancora in quella parte indelebile della memoria; come pure il dramma vissuto dai congiunti residenti a Rovezzano, alle porte della città di Firenze, che videro arrivare l’onda grande e capirono cosa stava per accadere.

Ma al di là del fatto personale, ebbi la percezione di come l’essere umano fosse  vulnerabile e incapace di opporsi a quella che mi apparve come una rivincita della natura. Oggi, a mezzo secolo di distanza, mi duole constatare che quest’ultimo aspetto è quello ancora in crisi di identità; si sono fatti passi enormi per la salvaguardia dell’incolumità della gente, ma non basta ed i tragici eventi che stiamo vivendo insieme alle popolazioni del centro Italia mettono in risalto, ancora una volta, come il rispetto del territorio e di quella natura di cui ho appena detto non occupino ancora il giusto posto nella scala delle priorità.

Oggi, ancora, desidero ricordare la vera solidarietà messa in atto nei luoghi colpiti dal sisma dagli stessi abitanti di quella terra che è la loro vita, la loro storia, la loro volontà di continuare. La macchina dei soccorsi, occorre dire, si è avviata immediatamente con tanti volontari che, come fecero a Firenze gli “Angeli del fango”, si stanno prodigando per portare conforto ed aiuto ai tanti che hanno perso tutto.

Chiudo ricordando oggi, come accadde allora, l’importanza del recupero artistico e culturale delle zone colpite perché l’identità di appartenenza non deve mai essere posta in secondo piano; è ora che l’uomo dimostri il rispetto verso ciò che lo circonda e che è alle origini della sua nascita e sopravvivenza: tutto il resto è una conseguenza che non deve, tuttavia, prevaricare il sapere, il conoscere e l’operare per il bene comune e non soltanto per l’affermazione di se stessi.

Non per essere ringraziati, bensì per la gioia interiore di aver fatto qualcosa di utile per gli altri ed anche per noi stessi.

                                              

                                                                           Massimo Calleri

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 06/11/2016