TANDEM TRA FINZIONE E REALTÀ: La bicicletta

Un mezzo di locomozione considerato nella letteratura e nelle arti figurative, tra brani sportivi, romanzi polizieschi, suggestioni erotiche e monumenti

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BICICLETTA AL CINEMA

La bicicletta sarebbe stata inventata da Leonardo da Vinci: uno schizzo riconducibile a un suo allievo compare nel foglio 133v del Codice Atlantico, databile intorno al 1493. Il ritrovamento dello schizzo risale al 1972, ad opera del professor Augusto Marinoni, che aveva staccato due fogli incollati assieme per nascondere alcuni disegni osceni: ha provocato molte discussioni e l’attribuzione a Leonardo non è condivisa da tutti gli studiosi.

Della controversa bicicletta leonardesca sono stati realizzati numerosi prototipi in legno, con qualche differenza per lo sterzo della ruota anteriore. Stupisce la modernità della sua concezione perché, in enorme anticipo sui tempi, sono già presenti i pedali con la catena come nella bicicletta “moderna” che apparirà sul finire degli anni ‘80 dell’Ottocento!

Dal 1493, per una nuova idea di un mezzo meccanico sostitutivo del cavallo, dobbiamo attendere il 1791, quando il conte Mède de Sivrac presenta a Parigi, nei giardini di Palais Royal, il “celerifero”: un palo di legno a forma di cavallo, di serpente o di leone, che collega due ruote in legno, senza pedali e senza possibilità di sterzare con la ruota anteriore. Non vi è manubrio e neppure pedali, il movimento è dato dalla spinta dei piedi a terra: il “celerifero” appare molto più rudimentale del prototipo leonardesco!

Anche se ne esistono delle ricostruzioni, dal 1976, alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che non sia mai esistito!

Le vicende della bicicletta diventano finalmente incontrovertibili nel 1817, quando Karl Drais von Sauerbronn (1785-1851), barone tedesco appassionato di meccanica, costruisce quella che definisce “Laufmaschine” (macchina per correre): un telaio di legno, con due ruote uguali, un manubrio snodabile sulla prima ruota e un lungo sedile in legno, che si spinge con i piedi. La “Laufmaschine”, battezzata “draisienne” dal nome dell’inventore - in italiano “draisina” - è presentata, il 5 aprile 1818, nei Giardini del Luxembourg a Parigi e poi a Milano, città italiana più strettamente legata al nascente ciclismo, almeno secondo quanto scrive Mimmo Franzinelli nel suo libro “Il Giro d’Italia” (2013).

La “draisina” viene via via perfezionata e costruita in ferro, in Francia e in Inghilterra. Fervono le scoperte, col contributo di personaggi di varie nazioni. Talora le soluzioni proposte non sono ottimali. Ad esempio, l’inserimento dei pedali al mozzo della ruota anteriore, come nel triciclo dei bambini, porta alla realizzazione del “velocipede” e poi del “grande biciclo”: anche se la ruota anteriore sovradimensionata crea problemi di equilibrio, questo mezzo ha grande successo per molti anni.

Sul finire degli anni ‘80 dell’Ottocento si ottengono risultati soddisfacenti nella realizzazione della bicicletta moderna.

A Milano, le biciclette sono 4.000 nel 1893 e 6.200 nel 1895, quando a Torino sono 5.000, a Roma 4.000 e 3.000 a Firenze.

I perfezionamenti sono continuati, nel Novecento e nel Terzo Millennio (ad es. nel 2015 si è parlato di una bici senza raggi che si piega e si mette nello zaino) ma non è il caso di dilungarsi su questo tema, ben documentato in rete, e preferisco considerare in che modo questo nuovo mezzo di locomozione sia stato considerato nella letteratura e nelle arti figurative, senza la pretesa di un discorso esaustivo ma procedendo per flash suggestivi.

L’affascinante idea della scoperta leonardesca ha avuto un riscontro letterario, quando lo scrittore messicano Paco Ignacio Taibo II ha scritto il romanzo noir “La bicicletta di Leonardo” (Milano, 1994).

In passato, scrittori di rilievo - come  Pascoli, De Amicis, Fucini, Guerrini, Panzini, Giacosa, Vergani, Comisso, Gatto, Malaparte, Buzzati, Pratolini, Soldati, Brera - prestati al giornalismo sportivo, hanno pubblicato articoli su quotidiani e periodici fino al secondo dopoguerra, con elaborazione di una vera e propria letteratura “sportiva”, oggi dimenticata.

Parlando di romanzi polizieschi, la bicicletta compare in due racconti che Arthur Conan Doyle, pubblica sullo “Strand Magazine” nel 1904. In “L’avventura del ciclista solitario”, Sherlock Holmes salva la signorina ciclista Violet Smith, seguita da un uomo in bicicletta e, ne “L’avventura della scuola del priorato”, a Mackleton segue le tracce lasciate nella brughiera dalle ruote di una bicicletta, che assumono un peculiare rilievo investigativo.

Appare interessante “La bicicletta nella letteratura”, excursus a cura di Enrico Linaria con citazioni di pagine che hanno per protagonista la bicicletta, selezionate da 26 romanzi ed esposte in ordine alfabetico.

Sarà una mia deformazione mentale: da Linaria ho tratto due citazioni a sfondo “criminale”: in primis il romanzo “Ladri di biciclette”, di Luigi Bartolini (1892-1963), pubblicato nel 1946, che ha ispirato il celebre omonimo film di Vittorio De Sica del 1948.

La seconda citazione proviene dal romanzo del 1976 “La stanza del vescovo” di Piero Chiara (1913-1986): il losco avvocato Temistocle Mario Orimbelli noleggia una bicicletta per raggiungere, non visto, la sua villa di Oggebbio (VCO) dove uccide la moglie simulando un suicidio, poi torna a Pallanza nella stessa notte in modo da crearsi l’alibi. Anche da questo romanzo è stato tratto un film, diretto da Dino Risi, nel 1977.

Dopo tante biciclette letterarie “criminali”, ricordiamo l’articolo “Il ciclismo nel delitto” pubblicato nel 1900 da Cesare Lombroso sulla rivista “Nuova Antologia”. Sulla base di una vasta casistica, Lombroso evidenzia la pericolosità sociale della bicicletta che incrementa numeri e moventi del crimine; favorisce la fuga e l’alibi dei delinquenti; induce molto spesso furti e appropriazioni indebite e, infine, può anche istigare all’omicidio.

Ai nostri giorni, nel caso del delitto di Garlasco (13 agosto 2007), si è molto parlato di una misteriosa bicicletta nera da donna, osservata da una testimone appoggiata al muretto della casa della vittima, Chiara Poggi.

Considerando le arti figurative, la bicicletta è di rado rappresentata nei monumenti. In Italia, la si trova nelle statue dedicate a Fausto Coppi, a Gino Bartali, Marco Pantani, Vito Taccone e genericamente al ciclista, come quella presso il santuario della Madonna del Ghisallo (Como), patrona dei ciclisti, ed in altre località. I 5 monumenti più belli che propongono la bicicletta come passatempo e mezzo di trasporto popolare, si trovano in Svezia, Belgio, Danimarca, Singapore, Santa Rosa (USA), secondo il blog Copenhagenize.com.

Per campanilismo, ricordiamo che a Torino una bicicletta stilizzata si trova nel monumento a Fausto Coppi, inaugurato l’8 giugno 2002, in corso Casale, nei pressi del Motovelodromo.

Anche considerando la pittura, non emergono quadri clamorosi ispirati alla bicicletta. Il tema “donna-bicicletta” è stato invece molto usato, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, a scopo pubblicitario, per le figurine dei pacchetti di sigarette, negli Stati Uniti e in Inghilterra, per le figurine Liebig, per la pubblicità, più o meno direttamente connessa al ciclismo.

L’umorista inglese Jerome K. Jerome, in “Tre uomini a zonzo” (1900), esprime qualche mordace considerazione sul disinvolto abbigliamento esibito dalle ragazze nei cartelloni pubblicitari: “La tenuta da ciclismo della signora è perfetta per le giornate calde. Qualche albergatrice antiquata potrebbe arrivare a negarle l’ospitalità e qualche poliziotto di vecchio stampo potrebbe arrestarla e condurla, avvolta in una coperta, al commissariato. Lei non se ne cura. Su e giù per le montagne o in mezzo a un traffico che metterebbe in difficoltà un gatto, la signora se ne va soavemente con i capelli biondi al vento, quasi fosse una silfide”.

Sempre in tema “donna-bicicletta”, si osservano notevoli esemplari di pinup, opera del celebre disegnatore Gil Elvgren (1914-1980).

Concludiamo con Albert Joseph Penot (1862-1930), pittore francese noto per i suoi nudi femminili, che ha dedicato alla bicicletta il dipinto, noto come “Le nez dans le guidon”, ovvero il naso sul manubrio, espressione francese che indica l’atteggiamento di chi è fortemente concentrato sul lavoro da svolgere. Penot ci propone una formosa ciclista poco vestita, tallonata a breve distanza da due ciclisti maschi che sollevano un gran polverone, dove si intravede un terzo ciclista maschio ormai disinteressato alla corsa. Guardando le espressioni dei due inseguitori, viene spontaneo chiedersi se il loro forte impegno nasca soltanto da finalità agonistiche!

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Articolo pubblicato il 18/09/2016