Gli Arabi padroni d’Italia

Si tratta solo degli effetti della globalizzazione?

L’immigrazione clandestina avanza imperterrita senza sosta. Protestano gli abitanti di zone d’Italia particolarmente colpite o cloro che risiedono in quartieri delle grandi città che si sentono invasi privati del proprio spazio.

Agitano lo spettro i politici populisti che però si guardano bene dall’indicare soluzioni razionali e spendibili. Il bilancio dello Stato ne risente e nei fatti, a prescindere dalle dichiarazioni del governo, i fondi per il welfare subiranno altre profonde limatura, perché la coperta è corta e gli invasori pretenziosi avanzano.

Ma c’è una realtà non meno pericolosa che procede subdolamente e tutti tacciono. Si tratta della costante avanzata nella nostra economia, della finanza araba e mussulmana che ha già raccattato consistenti partecipazioni nelle aziende dei comparti strategici o tipici del made in Italy per eccellenza.

Una ricerca è stata recentemente condotta da Maria Elena Tanca, in collaborazione con il giornalista libico Aimen Gabala. Emergono elementi inquietanti che dovrebbero indurci alla riflessione.

Alcune operazioni hanno monopolizzato le prime pagine dei quotidiani, altre sono passate più sotto silenzio. Ma la presenza di investitori arabi nell'economia italiana è sempre più capillare.
Dal settore della moda, rivoluzionato da acquisizioni roboanti, come quella di Valentino ad opera della qatariota Mayhoola, a quello energetico, con società di Kuwait e Libia che controllano, ad esempio, Q8 e Tamoil Italia, che da sole coprono il 28% del mercato nostrano.
La maggior parte degli investimenti avviene sotto forma di partecipazioni azionarie nel capitale sociale delle aziende quotate alla Borsa di Milano.
Ecco, settore per settore, la situazione nel dettaglio.

Unicredit: quota araba del 9,17%.

La quota di partecipazione araba nel capitale sociale di Unicredit è pari al 9,17%, divisa tra il 5% di Abaar Investments (fondo sovrano degli Emirati Arabi), il 2,92% della Libyan Foreign Bank e l’1,25% della Libyan Investment Authority.
Considerando queste quote come un’unica unità, gli arabi risulterebbero essere i soci di maggioranza nella banca.

Banca Ubae: soci da Libia e Marocco per il 76%.

Banca Ubae si occupa di prestiti agevolati per le società. Supporta imprese e istituzioni finanziarie per le loro operazioni commerciali nei Paesi dell’Africa del nord e sub-sahariana, del Medio Oriente, del Sub continente indiano e dei principali Stati del Csi (Comunità degli Stati Indipendenti).
La quota araba è pari al 76%: il 67,5% appartiene alla Libyan Foreign Bank, il 4,66% alla Banque Centrale Populaire di Casablanca e il 4,34% alla Banque Marocaine du Commerce Extérieur.

Banca Abc Milano: il 59% è della Banca centrale libica.

E' una filiale di Abc (Arab Banking Corporation), istituto bancario del Bahrain. Opera in Medio Oriente, Nord Africa, Europa, America e Asia. Il 59% del capitale sociale è di proprietà della Banca centrale libica.
Il 30% appartiene invece alla Kuwait Investment Authority. 

Bpm: la misteriosa partecipazione della Libyan Investment Authority.

La Banca popolare di Milano è 11esima in Italia per capitalizzazione, quinta tra gli istituti popolari.
La Libyan Investment Authority possiede una quota minima nella banca.
Secondo la Consob, Commissione nazionale per le società e la borsa, la percentuale esatta non è nota.
La stessa situazione vale per Intesa Sanpaolo, primo gruppo bancario italiano per capitalizzazione.

Mediobanca: l'accordo con la Banca nazionale del Qatar.

Mediobanca ha siglato un accordo con la Banca nazionale del Qatar per finanziare progetti con valore superiore a 500 milioni di euro.

Borsa Italiana: controllata da Borsa di Dubai e Qatar Investment Authority.

Il centro del business per eccellenza non è sfuggito alle attenzioni arabe.
Attraverso la casa madre London Stock Exchange, Piazza Affari è controllata dalla Borsa di Dubai, che possiede il 17,4% del capitale, e dalla Qatar Investment Authority (10,3%).

Q8: al 100% della Kuwait Petroleum International.

Il marchio petrolifero Q8 è al 100% di proprietà della Kuwait Petroleum International, società nazionale per investimenti petroliferi del Kuwait, che gestisce più di 3.500 distributori in tutta Italia.
Con l’importante acquisizione, conclusasi il 30 giugno 2014, delle attività Rete, Aviazione, Supply e Distribuzione di Shell, Kuwait Petroleum Italia, a distanza di trent’anni dal suo ingresso nel Paese, diventa il secondo operatore del mercato petrolifero italiano.
Q8 copre il 21% del mercato ed è la seconda società energetica in Italia. 

Tamoil: il 70% è della libica National Oil Corporation.

A partire da settembre 2012, il 70% di Tamoil è della libica National Oil Corporation e il 30% del governo libico.
La quota di mercato rete riferita a Tamoil in Italia è pari al 6%.
Nel 2015 il fatturato consolidato è stato pari a 4,4 miliardi di euro. La sua attività nel campo dei carburanti e dei lubrificanti si può dividere in due tronconi: le stazioni di servizio, con circa 1.400 punti vendita su tutto il territorio nazionale; il settore extra-rete, che distribuisce i prodotti destinati a rivenditori, grossisti, consumatori finali, industria, aviazione, enti pubblici.
La sede generale di Tamoil in Italia si trova a Milano: da essa dipendeva la raffineria di Cremona, abbandonata nel 2010-2011.

Eni: quota dell'1,9% alla Libyan Investment Authority.

La Libyan Investment Authority possiede una quota pari all’1,9% del capitale sociale di Eni, per un valore di 400 milioni di euro.
Dal 1995 al 2001 lo Stato italiano ha venduto buona parte del capitale azionario. Se si sommano le quote del Tesoro e della Cassa Depositi e Prestiti, conserva comunque una quota superiore al 30%.
Lo Stato ha in ogni caso il controllo effettivo della società.

Enel: il fondo sovrano libico sfiora il 2%.

Il fondo sovrano libico possiede quasi il 2% del capitale sociale di Enel, con un valore di mercato di quasi 59 milioni di euro.
Lo Stato italiano resta comunque il principale azionista, con il 23,50% del capitale sociale. 

Alitalia: la Etihad di Abu Dhabi detiene il 49%.

La compagnia aerea Etihad di Abu Dhabi ha acquistato il 49% delle azioni di Alitalia, con un’operazione del valore di 1 miliardo di euro.
Alitalia fa parte dell’alleanza SkyTeam e della rete di Etihad Airways Partner, che comprende Etihad Airways, Air Berlin, Air Seychelles, Air Serbia, Darwin Airline-Etihad Regional e Jet Airways. 

Meridiana: l'accordo tra Alisarda e Qatar Airways.

A luglio 2016 Qatar Airways e Alisarda (Meridiana) hanno firmato l'accordo per il passaggio di mano del 49% della compagnia aerea sarda.
Meridiana è la seconda compagnia aerea in Italia. 

Poste italiane: al fondo sovrano del Kuwait il 2% delle azioni.

Il fondo sovrano del Kuwait detiene il 2% delle azioni di Poste Italiane. 
Il principale azionista è il ministero dell’Economia e delle Finanze, che possiede oltre il 64% delle azioni. 

Retelit: la libica Bousval detiene il 14,8%.

Retelit è un operatore italiano di servizi dati e infrastrutture per il mercato delle telecomunicazioni. Dal 2000 è quotata alla Borsa di Milano. I libici detengono il 14,8% del capitale sociale attraverso la società Bousval Sa.
Rispetto a questa quota, però, le diverse fazioni del Paese hanno dato vita a contenziosi in tribunale. Il caos in cui versa lo Stato africano ha quindi di fatto congelato la partecipazione libica.

Piaggio Aerospace: al 100% di Mubadala (Abu Dhabi).

Dal 2015 Piaggio Aerospace è al 100% di proprietà di Mubadala, una delle società del fondo sovrano di Abu Dhabi. Piero Ferrari, vicepresidente di Ferrari S.p.A., ha infatti venduto la sua quota, che era pari all’1,95% del capitale sociale.
Per i prodotti e le tecnologie di cui dispone, gli arabi considerano quest’azienda strategica tra quelle in cui hanno investito in Italia. L’ingresso di Mubadala come azionista, di maggioranza prima e assoluto poi, è avvenuto in tempi molto brevi. L’uscita di scena di Ferrari è frutto di una nuova stagione nei rapporti tra gli azionisti di Mubadala e il governo. Ad Abu Dhabi non hanno insomma più bisogno di intermediari che garantiscano i rapporti con Roma, ormai diretti e stretti.

Leonardo-Finmeccanica: quota del 2,1% alla Libyan Investment Authority.

Il fondo sovrano libico (Libyan Investment Authority) possiede una quota di Leonardo-Finmeccanica del 2,1% di valore, pari a 41 milioni di euro.
Il maggiore azionista è il ministero dell'Economia e delle Finanze italiano (30,2%). 

Fsi: la joint venture con Qatar Holding.

Il Fondo strategico italiano (Fsi) è una holding di partecipazioni istituita nel 2011 per volontà del ministero dell’Economia e delle Finanze. L’obiettivo è dare slancio all’economia italiana investendo capitale di rischio in aziende di rilevante interesse nazionale. Il fondo ha costituito una joint venture con Qatar Holding e una società di co-investimento (Fsi Investimenti) con il fondo sovrano del Kuwait (Kia).
Ha inoltre sottoscritto un memorandum di intesa con il fondo sovrano russo Rdif (il “fondo di Putin”), la China Investment Corporation e la Korea Investment Corporation. Nel 2016 la società ha cambiato nome: da Fsi a Cdp Equity, con un capitale sottoscritto e versato pari a 4,4 miliardi di euro. L’azionista di controllo è il Gruppo Cassa Depositi e Prestiti, che possiede quote pari all’80%. Banca d’Italia ha invece il 20%.
Sempre nel 2016 si è deciso di sciogliere la joint venture col Qatar e di riconvertirla in impegni a investire. Oltre a Cdp Equity, il Fsi ha infatti dato vita a un’altra entità: Fsi sgr, che gestirà l’attuale joint venture Fsi Investimenti, unione di Cdp Equity (77.1%) con Kia (22,9%). Ma i valori potranno cambiare, perché il puzzle delle partecipazioni di Kuwait e Qatar è tutto da ricomporre. In particolare, i soldi che il Qatar aveva investito nella joint venture ormai sciolta confluiranno nel Fondo per la crescita di Fsi sgr.

Porta Nuova: lo shopping milanese dell'emiro del Qatar.

L’emiro del Qatar Tamin bin Hamad al Thani ha comprato l’intero quartiere di Porta Nuova, a Milano.
Del progetto fanno parte il Bosco verticale dello Studio Boeri e la torre Unicredit dell’architetto argentino Cesar Pelli, per un valore di oltre 2 miliardi di euro.
Non è noto il valore della transazione con cui il fondo del Qatar (Qia) ha rilevato il 60% della partecipazione che non era ancora in suo possesso.
Gli investitori che hanno venduto, hanno ottenuto un rendimento complessivo di oltre il 30%, con una media annua del 5-6%.

Dal Westin Excelsior al Gallia: gli investimenti di Katara Hospitality.

Katara Hospitality, capofila degli investimenti alberghieri del Qatar, ha acquistato l’hotel di lusso Westin Excelsior Rome per 222 milioni di euro.
Nonostante la vendita, l’albergo continuerà comunque a essere gestito da Starwood. «The Westin Excelsior Rome è l’emblema di ciò che Katara Hospitality cerca in un hotel», ha dichiarato lo sceicco Nawaf Bin Jassim Bin Jabor Al-Thani, presidente di Katara Hospitality. Questa è stata la seconda acquisizione nella capitale, dopo l’Hotel Intercontinental de La Ville, in cima alla scalinata di Trinità dei Monti.
Il gruppo ha anche rilevato e rilanciato l’Excelsior Hotel Gallia di Milano. Con l’acquisizione del Westin Excelsior Rome il portafoglio di Katara Hospitality ha raggiunto un totale di 35 proprietà. L’emiro del Qatar possiede anche il Four Season di Firenze e il Saint Regis di Roma.

Grand Hotel via Veneto: quinto gioiello del gruppo Jumeirah.

Jumeirah Group è il gruppo finanziario proprietario del Burj al-Arab, hotel fra i simboli di Dubai, e delle Emirates Towers della stessa città.
Dal dicembre del 2011 il gruppo è attivo anche in Italia in qualità di gestore del Grand Hotel via Veneto, hotel di lusso situato nell’omonima, celebre via di Roma.
Con quello di Roma, il gruppo Jumeirah arriva a gestire cinque hotel di lusso in Europa: Jumeirah Carlton Towers, Jumeirah Lowndes Hotel e Grosvenor House Apartments by Jumeirah Living a Londra, Jumeirah Hotel Frankfurt in Germania.

Costa Smeralda: un patrimonio immobiliare in mano agli emiri.

Quattro anni fa Qia, la Qatar Investment Authority (dotazione da 250 miliardi di dollari), ha comprato la Smeralda Holding dal finanziere americano-libanese Tom Barrack.
La cifra della transazione non è mai stata resa nota (si parla comunque di 200 milioni più i debiti).
Gli emiri sono diventati i proprietari di un patrimonio immobiliare prestigioso: quattro alberghi tra i più lussuosi al mondo, compreso il Cala di Volpe (set, tra l’altro, per un film di James Bond), la marina di Porto Cervo, il Pevero Golf Club e 2.300 ettari di terreni immacolati.

Ospedale Mater Olbia: i lavori della Qatar Endowment Foundation.

L’edificio era un progetto dell’ex San Raffaele, che rischiava di restare incompiuto.
Ora i lavori saranno terminati dalla Qatar Endowment Foundation, un ente benefico di proprietà degli emiri di Doha che ha beneficiato di un finanziamento di 1,2 miliardi di euro.
L’ospedale sarà solo la punta di un gigantesco iceberg: una cittadella della salute e della scienza, estesa su 70 ettari.
Le opere che affiancheranno il corpo principale su 40 ettari sono il centro riabilitativo, la camera mortuaria e altri due blocchi: uno comprende quattro edifici intorno ai quali sorgeranno un hotel, un centro congressi, uno di ricerca, una scuola per infermieri e una residenza per i medici; l'altro una pista e un edificio per l'ippoterapia

Corneliani: marchio nelle mani della Investcorp (Bahrein).

La Investcorp, con sede in Bahrein, ha acquistato dalla famiglia Corneliani la maggioranza del marchio italiano del lusso specializzato in abbigliamento per uomo, per un enterprise value di circa 100 milioni di dollari. Alcuni membri della famiglia sono rimasti soci al fianco del gruppo di investimento quotato alla borsa del Bahrain.
Investcorp ha mostrato di nutrire un grosso interesse per il settore moda. Nel 2014 ha infatti acquisito il marchio italiano di abbigliamento sportivo Dainese. In passato ha invece rilevato e quotato in Borsa Tiffany e comprato Gucci, controllato ora da Kering. Ha infine portato a termine operazioni con altri player del lusso come Saks e Helly Hansen.

Valentino: a Mayhoola per 700 milioni di euro.

Valentino è stata la prima maison italiana a finire sotto le grinfie degli affamati miliardari arabi. Nel 2012 fu infatti comprata per 700 milioni di euro da Mayhoola for investments, società partecipata da un primario investitore del Qatar.
In passato la holding finanziaria del Qatar aveva già acquisito altre partecipazioni nel mondo del lusso, come quelle nel colosso americano dei gioielli Tiffany e nella conglomerata francese del lusso Lvmh. Per non parlare dell’acquisizione dei grandi magazzini del lusso Harrod’s a Londra.

Ferré: i Sankari di Dubai mettono 40 milioni sul piatto.

Anche questo marchio è finito nelle mani di una famiglia degli Emirati, i Sankari di Dubai.
Un'operazione da 40 milioni di euro in tutto, se si considera anche l'accollo dei debiti (13 milioni).
Dopo i buoni propositi fatti al momento dell’acquisizione, il brand del Made in Italy rischia di scomparire. Infatti, la Itf di Bologna, da cui uscivano gli inimitabili tagli e intrecci dei bustini di Gianfranco Ferré, è estinta.
Non si hanno inoltre notizie certe sull'archivio, che venne posto come condizione per l'acquisto. E per finire il famoso palazzo milanese di via Pontaccio è stato smobilitato.

Pal Zileri: brand controllato da Mayhoola.

Lo storico brand sartoriale veneto, specializzato in capispalla dal 2014, è controllato da Mayhoola, fondo d’investimento dell’emiro del Qatar (65%). E una quota del 35% appartiene ad Arafa for Investments and Consultancies, una società pubblica egiziana che subentrò nel gruppo nel 2008, in seguito a un aumento del capitale. Ma tutta la produzione resta radicata a Quinto Vicentino.
La cifra sulla base della quale è stato perfezionato l’accordo non è stata resa nota.


A quali decisioni potremo assistere nei prossimi anni? Nei gruppi societari ove la finanza araba detiene la maggioranza, è ormai in grado di scegliere dove e come investire o dislocare l’attività produttiva o la sede sociale.

Negli altri casi, il nuovo azionista può comunque proporre scelte o condizionare il socio di maggioranza. I presidenti del consiglio che si sono succeduti negli ultimi anni, dando l’approvazione a queste ed altre operazioni societarie ne hanno tenuto conto? Se qualche ingenuo si straccerà le vesti per piangere sullo scippo del made in Italy o sui bruschi decadimenti dei livelli occupazionali, non deve che riflettere e capire in quali tempi viviamo.

L’Europa nel suo complesso non è neppure più in grado di difendere i suoi gioielli. Gli unici capitali disponibili provengono da quella parte del mondo. Questa è la globalizzazione. Un po’ tanto sbilanciata per la verità!

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Articolo pubblicato il 09/09/2016