Carlo Alberto Dalla Chiesa, bandiera intramontabile della libertà

Lo storico Alessandro Mella ricorda il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nell’anniversario della sua uccisione (Palermo, 3 settembre 1982)

Sottopongo molto volentieri ai Lettori di “Civico20News” questo ricordo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa scritto dall’amico Alessandro Mella (m.j.). 


 

Carlo Alberto Dalla Chiesa, bandiera intramontabile della libertà

 

A tanti anni dal sacrificio del valoroso ufficiale dei Carabinieri, resta sempre attuale e futuribile il messaggio d’onestà e libertà di cui fu animatore

 

Quando la notizia si sparse per il paese, l’Italia intera restò attonita di fronte al sacrificio di un uomo che aveva scritto pagine gloriose di storia nazionale.


Era il 3 settembre 1982, al suo fianco si trovava, coraggiosissima, Emanuela Setti Carraro. Nella sua uniforme da Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana anche lei aveva conosciuto il profondo significato della parola “dovere” e non aveva tergiversato nel seguire il marito nel difficile incarico palermitano.


Carlo Alberto Dalla Chiesa era nato a Saluzzo il 27 settembre 1920, figlio di un generale dei Carabinieri Reali. Il giovane Carlo Alberto si ritrovò presto a fare i conti con la violenza della guerra quale ufficiale del Regio Esercito in Montenegro, prima di passare al servizio permanente nel 1942 transitando anch’egli nell’arma dei Carabinieri.


Colto dall’armistizio dell’8 settembre 1943, non esitò un solo istante e prese parte attivamente, con coraggio e determinazione, alla lotta di liberazione nazionale. Terminato il conflitto operò in Sicilia per il ristabilimento dell’ordine pubblico minacciato dal crescente fenomeno del banditismo e, nel corso di questa esperienza, ebbe modo di sperimentare quanto grave e dannoso fosse il crescente fenomeno mafioso.


Ufficiale capace, instancabile e leale verso le istituzioni, proseguì con una lunga carriera andando a comandare, tra l’altro, la Legione dei Carabinieri di Palermo affrontando nuovamente la mafia senza tentennamenti e con la fermezza propria di chi ha fatto della difesa dell’onestà e delle libertà il motore della propria nobile esistenza.


Negli anni ’70, il generale Dalla Chiesa si trovò ad affrontare un nuovo enorme pericolo: il terrorismo. A capo di reparti speciali destinati a contrastare il drammatico fenomeno delle Brigate Rosse, egli si rivelò nuovamente non solo un ufficiale capace, ma anche un trascinatore ed animatore d’uomini, non a caso amatissimo da chi si trovava a lavorare al suo fianco in una missione fondamentale per il futuro e l’avvenire del nostro paese.


Ma questo breve panorama delle sue esperienze è certamente sintetico ed il lungo servizio del generale Dalla Chiesa meriterebbe, indubbiamente, più lunghe biografie. Basti, tuttavia, a dimostrare al lettore di quale tempra egli fosse fatto. Leggendone i pensieri, i valori, le speranze ed anche i ricordi di chi lo conobbe, ho scoperto io stesso un uomo straordinario pronto a tutto pur di difendere i valori sacri in cui si riconosceva.


A suo figlio, lo scrittore e giornalista Nando, egli ebbe a dire: Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli.


Parole che toccano animo e cuore.


Nel 1982, fu inviato a Palermo con l’incarico di prefetto ed il compito di stroncare il ben conosciuto fenomeno mafioso che, da galantuomo qual era, detestava. Togliere la divisa fu probabilmente doloroso per un uomo che aveva gli alamari cuciti addosso e ne andava giustamente orgoglioso. Ma per quanto l’incarico e le condizioni lo potessero forse lasciar perplesso egli accettò per quello spirito tipico di chi sa che non si può voltare le spalle alle grandi prove della vita.


La mafia non gli perdonò le sue virtù e lo colpì.


Lo colpì con accanto quella donna che aveva scelto di seguirlo anche nella prova più difficile e più pericolosa.


Qualcuno scrisse che con lui morivano le speranze dei palermitani onesti.


Io credo che il cuore di tutti gli italiani onesti si fermò con il suo. Che tutti coloro che credono nella giustizia, nella libertà e nell’onestà siano stati feriti dalla perdita di una bandiera unica. Di uno sguardo che restituiva coraggio a chiunque lo incrociasse.


Per chi come me ha indossato tanti anni una divisa, anche se differente, egli è stato ed è un’icona. Un esempio da seguire, da ricordare. Ho imparato ad amare i Carabinieri nel soccorso quando con loro bastava un’occhiata per capirsi e salvare una vita.


Anche questo è il messaggio del generale Dalla Chiesa che sopravvive in noi. Perché finché cercheremo il bene nello sguardo delle persone, finché tutti lotteremo per costruire un paese migliore il suo olocausto non sarà vanificato.


Carlo Alberto Dalla Chiesa morì pochi mesi dopo la mia nascita e lo fece combattendo perché la mia generazione e quelle future trovassero un mondo migliore di quello che lui aveva conosciuto.


Abbiamo, tutti, un debito enorme nei suoi confronti, un debito che pretende che si continui a lottare nel nome dei suoi ideali e delle sue speranze.


Lui vive e vivrà sempre nei nostri cuori ed in quelli dei suoi figli Nando, la cara amica Rita e Simona.


Chi ama l’Italia non può non amare Carlo Alberto Dalla Chiesa ed Emanuela Setti Carraro e per questo, oggi, io ho voluto ricordarli. Con gli occhi lucidi mentre le dita correvano sulla tastiera.


Grazie signor generale, non tradiremo mai la tua consegna!

Alessandro Mella 

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Articolo pubblicato il 03/09/2016