La Turchia di Erdogan: trovata morta Hande Kader, icona Lgbt.

Diventata un simbolo durante Gay Pride Istanbul.

«Voi pensate che gli uomini che condividono con voi il letto, la cena e il pasto non abbiano nulla a che fare con i sex workers come Hande Kader, ma vi sbagliate.

Perché chi ha ucciso Hande vive nelle vostre case, dorme tra la vostre lenzuola e mangia alla vostra tavola».

È un grido contro l'ipocrisia, quello lanciato ieri dalla comunità Lgbt turca.

La storia che riapre la ferita è quella di Hande Kader. 

 Ventitrè anni, passaporto turco, l’8 agosto Hande è stata vista l’ultima volta mentre saliva sull’automobile di un cliente a Istanbul. Poi, il 12, la polizia trova il suo corpo mutilato, bruciato e con evidenti segni di stupro, gettato lì in un angolo del sobborgo di Zekeriyakoy, lo stesso dove quattro giorni prima era riapparso un rifugiato gay siriano, Mohammed Sankari, decapitato.

 

All’obitorio gli amici riescono a riconoscere Hande dal numero delle protesi che si era fatta installare per diventare donna. «Spero che l’abbiano bruciata dopo averla uccisa», si dispera un’amica sul sito Lgbti News Turkey.

Hande Kader era diventata un simbolo. Durante le manifestazioni del giugno 2015 a Istanbul, le foto della sua protesta e del suo pestaggio, avevano fatto il giro del mondo.

I capelli lunghi e ricci, raccolti in una coda, lo sguardo fiero, nonostante la violenza degli idranti, dei manganelli e delle pallottole di gomma, erano diventati il volto di una piazza.

 

L’anno successivo Hande era tornata a protestare dopo che la sua comunità si era vista nuovamente negato il diritto di sfilare, mentre in tutto il mondo le vie si coloravano di arcobaleno per il gay pride. «C’è il ramadan, non se ne parla», era stato il secco no delle autorità.

La comunità Lgbt turca però non si arrende. Nemmeno di fronte alla morte. «Chiederemo giustizia», hanno fatto sapere in un comunicato diffuso ieri. Così mentre un nuovo corteo è atteso per oggi a Istanbul, in quella stessa piazza Taksim simbolo di una Turchia che non si piega all’autoritarismo del «Sultano» Recep Tayyip Erdogan, sulle bacheche Facebook e Twitter amici e attivisti rendono omaggio ad Hande con l’hashtag #HandeKadereSesVer. Tradotto, diamo voce ad Hande.

In Turchia l’omosessualità non è illegale. Ma l’omofobia assume contorni sempre più violenti, in una società dove oppositori, intellettuali e minoranze sono a rischio.

Secondo un report della ong Transgender Europe, la Turchia dal 2008 a oggi è il Paese dove i trans sono stati più oggetto di omicidi e violenza. Quarantatré le vittime, uccise in strada, nei loro appartamenti, pugnalate e spesso decapitate.

 

Al secondo posto, l’Italia con 43 morti. Per lo più si tratta di sex workers, sulla cui morte quasi mai la polizia indaga a fondo. Ma anche studentesse, ragazze, madri, violentate e poi uccise perché non parlino.

Secondo l'avvocato di Smirne esperto in casi di violenza sulle donne, Nuriye Kadan, il numero di femminicidi negli ultimi anni è oscillato tra i 5 mila e i 6 mila. Inoltre, secondo il dipartimento della Corte Suprema che persegue i crimini sessuali, oltre 3 mila stupratori hanno evitato il processo sposandosi con le loro vittime.

Una situazione sempre più grave, dunque. Cui l'Akp, il partito conservatore di maggioranza, ha risposto il 26 luglio introducendo un programma di castrazione chimica, suscitando le proteste delle associazioni femminili che chiedevano invece pene più severe e certe.



corriere.it 

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Articolo pubblicato il 21/08/2016