L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Quando Gheddafi cacciò gli Italiani operosi dalla Libia

Una pagina di Storia che non dovrebbe essere dimenticata

Il tema dell’immigrazione clandestina tiene banco purtroppo da anni, con vicende che ogni giorno si complicano e si estendono nel tempo e di cui non si prevede la fine o il contenimento.

In questi giorni poi la richiesta di bombardamenti avanzata dal Governo Libico agli Americani, oltre alla presenza in loco della Francia e, si dice anche della Gran Bretagna, non fanno che generare timore ed aspettative, anche in Italia. Ma ci fu un tempo all’incirca 46 anni or sono, quando furono gli italiani, regolarmente residenti ed operosi, ad essere cacciati dal suolo libico, a causa dell’avvento al potere del colonnello Gheddafi.

I nostri concittadini, non erano certo dei mantenuti o dei delinquenti. Vivevano in Libia da anni e, molti di loro, avevano fondato aziende dando lavoro a numerosi nativi.

La presenza di una collettività italiana in Libia, documentata a partire dal 1865, aumenta sensibilmente negli anni trenta  del secolo scorso, in seguito alla nostra colonizzazione e prosegue durante il regno indipendente del Negus Idris caratterizzata da costanti rapporti di fattiva collaborazione.

Le vicende della seconda Guerra Mondiale portarono la Libia, che era stata colonia italiana dal 1911 e prima di allora era stata soggetta alla dominazione turca, sotto l'occupazione britannica che si prolungò fino alla Risoluzione dell'ONU del 15 dicembre 1950 con la quale la Libia diveniva indipendente.

I rapporti fra l'Italia e la neonata monarchia libica vennero regolati nell'ottobre 1956 con un trattato bilaterale (successivamente ratificato dal Parlamento italiano con legge n.843/57). Il trattato del 1956 prevedeva un accordo di collaborazione economica e regolava in via definitiva tutte le questioni fra i due Stati derivanti dalla Risoluzione dell'ONU: fra l'altro l'Italia trasferiva allo Stato libico tutti i beni demaniali e - a saldo di qualunque pretesa - corrispondeva la somma di 5 milioni di sterline.
Lo stesso trattato assicurava la continuità della permanenza della comunità italiana residente nel paese garantendone i diritti previdenziali ed il libero godimento dei beni.

Il cambiamento di regime avvenuto in seguito al colpo di Stato del 1° settembre 1969, e l'ascesa di Gheddafi al potere portarono in pochi mesi all'adozione di misure via via più restrittive nei confronti della collettività italiana, fino al decreto di confisca del 21/7/1970 emanato per "restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori".

Gli Italiani privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali versati all'INPS e da questo trasferiti in base all'accordo all'istituto libico corrispondente, furono sottoposti ad inutili vessazioni e costretti a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 70.

Tutto ciò avvenne in clamorosa violazione del diritto internazionale e specificatamente, del già citato trattato italo-libico del 12 ottobre 1956, nonché delle risoluzioni dell'Assemblea generale dell'ONU relative alla proclamazione d'indipendenza che garantivano diritti ed interessi delle minoranze residenti nel paese.

il Governo italiano in quei mesi era presieduto da due personaggi inetti che si scambiarono il ruolo. Mariano Rumor ed Emilio Colombo, noti entrambi per condividere un  “vizietto privato”, piuttosto che per pubbliche virtù.

Costoro per ragioni di opportunità politica ed economiche che sarebbero emerse molti anni dopo da documenti della Farnesina ritennero di dover accettare il fatto compiuto senza denunciare la violazione dell'accordo o chiedere l'arbitrato espressamente previsto dall'art. 17.

In conseguenza del rimpatrio forzato di questi italiani, sbarcati a Napoli senza beni o masserizie, il Governo Colombo ha inizialmente solo emesso una disposizione temporanea atta a facilitare loro l’accesso al lavoro, in analogia ad altre c.d. “categorie protette (orfani, vedove, invalidi civili e per lavoro).

A fronte delle pretese avanzate da questi Italiani di serie B, attraverso i propri organismi rappresentativi, il Parlamento italiano approvò una prima legge per un acconto sugli indennizzi per i beni perduti con coefficienti scalari nella misura media del 15% (legge n° 1066/71) "in attesa di accordi internazionali". Successivamente i rimpatriati dalla Libia hanno beneficiato soltanto di leggi d'indennizzo, parziali e senza rivalutazione monetaria, a favore di tutti i proprietari di beni perduti all'estero (legge n° 16/80, n° 135/85 e n° 98/94). L’ammontare di queste provvidenze non ha coperto nemmeno il valore nominale delle perdite al 1970.

Il 30 agosto 2008 Gheddafi e l’allora Presidente del Consiglio Berlusconi siglano a Bengasi un Trattato internazionale definito “storico”. Questo Trattato tra Italia e Libia, molto esaustivo sul piano dei rapporti bilaterali, prevedeva tra l’altro la fine del contenzioso a fronte di uno stanziamento di 5 miliardi di dollari in favore della Libia come saldo dei presunti danni coloniali, senza attribuire nessun rilievo all’anticipo pagato dai ventimila rimpatriati che hanno perso beni per 400 miliardi di lire valore 1970, pari oggi a oltre 3 miliardi di euro.

Con il Trattato peraltro l’Italia ha definitivamente rinunciato ad ogni possibilità di ottenere una qualsivoglia contropartita dai libici per i beni espropriati da Gheddafi nel 1970 mentre ha ottenuto che terminasse la discriminazione del rilascio dei visti turistici nei confronti dei cittadini italiani nati a Tripoli.

Nel 2011 Il guerrafondaio Nicolas  Sarkozy ha bombardato la Libia, per chiudere definitivamente la bocca di Gheddafi, custode di verità scottanti che avrebbero messo nei guai l’ex presidente francese. Il presidente libico che ha voluto resistere strenuamente all’intrusione dell’Occidente è stato barbaramente massacrato e l‘intesa onerosa con l’Italia è volta al peggio per noi.

Oggi siamo invasi non da italiani, ma dai figli e nipoti di quei libici che a suo tempo hanno saccheggiato i beni degli italiani e in molti casi si sono anche accaniti fisicamente. Il Governo Renzi apre loro le porte. L’Italia assicura un ricovero dignitoso in albergo, con mantenimento e sussidi, senza pretendere nessune attività lavorativa in cambio o stabilire un limite temporale nell’assistenza.

Poi, come ampiamente documentato, se tra gli invasori ci sono i mussulmani dell’Isis, votati a spargere sangue e terrore, gli stupratori o i delinquenti, poco importa. Non c’è fretta possono restare comodamente in Italia, intanto pantalone paga.

E’ questa la giustizia sociale ed il senso di appartenenza allo Stato che attende il cittadino?
 

Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 07/08/2016