Europa oh cara!

La crisi, per essere tale, ha bisogno di due condizioni: essere imprevedibile di breve durata

Nel clima di generale ipocrisia imperante nel Paese e di politicamente corretto ad ogni costo promosso, sponsorizzato e sostenuto dal Governo e dai media ad esso facenti più o meno esplicito riferimento, c'è un modo di definire il progressivo degrado dell'attuale situazione socio economica, con tutto il suo drammatico corollario di disoccupazione, disagio sociale, povertà in aumento quasi esponenziale  (il tutto, si badi bene, in inarrestabile ed evidente peggioramento) con una parolina semplice, buona per tutte le stagioni e spudorata nella sua falsità che è: crisi.

Tutto si spiega con la magica parolina: disoccupazione, difficoltà economiche, chiusura di fabbriche e attività commerciali, taglio dei servizi al cittadino ( a tutti i livelli, sanità in primis e su questo si potrebbe aprire un altro bel ragionamento...) e via così, talchè, nei dibattiti, nelle interviste, persino nelle chiacchiere da bar o addirittura quando in famiglia si rimandano spese a volte essenziali, si allargano sconsolati le braccia e si dice, sospirando: eh, c'è la crisi... quasi ci si trovasse di fronte ad un terremoto o ad una tromba d'aria che ha distrutto case e coltivazioni.

Ecco, queste sarebbero situazioni di crisi perchè la crisi, per essere tale, ha bisogno di due condizioni necessarie e sufficienti: essere imprevedibile ed essere di breve durata.

Ora, la congiuntura che da quindici anni, con esiti e progressione sempre più nefasti, attanaglia il nostro Paese non era certamente imprevedibile e,con tutta evidenza, è tutt'altro che di breve durata; chi scrive, infatti, quando deve riferirsi per qualsiasi motivo  alla drammaticità dell' attuale situazione economica italiana usa una definizione certo meno sintetica della parola crisi ma sicuramente più veritiera ed è: l'avvento dell'euro.

Troppo lungo sarebbe qui ed ora ricostruire tutti i passaggi che portarono, il primo gennaio del 2002, all'adozione della moneta unica, figlia di quel Trattato di Maastricht (entrato in vigore nel novembre 1993) in cui vennero poste le basi dell'Unione Europea, con la costituzione del Sistema Europeo delle Banche Centrali con al vertice la B.C.E. , un organismo NON politico, NON soggetto a controlli e assolutamente indipendente dai Governi.

Seguì il famigerato Trattato di Lisbona, un testo scritto appositamente per essere incomprensibile, una sorta di Costituzione Europea che, idealmente, avrebbe dovuto rafforzare la democrazia e favorire la partecipazione del cittadino alla costruzione dell'Europa di domani, di fatto delegava al Consiglio Europeo molte  delle attribuzioni dei singoli Governi delle nazioni aderenti.

Con l'adozione della moneta unica, il cui cambio fu stabilito in maniera disastrosa per la valuta italiana, venne a mancare uno dei pilastri su cui, sino ad allora, si era retta l'economia italiana, cioè la convenienza, da parte degli altri Paesi europei e non, a comprare i nostri prodotti, convenientissimi data la debolezza della lira (debolezza solo teorica, in quanto di fatto rappresentava un ottimo passaporto per le nostre merci) e, quindi, omologando la valuta, di fatto venivano favorite quelle economie a valuta "forte" (guarda caso, la Germania in primis) che più soffrivano la concorrenza dei nostri prodotti  a basso costo.

Non occorre ricordare, prima dell'avvento della moneta unica, quanto vasta fosse l'offerta italiana in termini di prodotti industriali (automobili, macchinaricsemilavorati, componentistica ecc. ecc.), di prodoti agricoli e alimentari, cosa che costituiva ossigeno per il nostro apparato produttivo rendendo ovviamente facile trovare lavoro e garantire a tutti un tenore di vita degno di una delle principali economie mondiali.

Era così difficile, quindi, prevedere da parte dei nostri "insigni statisti" dell'epoca che l'adozione dell'euro avrebbe creato un gravissimo danno alle nostre esportazioni? No, certo, eppure ci buttammo a corpo morto in questa sciagurata avventura, senza pensarc due volte.

Ma non basta: l'euro è moneta sovranazionale e deve sottostare a rigide condizioni per poter continuare ad esistere; una di queste è che il rapporto deficit/PIL (in sostanza, il rapporto tra  quanto produce una nazione e quanto spende, nè più nè meno di quanto accade nell'economia familiare!) sia non superiore al 60% annuo (il nostro ha superato il 130!).

Questo vuol dire che un Governo ha due strade per rispettare tale parametro: aumentare il P.I.L. che è la via più virtuosa, chiaramente, e quella che garantisce benessere al cittadino, o ridurre il debito pubblico, con una oculata gestione delle risorse economiche a disposizione; ora, quale credete che sia la strada scelta dai nostri "insigni statisti" per restare entro il patto di stabilità?

Migliorare il P.I.L. con l'adozione di misure, economiche, fiscali e burocratiche, volte a favorire lo sviluppo produttivo e commerciale in modo da garantirsi entrate ficali congrue? No, troppo difficile, troppo non alla portata dei nostri governanti, i più allevati a "scuole di partito" o arrivati a manovrare le leve del potere solo tramite conoscenze, servilismo e intrallazzi, troppo impegnativo e a lungo termine; allora si sarà optato per la riduzione della spesa pubblica?

Che barzelletta: la spesa pubblica italiana, tra il 2000 e il 2010 è aumentata di 141,7 mld di euro pari al +24,4% (fonte CGIA di Mestre) e non vi è alcun segnale di inversione di tendenza; inutile ricordare, in margine, che il massiccio e incontrollato arrivo di "migranti" nel nostro  Paese, con gli spaventosi costi per il salvamento in mare e di mantenimento, non può che far lievitare questa enorme emorragia di denaro.

E allora? E allora, si è scelta la strada più facile, per un Governo, per arraffar denaro e tentare di ripianare il deficit sempre più spaventoso che rischia di farci fallire, la strada più facile ma nel contempo la peggiore e la più letale per una economia e per il benessere dl cittadino, cosa che stiamo per l'appunto verificando sulla nostra pelle: l'aumento continuo e sconsiderato della tassazione.

Ecco il cancro che sta uccidendo l'economia italiana, ecco la radice della povertà che sta attanagliando sempre più la popolazione, ecco cosa provoca la giornaliera chiusura di attività produttive e commerciali, di piccole imprese su cui sino a ieri si reggeva e prosperava l'Italia-

Ogni giorno professori, togati, politici da strapazzo, neo esperti di economia, opinionisti, pennivendoli e chi più ne ha più ne metta, discettano e disquisiscono con aria grave e compresa dai teleschermi su quali complicatissime misure occorrano per rilanciare l'occupazione, quindi la ripresa, quindi il benessere... lasciatemelo dire: quante balle! Una sola frase, una sola misura: RIDURRE LA TASSAZIONE sulla persona e, sopratutto, sulle imprese! Non occorre altro e chi non lo dice, chi non lo riconosce o è un povero ingenuo o è in malafede!

Cosa si può ancora chiedere ad un cittadino, ad un imprenditore, ad un negoziante che ormai deve versare quasi il cinquanta per cento delle sue entrate allo Stato? E lo Stato stesso, come può tuonare contro l'evasione fiscale quando è il primo a procedere alla spoliazione sistematica del cittadino? Quando spesso è proprio l'evasione fiscale, quella causata dalla disperazione o dalla difficoltà oggettiva, a mantenere a galla un artigiano, un negoziante, un piccolo imprenditore?

Un primo esempio di uscita dall'euro lo abbiamo avuto, con la Brexit: non pare aver causato tutti gli sconvolgimenti paventati ed è più che probabile che sul lungo termine la Gran Bretagna ne trarrà giovamento; la nostra economia, purtroppo, ormai non è più neppur paragonabile a quella britannica e, a meno che, miracolosamente, a prendere il timone dell'Italia sia gente veramente capace e decisa, forse un'uscita dell'Italia dall'euro non sarebbe neppure auspicabile.

Ma una revisione del patto di stabilità è ormai INDISPENSABILE e improcrastinabile: è sotto gli occhi di tutti il giornaliero deteriorarsi dell'economia e i risibili numeri sulla cosiddetta "ripresa" e sull'incremento dell'occupazione, settimanalmente rivisti al ribasso, non lasciano adito a molte illusioni: se non saranno allentati i rigidissimi paletti imposti dal Trattato di Maastricht e se, di concerto, non verrà varata una adeguata politica di riduzione della pressione fiscale, reale e sostanziosa, non le solite promesse al vento governative

Ci aspetta un futuro ben triste; un'ultima domanda, che vorrei rivolgere ai nostri "ottimisti istituzionali": come sopravviveranno i giovani di oggi, sottooccupati e sottopagati, o addirittura disoccupati cronici, quando domani, divenuti vecchi, si troveranno (forse) con una elemosina statale di pochi euro in una nazione che non avrà più neppure le risorse per garantire loro le cure mediche o una qualsiasi forma di assistenza? Fortunatamente, non sarò più qui per vederlo.

 

                                                            Leonardo Incorvaia

 

 

 

         

 

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Articolo pubblicato il 30/07/2016