"Il goffo tentativo dei militari rafforza il leader"

Intervista a Massimo Introvigne, esperto di Medio Oriente: "Gülen non c'entra, pure lui è per un Paese islamico»

ISTANBUL - A Massimo Introvigne, direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni ed esperto di Medio Oriente, abbiamo chiesto come vanno letti gli accadimenti del lungo weekend in Turchia:
«La lettura che sta dando il Governo turco secondo la quale dietro il colpo di stato ci sia Fethullah Gülen non mi convince. Primo perché i seguaci di Gülen non sono molto numerosi nell'esercito, dove si sono raggruppati i golpisti. Al contrario, nonostante una purga fatta da Erdogan lo scorso dicembre, sono molto numerosi nella Polizia che si è schierata contro il golpisti».

Ma chi è Fethullah Gülen e qual è il suo rapporto con Recep Erdogan?

«Gülen è un religioso capo di un movimento conosciuto anche come Hizmet (Il servizio). Lui e Erdogan vengono dallo stesso mondo, che quello delle Confraternite sufi e dei movimenti neo-sufi, da cui si sono staccati proponendo un Islam più moderno. A lungo i due, che condividono lo stesso background sono stati amici, prima nell'opporsi ai militari (dai quali sono stati discriminati in quanto esponenti dell'Islam politico), poi ai Fratelli musulmani rappresentati da quel primo ministro effimero che fu Erbakan, rispetto al quale proponevano una linea meno antioccidentale. Questo per 15-20 anni.

Quando poi la coalizione che rappresentava tutte le forze dell'Islam politico è andata al potere, i due hanno iniziato a litigare e una serie di accadimenti hanno convinto Erdogan che Gülen volesse prendere il suo posto: dapprima c'è stata una serie di indagini che la Polizia (zeppa di seguaci di Gülen) ha avviato sull'intelligence (feudo invece di Erdogan). Poi c'è stato l'arresto dei figli di tre ministri di Erdogan che li ha costretti alle dimissioni. A quel punto Erdogan ha risposo arrestando dei giornalisti del grande quotidiano Zaman – il cui proprietario è Gülen – destituendo i vertici della Polizia e magistrati che facevano parte del movimento di Gülen.

Insomma tra i due lo scontro è durissimo. Ma si tratta di una lotta su chi deve guidare un processo di islamizzazione del Paese: entrambi sono infatti sostanzialmente d'accordo sul fatto che in Turchia debba esserci un processo di islamizzazione e di una liquidazione dell'eredità laica e secolare di Atatürk. Ecco, la mia impressione è che i militari che hanno tentato il golpe siano nostalgici di Atatürk e dunque ostili al processo di islamizzazione che stanno portando avanti sia Erdogan a Gülen».

Il fatto che il golpe abbia compattato la Turchia attorno ad un leader che si trovava in difficoltà, non induce a credere che possa essere stata una manfrina (pur violenta e sanguinosa) orchestrata dallo stesso Governo?

«Non credo alle tesi complottiste in quanto ad un certo momento Erdogan se l'è vista davvero brutta, tanto che ad un certo punto aveva davvero pensato di fuggire all'estero. Credo che sia stata una cosa organizzata da settori dell'esercito nostalgici della vecchia Turchia laica e massonica di Ataturk. Ma organizzata male, senza coordinamento né con gli ufficiali superiori (tutti i generali, tranne uno, erano contrari all'azione) né con l'estero: un passaggio decisivo nella sconfitta dei golpisti è stata infatti la presa di posizione degli USA a favore del Governo.

È dunque evidente che non c'era stato alcun tentativo di coordinamento internazionale. Forse questi golpisti erano stati illusi dai colloqui con l'unico mondo che ha simpatia per la Turchia di Atatürk che è quello dei corrispondenti stranieri. Abbiamo visto come vari giornali, dal "New York Times" a "Repubblica", abbiamo mostrato un atteggiamento di simpatia per il golpe.

Ho dunque l'impressione che i golpisti abbiano scambiato i loro corrispondenti per i loro Governi, credendo che fossero la stessa cosa... Personalmente sono da molti anni critico con i corrispondenti stranieri ad Istanbul e ad Ankara che danno un'importanza eccessiva al mondo laico che si oppone ad Erdogan che, come si è visto anche dalla piazza, è assolutamente minoritario. In questo senso ha dunque ragione Erdogan nell'indicare nei seguaci di Gülen la sua vera opposizione: opposizione che però, ripeto, vuole come lui una Turchia islamica, ma con qualcun altro al timone».

Cosa succederà nella Turchia post-golpe?

«Erdogan sarà più forte e potrà affermare la necessità di un regime di polizia in modo da evitare altri colpi di stato. Avrà inoltre l'occasione per liquidare gli oppositori (ha già arrestato la maggioranza dei giudici della Corte Suprema che sono tutti laicisti) e tutto ciò che rimane del vecchio mondo kemalista (i seguaci di Ataturk – ndr) ma anche i seguaci di Gülen. Il golpe, che a mio avviso è venuto dai kemalisti, sarà insomma l'occasione per stroncare Hizmet».

E nei rapporti con l'Occidente cosa accadrà dopo il fallito colpo di stato?

«Nei rapporti con gli USA qualcosa cambierà, anche perché gli States hanno una retorica della liberà religiosa che farà sì che a Gülen – di cui la Turchia chiede l'estradizione – continuerà ad essere concesso asilo politico in quanto leader religioso. Dunque i rapporti tra i due Paesi potrebbero incattivirsi. Per quanto riguarda l'Europa certamente da oggi Erdogan si sente più forte e dunque alzerà ulteriormente la voce e il prezzo della sua collaborazione, rispondendo a qualunque critica sulla mancanza di democrazia nel suo Paese – dove comunque, va detto, le elezioni le vince democraticamente – con la seguente affermazione "la mia è una Nazione instabile dove se si concede troppa democrazia questi sono i risultati"».

cdt.ch

 

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Articolo pubblicato il 18/07/2016