Ossola: “Voto Appendino, perché la città ha bisogno di alternanza”

Il filologo: “Troppi no? A volte servono a rendere più incisivi i sì”

Carlo Ossola, classe 1946 è filologo e critico letterario. Socio dell’Accademia dei Lincei, insegna al Collège de France ma è anche membro del comitato scientifico della Fondazione ItalianiEuropei di Massimo D’Alema. Perché ha deciso di appoggiare Chiara Appendino?

«Ho scritto sulla rivista “Italianieuropei” di Europa e di scuola. Spero che sia ancora lecito. In ogni modo, c’è un No essenzialissimo, che travalica la vita cittadina, e che distingue profondamente i due candidati, e cioè quello sul referendum costituzionale di ottobre sul Senato. Chiara Appendino, insieme a Presidenti emeriti della Corte Costituzionale, a costituzionalisti, giuristi, dice no, coerentemente, perché il progetto di modifica peggiora sensibilmente il dettato costituzionale. Fassino dice sì: mi domando come molti cittadini torinesi, che sono per il No, possano ad un tempo votare per Fassino».  

Dunque no a Fassino per dire no a Renzi?

«Il mio Maestro Giovanni Getto mi ha abituato a pensare non per somma di negazioni, ma per costruzione positiva di senso e di valori. Non serve votare contro, ma offrire alla città l’opportunità che l’alternanza, il ricambio, la responsabilità politica di nuovi ceti fornisca alla vita democratica nuove linfe. Vivo gran parte dell’anno a Parigi, dove il sindaco è un’andalusa, Anne Hidalgo; a Londra è stato eletto sindaco Sadiq Khan, figlio di immigrati pakistani».

Mi scusi ma che cosa c’entrano Fassino e Appendino?

«Voglio dire che il cammino della “inclusione” della cittadinanza non italiana che porta lavoro e speranza, è qui ancora lunghissimo. E Torino dovrebbe avere paura di un’alternanza tra due torinesi rispettosi delle regole di convivenza? Si recupererebbe appena un po’ dell’enorme ritardo storico di una città che è senza ricambio politico da una generazione.

Mi auguro anzi che, chiunque vinca, nomini almeno un assessore (alle politiche di integrazione, per esempio) rumeno, o albanese, o magrebino. Questo è credere alla vita democratica».

Lei ha lavorato per anni nelle banlieues di Parigi. Quale dei due programmi elettorali è più convincente?

«Si tratta, prima di tutto, di riconoscere che la povertà esiste a Torino (nelle proporzioni indicate dalla Caritas), ed è di due tipi: quella della mancanza e quella della esclusione. Sanno i nostri governanti che - spesso recandomi per la spesa ai supermercati alla domenica – ci sono famiglie che fanno il loro pranzo con Würstel di pollo, tacchino e suino a 0,69 euro, 8 bastoncini, più un’anguria da 5 chili, restando sotto i 6 euro a pasto, 4-5 persone per nucleo familiare?»

Immagino di sì ma può rispondere alla domanda?

«Mi faccia finire… La povertà di mancanza include non solo quelli che non hanno e vanno a bussare agli uffici comunali; ma anche quelli che si vergognano di dire che non hanno (quella che nel Settecento si chiamava la “povertà vergognosa”) e che rinunciano anche all’essenziale, comprese le cure mediche perché il ticket sulle analisi di laboratorio è troppo alto. C’è poi la povertà di esclusione, quella che invano attende che venga riconosciuta a ciascuno la dignità di uomo.

In questo il programma di Chiara Appendino è più convincente perché prevede un trasferimento significativo di risorse dalla politica dell’effimero, spesso inutile e stucchevole, ai “bisogni primari”. Su questo i due programmi divergono, perché nel termine “cultura” non accetto che vengano incluse e sprecate risorse per festival di ogni tipo. La cultura significa, in latino, coltivare: cioè scuola, dopo-scuola, libri gratis, mense, non spettacoli. Desidero più sobrietà, più lavoro, più scuola».

Per Fassino il programma di Appendino bloccherebbe la città. Che cosa ne pensa?

«Non sono il primo a dire che nella vita (specie quella politica) occorre dire molti no affinché qualche sì possa essere incisivo. E se anche qualche no fosse di troppo, meglio sbagliare riducendo il debito, che sbagliare aumentandolo, visto che quello della città è già abnorme».

Maurizio Tropeano - lastampa.it

 

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Articolo pubblicato il 16/06/2016