MASS SHOOTING: Le inevitabili conseguenze del “right to be arms” statunitense.

Dopo le stragi di Orlando si riapre il dibattito sulla detenzione di armi costituzionalmente garantita in America dal secondo emendamento. Federica Allasia per "Civico20 News"

Il secondo emendamento della Costituzione Americana, rubricato “Right to bear arms”, sancisce il diritto dei cittadini statunitensi  di detenere e portare armi; secondo i padri fondatori, infatti, soltanto l’esistenza di una milizia ben organizzata sarebbe stata in grado di garantire la sicurezza di uno Stato libero.

La norma, risalente alla fine del XVIII secolo, nacque dunque per  tutelare giuridicamente l’esigenza di difesa fortemente avvertita dalle milizie cittadine, vittime delle occupazioni dell’Impero britannico e spagnolo durante l’epoca delle grandi colonizzazioni europee.

Sono trascorsi più di 200 anni da allora, e la pace rappresenta ormai una realtà consolidata in tutto il continente statunitense, eppure nessun governo è mai riuscito a convincere i cittadini americani circa la necessità di abrogare il suddetto emendamento, al fine di garantire quella stessa sicurezza che la norma aveva lo scopo di difendere e che invece contribuisce a mettere a rischio.

Non mancherebbero peraltro fatti di cronaca suscettibili di condizionare l’opinione pubblica a favore di una modifica del testo costituzionale: soltanto nel 2015, 462 persone sono morte nel corso di sparatorie compiute da civili che la detenzione di armi ha trasformato in folli assassini.

Mass shooting”, questo il termine coniato oltreoceano per descrivere un fenomeno la cui crescita appare ormai inarrestabile. A partire dal 2013  su internet è addirittura possibile reperire un “Gun violence archive”, un registro  contenente l’elenco estremamente dettagliato delle stragi consumatesi annualmente negli USA.

Stando all’archivio, sarebbero 133 gli “incidenti” verificatisi da gennaio, due dei quali soltanto nelle ultime 48 ore, ad Orlando.

I giornali di tutto il mondo stavano ancora cercando di far luce sull’assassinio di Christina Grimmie, (cantante ventiduenne divenuta famosa grazie a Youtube e alla partecipazione ad un famoso talent americano) uccisa lo scorso 11 giugno da due colpi di pistola mentre firmava autografi al termine di un concerto, quando si è diffusa la notizia di una nuova, terribile strage.

Omar Mateen, americano di origini afghane tenuto sotto controllo dall’Fbi dal 2013 ed inserito tra i 100 sospetti simpatizzanti dell’Isis, nella notte del 12 giugno è entrato in uno dei più famosi locali gay della città, il Pulse, e con freddezza ha aperto il fuoco, divenendo protagonista della più grave sparatoria di massa degli Stati Uniti; secondo i dati ufficiali sarebbero 50 le vittime e 53 i feriti.

Stando alle ricostruzioni, nonostante in un primo momento l’orientamento religioso dell’assassino avesse portato i più a parlare di attentato terroristico, non sono al momento pervenute alle autorità rivendicazioni da parte dei jihadisti, che pure lodano il gesto.

Il padre del killer ha inoltre confermato l’ipotesi di un movente omofobo alla base del gesto, raccontando come soltanto un paio di mesi fa il figlio avesse espresso tutto il proprio disprezzo per un bacio tra ragazzi dello stesso sesso di cui era stato testimone.

Mateen, padre di un bambino di soli 3 anni, a differenza dell’assassino di Christina Grimmie non si è suicidato;  sono stati gli agenti della polizia ad ucciderlo per portare in salvo le persone da lui tenute in ostaggio all’interno del locale.

Sebbene l’Fbi stia ancora indagando per accertare le ragioni del folle gesto, una cosa è certa: Mateen, così come tutti gli altri autori delle stragi, non ha agito per difendere se stesso, ma il secondo emendamento lo ha di fatto legittimato ad impugnare l’arma che ha posto fine ai sogni di 50 giovani ragazzi.  

 

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Articolo pubblicato il 13/06/2016