La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Il 17 marzo 1905 la sartina torinese Luigia Avanzi si getta nel Po per una delusione amorosa

La vicenda della sartina torinese Luigia Avanzi si svolge nel 1905, tra il Pilonetto, ovvero la sponda destra del Po in corrispondenza del Ponte Isabella, e il Ponte Regina Margherita quando vi si trova ancora la Barriera dell’Eroico.

Non è una vicenda triste e malinconica come quella di Dorina, la sartina della operetta “Addio, giovinezza!” (1911), è decisamente tragica.

La mattina del 18 marzo 1905, la lavandaia Giuseppa Germanetti trova sulla riva destra del Po, al Pilonetto, una sottana, una mantellina, un cappello da donna guarnito con fiori viola ed altri indumenti femminili che raccoglie e consegna alla Questura.

Nel pomeriggio, questi vestiti sono identificati come appartenenti alla giovane Luigia Avanzi, sartina di diciassette anni, figlia di un impiegato che abita con la famiglia in via Santa Teresa n. 12: il riconoscimento è fatto in Questura da un fratello della giovane.

Luigia manca da casa dalla sera del 17 marzo. I suoi parenti, impressionati perché non era ritornata nell’ora consueta, hanno iniziato delle ricerche, senza risultati. Da queste ricerche, però, sono venuti a loro conoscenza di un fatto che ignoravano: la giovane Luigia aveva amoreggiato col sergente Luigi Spiglio che era stato poi trasferito in altra città, trasferimento che aveva provocato un fortissimo dolore nella giovane.

Il giornale, piuttosto cauto e riservato nei confronti del sottufficiale, non fornisce troppi particolari sulla relazione amorosa, probabilmente vissuta molto più intensamente da Luigia, non dice se si era trattato di un addio definitivo oppure se era soltanto una temporanea separazione vissuta però in modo devastante da Luigia.

Il cronista si limita a scrivere che il sergente, dopo una breve assenza, è rientrato da alcuni giorni a Torino: interrogato, risponde che dopo il suo ritorno non ha visto la sua innamorata e perciò non sa nulla della sua scomparsa come scrive “La Stampa” che da la notizia domenica 19 marzo 1905 sotto il titolo “Trattasi di suicidio?”.

Il cronista riferisce poi i dubbi sulla effettiva realizzazione del progetto di suicidio e il dolore della famiglia, improvviso e inaspettato.

L’abbandono degli indumenti sulla riva del fiume farebbe pensare che Luigia si sia realmente gettata nel Po. Si potrebbe però pensare anche ad uno stratagemma per liberarsi da ogni soggezione della famiglia: a Torino, non più tardi di un mese prima, sono stati trovati abbandonati degli indumenti femminili e, per alcuni giorni, si è creduto che la giovane che li aveva abbandonati si fosse uccisa mentre è stata poi ritrovata mentre faceva una passeggiata in tranvia!

Il cronista augura una uguale sorpresa anche alla povera famiglia Avanzi che improvvisamente è precipitata in un dolore tanto più penoso perché inaspettato, un vero fulmine a ciel sereno, perché nessun segnale poteva far pensare che Luigia stesse maturando nella sua mente pensieri di fuga o di suicidio: «Ancora nella sera precedente la giovane era stata condotta dai parenti in una riunione danzante, ove pareva che si fosse divertita con la spensieratezza propria della sua età; e nessuno avrebbe immaginato che nella sua piccola anima covasse la brutta sorpresa di una scomparsa».

Col trascorrere dei giorni appare sempre più concreta l’ipotesi del suicidio, avvalorata dal carattere facilmente impressionabile di Luigia.

Le ricerche del corpo della povera sartina languono fino alla sera del 23 marzo, quando, verso le ore 17, il barcaiolo Carlo Manino, mentre sta chiacchierando coi fratelli Giuseppe e Giulio Elia in riva al Po, a pochi metri dal Ponte Regina Margherita, vede galleggiare, trascinato dalla corrente, il cadavere di una donna. I tre giovani saltano su una barca e, a forza di remi, lo raggiungono. Manino lo afferra per un braccio e così riesce a portarlo a riva.

La guardia daziaria Luigi Roccati, di servizio alla Barriera dell’Eroico, avvisata della lugubre scoperta, avverte senza indugio gli agenti municipali della Sezione Vanchiglia e il ritrovamento è anche comunicato alla Questura.

Subito il delegato Calasso si reca sul posto per le constatazioni di legge.

Il cadavere è pietosamente ricoperto per sottrarlo alla vista dei numerosissimi curiosi che si assiepano sull’alto della riva del fiume.

Il dottor Arnaud arriva verso le 18 e si limita ad una prima sommaria visita del cadavere. Quando il corpo viene scoperto, i presenti provano una impressione molto penosa: il viso della sfortunata ragazza appare livido e in parte coperto di melma; sulla fronte si scorge una larga ecchimosi che fa supporre che precipitando nel fiume, abbia battuto contro qualche pietra. Veste un giubbetto nero, mutandine bianche, calze e scarpe nere.

La mancanza della sottana ha subito fatto sospettare che si trattasse di Luigia.

Anche il padre è stato subito avvisato. Pallido e tremante per l’emozione, si avvicina al cadavere e riconosce la figlia più dagli indumenti che dal viso. Il pover’uomo lancia un grido d’angoscia e si piega come colpito da una mazzata.

Alcuni pietosi lo sorreggono.

Mentre lo accompagnano via, si rivolge al funzionario ed esclama: «Faccia fare la visita medica! Sono suo padre, e devo sapere se mia figlia non fu piuttosto uccisa!», poi viene allontanato.

Poco dopo, terminate le consuete formalità di legge, il cadavere di Luigia è trasportato al Camposanto generale.

Questa è la conclusione della vicenda fornita da “La Stampa” di sabato 25 marzo 1905, sotto il titolo “Il cadavere della signorina Avanzi / trovato nel Po”.

Non sappiamo se sia stata fatta l’autopsia, come richiesto dal padre, se siano state svolte indagini che potessero avvalorare il sospetto dell’uccisione di Luigia formulato dal padre. Verosimilmente gli inquirenti hanno adottato la plausibile ricostruzione del suicidio per una delusione amorosa. Il quotidiano non è tornato sull’argomento e questo induce a credere che la vicenda si sia conclusa senza ulteriori sviluppi.

È comprensibile il tentativo del padre di attribuire la responsabilità, sia pure indiretta, della morte di Luigia non alla famiglia ma alla malvagità altrui, un atteggiamento del genere si manifesta anche oggi, in casi simili, che trovano però ben maggiore spazio sui mass media.

Molte le domande oggi restano senza risposta: cosa è realmente successo tra il sergente e la sartina?

I vecchi torinesi sapevano che le giovani donne che amoreggiavano con i militari, affascinate dalle loro uniformi variopinte con molti bottoni di metallo luccicante, rischiavano sempre abbandoni improvvisi, delusioni dolorose, gravidanze non seguite dal matrimonio riparatore.

Tutto questo era sintetizzato nel detto “Boton ch’a luso, boton ch’a bruso” (bottoni che luccicano, bottoni che bruciano).

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Articolo pubblicato il 17/06/2016