Carla Del Ponte: "In Siria siamo di fronte all'impunità più totale".

Da oltre cinque anni la Siria continua ad essere un Paese in crisi. Ne parliamo con Carla Del Ponte già capo del Tribunale Internazionale per i crimini di guerra dell'Aja, dove si è occupata di ex-Jugoslavia e di Ruanda. Oggi rimane in prima linea come membro della Commissione ONU che indaga i crimini di guerra in Siria. Domani alle 19, accompagnata da Aldo Sofia, sarà ospite di Amnesty International allo Spazio 1929 di Lugano dove racconterà la sua esperienza. Dopo il fallimento dei negoziati di Ginevra le abbiamo rivolto alcune domande.

Per un osservatore esterno la guerra in Siria è un rompicapo, in particolare l'ingresso di Russia e Turchia sembra aver rimescolato le carte. È banale chiedere a questo punto chi sono i buoni e chi sono i cattivi?

«Quando questa guerra è iniziata, nel marzo del 2011, si poteva ancora parlare di buoni o cattivi. In quel momento i buoni erano l'opposizione e i cattivi il Governo siriano. Con il passare del tempo ben presto sono diventati tutti cattivi, l'opposizione si è frammentata in diversi gruppi che hanno preso la via del terrorismo e dall'Iraq sono arrivati i membri dell'ISIS. Il conflitto si è quindi sviluppato ed è diventato sempre più violento, oggi siamo oltre il quinto anno di guerra e si continua a combattere.

Questa guerra prosegue soprattutto perché è supportata dall'esterno, il conflitto è diventato internazionale. I gruppi terroristici vengono riforniti di armi e finanziamenti (sappiamo benissimo da quali Paesi) e la Russia sostiene il Governo di Assad rifornendo di armi l'esercito siriano. Ho chiesto ai russi se fossero a conoscenza dell'utilizzo di queste armi nel commettere crimini: la loro risposta è stata che stavano semplicemente rispettando un contratto.

Il Consiglio di sicurezza cerca di portare pace in questo Paese, ma i colloqui internazionali, come le numerose iniziative di Ginevra, non hanno dato alcun segno, nessuno vuole la pace, sono troppi gli interessi internazionali divergenti. Da una parte ci sono gli Stati Uniti che vogliono che Assad se ne vada, dall'altra c'è la Russia che lo sostiene. Questa è la situazione in Siria, siamo di fronte a una tragedia per il popolo civile, perché chi ci va di mezzo è sempre la popolazione. Non ho mai visto soffrire tanti bambini come in questa guerra, è incredibile quello che sta succedendo».

Le sue esperienze in Ruanda e nell'ex-Jugoslavia che suggerimenti le danno per venire a capo della situazione in Siria?

«L'unica via sarebbe negoziare con Assad, non si può fare altrimenti. Lo hanno fatto con Milosevic che all'epoca era sotto inchiesta e sono riusciti ad ottenere la pace. In questa situazione non si può fare diversamente. Un grosso ostacolo sono gli Stati Uniti che non vogliono sentirne parlare. Si cerca una via, ma siamo ancora lontani, le discussioni avvengono in sale separate, non si riesce nemmeno a metterli allo stesso tavolo».

Lei crede che si arriverà a una pace?

«Si arriverà, ma quando è difficile dirlo, nel frattempo si sta distruggendo uno Stato. Mettere d'accordo Russia e Stati Uniti non è un'impresa facile. I negoziati sembrano l'unica strada, solo che la situazione si è talmente incancrenita che è quasi diventato impossibile. Sarebbe stato sicuramente più efficace agire subito, durante il primo anno di conflitto, come è stato fatto nel caso della guerra nell'ex-Jugoslavia.

Istituire un Tribunale internazionale sarebbe un contributo fortissimo per raggiungere la pace, aiuterebbe a mettere pressione sui colpevoli. Ma invece ci troviamo nell'impunità totale, nessuno parla di giustizia. Siamo una Commissione senza potere, portiamo avanti le nostre inchieste e presentiamo i nostri rapporti al Consiglio dei diritti umani di Ginevra chiedendo e aspettando giustizia».

Che cosa è stato fatto per creare un Tribunale internazionale per la Siria?

«Niente, non si fa assolutamente niente. Il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha rilasciato diverse risoluzioni dove si parla dei crimini commessi sia da una parte sia dall'altra, però non succede nulla perché la Russia, seguita dalla Cina, fa valere il veto e quindi non si arriva a una decisione che permetta di creare un Tribunale penale internazionale o fare qualche passo nella direzione della giustizia».

cdt.ch

 

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Articolo pubblicato il 06/06/2016