Licenziata perché indossa il velo. Ok della Corte Ue

Una scelta che può contribuire all'emancipazione delle donne islamiche.

Per la prima volta un’istituzione europea, nella persona dell’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Ue, Julianne Kokott, ha espresso un parere su una questione che coinvolge il rapporto delle istituzioni con la religione, in particolare con i simboli di appartenenza alla religione islamica.

La Kokott ha sostenuto che le aziende in Europa possono proibire alle loro impiegate di portare il velo perché questo simbolo viola la neutralità religiosa. E così ha avallato il licenziamento di Samira Achbita, una musulmana che ha perso il proprio impiego in Belgio dopo aver espresso la sua intenzione d’indossare il velo durante la giornata lavorativa.

L’avvocato ritiene che non ci sia stata discriminazione diretta verso la dipendente perché la società di vigilanza presso la quale era impiegata proibisce, in generale, che venga esibito qualsiasi simbolo politico, filosofico o religioso, sul posto di lavoro. Il divieto, pertanto “può essere giustificato”, secondo un comunicato emesso dalla Corte di Giustizia dell’Ue.

È la prima volta che la giustizia comunitaria affronta una controversia sull’uso del velo da parte di donne musulmane. E a questa seguiranno a breve altre richieste simili da altri paesi europei. Di fatto, questa sentenza crea un precedente importante a favore del divieto del velo musulmano sul posto di lavoro in Europa, dove il 6% della popolazione è musulmana.

Si tratta di una decisione che riflette un punto di vista coerente con quello sostenuto dalla laicità francese, cioè che la libertà religiosa si mantiene attraverso la cancellazione di tutti i simboli religiosi nella sfera pubblica. La religione, in sostanza, viene considerata una questione strettamente privata. Per altri paesi europei – come l’Italia – la libertà religiosa invece si manifesta con la possibilità per tutti di esibire i propri segni di appartenenza. Con il limite per il burka che nasconde il viso, e quindi non permette l’identificazione.

La scelta dell’avvocato Kokott ovviamente merita di essere discussa, ma ha il merito indubbio di affrontare, per prima, la questione della convivenza con un’agguerrita minoranza religiosa, che si presenta forte della sua cultura, molto diversa soprattutto per quanto il rapporto fra religione, pubblico e privato.

E’ la prima volta, quindi, che l’Europa pone confini, decide a quali condizioni si deve realizzare la convivenza fra popolazioni di religione diversa. Almeno c’è una scelta sulla quale si può dissentire, si può discutere, non il nulla nel quale alla fine prevalgono i toni più urlati, le opinioni estreme.

Ed è molto significativo che la prima presa di posizione riguardi proprio il corpo della donna, cioè il luogo sul quale la contesa fra i punti di vista culturali diversi è più feroce, dove si gioca il futuro delle nuove generazioni. Di quelle super liberate occidentali, ma anche di quelle che scelgono – sia di origine familiare islamica sia di recente adesione a questa religione – di tornare a standard di comportamento rigidi e tradizionali.

Il ruolo della cultura europea deve essere quello di difendere le libertà acquisite, e di proporle alle donne che arrivano, oppure dobbiamo accettare di metterci in discussione, dobbiamo provare – almeno per un momento – a vederci con i loro occhi? Occhi che denunciano lo sfruttamento che la pubblicità e il mercato fanno del corpo femminile, e che ci costringono a vedere i risvolti di una libertà che nasconde non pochi aspetti negativi.

La questione del velo a scuola o sul posto di lavoro tocca il delicatissimo problema del ruolo che le istituzioni dei paesi occidentali devono-possono avere nei confronti della liberazione delle donne musulmane. In una situazione che potremmo chiamare tradizionale – quella di una famiglia musulmana in cui i maschi impongono alle donne di andare velate – la proibizione istituzionale di portare il velo può essere un contributo all’emancipazione, senza dubbio.

Ma oggi sono molte le donne che scelgono di velarsi, anche in opposizione alle abitudini di una famiglia che ormai si è “occidentalizzata”, e che vedono quindi in questa proibizione un atteggiamento anti- libertario. E’ ancora tutto molto confuso, ma adesso, almeno, possiamo cominciare a parlarne pacatamente.

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Articolo pubblicato il 04/06/2016