Ricognizione fra le cariatidi dei palazzi torinesi

Ragazze spogliate, almeno in parte, che mostrano le loro graziose forme: non sono praticanti del “flashing outdoor” ma le cariatidi che decorano alcuni palazzi torinesi, soprattutto nel centro cittadino

A Torino, le più eleganti sono in via Santa Teresa angolo via Arsenale, le più ammiccanti in corso Einaudi, le più numerose in via Massena angolo corso Stati Uniti, le più trasandate in via Nizza, quelle ancora belle ma che hanno visto giorni migliori in corso Re Umberto, le più giunoniche in via Federico Campana, le più pudibonde in via Vittorio Amedeo, le più ruspanti in via Calandra angolo via Mazzini…

Stiamo parlando di ragazze spogliate, almeno in parte, che mostrano le loro graziose forme: non sono professioniste, o dilettanti, che praticano quello che i siti specializzati chiamano “flashing outdoor” ma sono le cariatidi che decorano alcuni palazzi torinesi, soprattutto nel centro cittadino.

Le foto dimostrano la veridicità delle nostre affermazioni: abbiano infatti cariatidi eleganti, ammiccanti, giunoniche, pudibonde e così via.

Nel linguaggio architettonico si definiscono cariatidi le sculture che rappresentano una donna e che vengono impiegate, oltre che come decorazione, come elemento portante di una trave o di un balcone.

In certi casi sono delle vere e proprie statue, altre sono dei busti, altre ancora sono poco più che delle protomi (elementi ornamentali costituiti da un volto) perché il corpo appare soltanto accennato.

Le cariatidi sono utilizzate dagli architetti fin dall’antichità, quando erano sempre rappresentate come donne vestite.

Il mio interesse è rivolto a quelle che sono state pensate e installate come decori tra il finire dell’Ottocento e i primi del Novecento.

Nei palazzi di quel periodo, anche nei diversi stili, neogotico, eclettico, liberty, spicca l’abbondanza dei decori vegetali (foglie di acanto, ghirlande, frutti…), animali (leoni, aquile…), mitologici (Mercurio, teste di Medusa…), antropomorfi (volti femminili e maschili), geometrici, grotteschi e chi più ne ha più ne metta.

Mentre i volti femminili in forma di protomi sono assai numerosi, in questo campionario di decori le cariatidi sono meno rappresentate, presumibilmente per motivi economici, visto che si tratta di una vera e propria statua di costosa realizzazione. Ma, oltre al costo, ha forse anche influito un certo perbenismo.

Questi architetti, in epoca umbertina e in quella di poco successiva, esponevano donne seminude quando la mentalità era fortemente moralista e sessuofobica, come dimostra il confronto di questi decori edilizi con qualche figurino coevo di moda femminile.

Certo questi architetti non potevano sostenere che le cariatidi avessero funzione apotropaica, cioè la facoltà magica delle figure grottesche e mostruose di tenere lontano l’influsso degli spiriti maligni!

Potevano trovare ampie giustificazioni parlando di “nudo artistico” ma sarebbe interessante sapere cosa  ne pensavano di questa esibizione così eclatante di nudità femminili architettoniche non soltanto i comuni cittadini torinesi ma anche quelli più abbienti, e benpensanti, nonché gli stessi committenti dei palazzi decorati.

Queste considerazioni mi sono state suggerite dalle informazioni riguardanti il monumento a Galileo Ferraris (1847-1897), scopritore del campo magnetico rotante, oggi collocato nell’area pedonale della Crocetta, in una aiuola all’incrocio dei corsi Montevecchio e Trieste, a breve distanza dal corso omonimo, informazioni riportate dal sito del Comune di Torino “Progetto Arte Pubblica e Monumenti”. 

Il monumento, realizzato nel 1903 da Luigi Contratti (1868-1923), ritrae l’inventore in piedi e sul basamento vi è una donna nuda, allegoria della scienza elettrotecnica. Inizialmente è posto sul fianco di Palazzo Madama, dove oggi si trova il Cavaliere d’Italia.

Con deliberazione del 25 gennaio 1928 è approvato il trasporto del monumento all’incrocio di corso Siccardi con via Cernaia. Un schiera di “autorevoli” cittadini, scandalizzati dal nudo femminile della scienza elettrotecnica, promuove una raccolta di firme affinché il monumento sia collocato altrove, in modo da non dare scandalo ai giovani e giovanissimi frequentatori delle vicine scuole e del campo giochi della Cittadella.

La pressione esercitata da questi benpensanti è tale da indurre il Prefetto a invitare la Città di Torino a ripensare questa collocazione poi trovata all’incrocio dei corsi Montevecchio e Trieste.

Il timore, sollevato nel 1928, che l’elettricità nuda potesse turbare gli scolari che le passavano vicino rappresenta un indubbio esempio di moralismo perbenista torinese. Può aiutarci a comprendere quale poteva essere, in epoca umbertina e nei primi anni del Novecento, un giudizio largamente condiviso nei confronti degli exploit di nudità femminili architettoniche.

Decisamente erano altri tempi!

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Articolo pubblicato il 04/06/2016