La signora apotropaica di via Virle

Il fregio del portone di una casa della borgata Cenisia evoca le indagini del commissario Martini, l’investigatore creato dalla giallista torinese Gianna Baltaro

A Torino, nella borgata Cenisia, in via Virle n. 13 troviamo una modesta casa, dove lo stile Liberty è poco più di una suggestione, evocata dalla fascia floreale che corre all’altezza del primo piano, realizzata a rilievo in litocemento con un disegno piuttosto semplice.

Più rilevante appare il volto femminile posto al centro dell’arco del portone, una ragazza un po’ paffuta con lunghi capelli sciolti che scendono sulle spalle per unirsi in un improbabile ma gradevole anello.

Molte case di Torino sono decorate con teste femminili: gli storici dell’arte le chiamano “protomi”, termine che indica gli elementi che ornano mensole, cornici, frontoni e che possono essere dipinti, intagliati o scolpiti.

Una protome non è soltanto femminile, può rappresentare anche la testa – talora con parte del busto – di uomo, di animale o di una creatura immaginaria. Ma nelle case di Torino prevalgono quelle femminili, collocate in diversi spazi della facciata dei palazzi mentre la collocazione al centro dell’arco del portone è piuttosto insolita.

Al centro dei portoni si trovano di solito dei mascheroni con funzione apotropaica, cioè che sarebbero dotati della facoltà magica di tenere lontano l’influsso degli spiriti maligni. Di solito, però, le figure apotropaiche sono grottesche e mostruose, mentre questo volto femminile non lo è affatto, anche se il nasino appare un po’ scheggiato sulla punta.

A proposito di questi decori in litocemento, in passato così numerosi sulle facciate dei palazzi torinesi, viene da pensare alla loro creazione da parte di artigiani modellatori specializzati che realizzavano il modello in argilla da cui poi ditte specializzate ottenevano lo stampo per la produzione dei numerosi pezzi necessari per decorare interi palazzi.

Questi modellatori erano artigiani, certamente, ma in qualche modo anche artisti. Viene da chiedersi chi fossero le loro modelle per le protomi femminili.

Gli architetti celebri, come Pietro Fenoglio, certamente inserivano nei loro progetti anche i disegni di mascheroni grotteschi, animali, creature immaginarie e teste femminili. Gli artigiani non avevano spazio di manovra, seguivano i disegni loro forniti.

Ma si può pensare anche ad una produzione più di serie di questi decori, già predisposti e a disposizione dei costruttori, allestiti secondo modelli forniti da album con tavole e disegni già predisposti.

Oppure, qualche modellatore ha forse creato delle protomi femminili secondo un suo archetipo ideale, onirico? Oppure altri si sono ispirati più semplicemente alla fidanzata, alla moglie, all’amante, alla figlia, a una parente, o a una donna al di fuori della loro sfera affettiva ma con un volto suggestivo?

Queste donne sono diventate modelle non di un’opera in marmo o in bronzo da inserire in qualche monumento, ma di una decorazione in serie, realizzata in litocemento, destinata al compito più modesto di decorare una casa da reddito.

Le donne legate in qualche modo al modellatore sapevano di essere immortalate. Ne provavano una qualche fierezza? Oppure pensavano semplicemente di collaborare all’attività lavorativa artigianale dell’uomo di casa, vista come un semplice mezzo di sostentamento?

La modella del portone di via Virle (ammesso che sia esistita) avrà accompagnato qualche parente o qualche amica a vedere il suo ritratto? Difficile crederlo, più probabile che abbia mostrato loro il modello elaborato in argilla.

Si può poi scatenare una ridda di ipotesi non riferite all’artista ma al committente: la donna del portone potrebbe essere la fidanzata, la moglie, la figlia o l’amante del proprietario dello stabile. Verrebbe così ad assumere un preciso, anche se ormai dimenticato, aspetto commemorativo che può evocare storie più o meno romantiche e/o tragiche…

Tutte queste domande sono destinate a rimanere senza risposta.

Ma le nostre divagazioni vanno avanti. Abbiamo parlato di funzione apotropaica, funzione che la nostra zazzeruta ragazza sul portone può incarnare appieno nella misura in cui evoca la figura della portinaia.

E parlando di portinaie di vecchie case torinesi è quasi d’obbligo pensare alle portinaie dei romanzi polizieschi della giallista torinese Gianna Baltaro che hanno come protagonista il commissario Andrea Martini.

Scrivono a questo proposito Bartolone & Messi, scrittori che continuano l’opera di Gianna Baltaro, in un post della loro pagina FB: «Certo le ‘portiere’ sono molto importanti nelle indagini di Martini… Il commissario aveva una conoscenza profonda e un grande rispetto delle “vestali” dei caseggiati urbani, spesso, le più importanti collaboratrici delle sue indagini. Così pure le concierges (e i concierges) di Maigret».

Si potrebbe quindi pensare al fregio del portone di via Virle come ad una sorta di monumento alle portinaie torinesi, collaboratrici del commissario Martini.

(Foto di Andrea Biscàro)

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Articolo pubblicato il 06/06/2016